Diteglielo voi, perché a me non crede.
Ditegli che quando incontrai per la prima volta il suo sguardo, desiderai soltanto che si fermasse su di me.
E così non fu, perché quelli erano occhi che avevano visto tutto, o comunque troppo, eppure non erano mai stanchi di cercare.
Un attimo prima qui, un momento dopo già altrove; quella sera si posarono su di me per pochi istanti, ma non so come, me li feci bastare.
Ditegli che portava con sé qualcosa a cui non sapevo dare un nome, qualcosa che mi rapiva senza nemmeno dirmi il perché.
Era luce tinta d’oscuro; era inverno grondante sudore.
Era libertà, e trascinava catene…
Ditegli pure che era magia.
Lo cercai appena fu possibile, perché era lui che volevo.
Lui soltanto.
Come adesso…
E i giorni ci travolsero, e nemmeno li sentimmo passare.
Prendemmo a morsi intere settimane.
Adoravamo entrambi quel non sapere e non voler sapere.
Andare, non importava dove; nascondendoci dalla luna e dai suoi influssi, cavalcando le notti mentre il mondo intero dormiva, e non aveva idea…
E un gruppo di musicisti di strada ci fu testimone, quando sentimmo distintamente di essere divenuti una cosa soltanto. Ce lo dicemmo con gli occhi, ce lo dicemmo in un bacio; ce lo suggerì la canzone che stavano suonando, e il sorriso di uno di loro.
Era l’amore, era Praga, era una vita fa, ed è ancora qui.
Diteglielo, vi prego…
…Poi, non so quando, la luna ci trovò.
E le notti si popolarono di brutti sogni, capaci di rincorrerci fin dentro ai giorni; capaci di avvelenare, e accecare, e assordare, e immobilizzare.
E lui vide già la fine, quando io vedevo solo un salto da fare.
Si era aperta una crepa davanti a noi, presto divenuta voragine, ma sarebbe bastato prenderci per mano e tentare. Correndo il rischio di cadere, sì, ma restando insieme.
E invece lo vidi andar via, per ragioni che né io né voi possiamo sindacare, perché erano pur sempre le SUE ragioni.
Però ditegli che io sono rimasta lì, tra i papaveri avvizziti, con gli stivali sporchi di terra e la gonna troppo corta come al solito.
Quei fragili petali sono caduti uno ad uno, ed io con loro.
E poi, non so come, mi sono trascinata fino a casa, cercandolo inutilmente in ogni angolo, in ogni strada.
Era andato via, ma la sua presenza restava ovunque.
Come adesso…
Portategli queste parole.
Portategli il mio amore.
Ditegli che non l’avrei mai odiato, nemmeno dovendo piangere tutte le lacrime del mondo.
Ditegli che non avrebbe mai dovuto difendermi da lui, ma soltanto da me stessa, restandomi accanto.
Ditegli che la nostra fine sarebbe venuta dopo la fine del cielo e del tempo.
E che questa fine che ha deciso, non è la fine. Non può essere…
Ditegli che è ancora tutto, e il resto è vuoto.
Ditegli che io aspetto.
Aspetto nel fuoco.
E’ molto bella e mi é piaciuta. Triste come chi perde qualcosa di vitale, non vuol darsi pace e ne aspetta il ritorno. E’ un appello a colui che se ha voglia di ascoltare, in qualsiasi parte del Mondo, volendo, può correre da te.
Ciao. sandra
perchè alle donne piacciono belli e dannati?
Alle donne piacciono belli e dannati per dannarsi l´anima nella speranza di cambiarli; se non ci fanno soffrire non li vogliamo. La tua lettera mi ha ricordato una vecchia canzone napoletana “ricitingello a sta compagna vosta che aggia perduto o suonno e a fantasia”.
Ciao
Tilly
Grazie mille, Sandra.
Grazie per aver avuto rispetto.
Grazie per non aver banalizzato.
Mi compiaccio invece con Tilly ed anna per la starordinaria profondità delle loro riflessioni.
Vero è che quando si esterna qualcosa come ciò che ho scelto di condividere qui, ci si espone anche a futili giudizi.
E ai futili giudizi, per carità, si sopravvive tranquillamente.
Però ci tenevo a farvi presente che i belli e dannati sono passati di moda già da parecchio..
Possibile che sia così difficile andare oltre le più becere e fuorvianti semplificazioni?
Possibile che una testimonianza del fatto che “non si può uccidere quel che si rifiuta di morire”, debba divenire l’ennesimo, inutile stereotipo dell’autolesionismo femminile?
Credo che la cosa sia solo un tantino più complicata, sapete?
Giusto un pò..
Ma non ho l’assurda pretesa di farvelo capire, quindi grazie lo stesso.
Carissima,
io (e penso di poter mettere la mano sul fuoco anche per Tilly, che è una donna di grande sensibilità, comunque starà a lei dire la sua), affermo che entrambe non intendevamo lasciarci andare a considerazioni “becere”, come tu “gentilmente” scrivi, a proposito della tua esternazione di sentimenti tuoi.
Nè io nè Tilly apparteniamo alla categoria delle becere megere.
Quando, però, leggo di tanta sofferenza, viene spontaneo dire, a me, che spesso mi sono trovata depositaria della confidenza di un dramma d’amore simile a quello di cui parli, che le vicende umane sono cicliche e, per esempio, da madre non vorrei che i miei figli incappassero in situazioni simili a quella che descrivi.
Non canti un argomento nuovo.
Forse è nuovo e originale per te che lo stai vivendo, ma la letteratura canta soprattutto amori infelici più che amori felici.
La mia frase non era, ripeto, vuota, ritrita e “becera”.
Era colma di tristezza, nel leggere che un’altra donna soffriva.
Scusami per non averti scritto “piangi pure sulla mia spalla”.
Ho detto, invece, “un’altra donna soffre e non si può fare nulla per lei”.
Prometto che non commetterò mai più un tuo scritto.
Raramente, infatti, ho avuto l’occasione di incappare in una diatriba becera, provocata da un bel niente.
anna
…e per dimostrarti che tutto è stato già scritto e sicuramente neppure io posso rivendicare il diritto di primogenitura, pensa che ho pubblicato un testo il 22 febbraio scorso con lo stesso titolo che hai usato tu….!
(ovviamente di tutt’altro genere)
anna
Non sai come mi secca dover spiegare le mie parole, sono abituata a trattare con persone che colgono al volo. La prima parte del mio intervento era per legarmi ad anna, mi capita spesso di avere il suo stesso pensiero e per non ripetere le sue parole ho semplicemente risposto (grazie anna per la tua difesa); la seconda parte era la mia impressione di getto, la tua lettera mi ha ricordato una canzone napoletana (bellissima) é la prima volta che mi capita una cosa del genere: scusarmi per un complimento. Mi scuso per la mia “futilitá”, sono solo una “becera” lettrice (giusto per capirci: questa era ironia)
Non voglio polemiche, soprattutto non qui.
Ma una cosa fatemela dire ancora…
Trovo che questi toni siano stati fuori luogo, dal momento che credo di non aver offeso nessuno.
Chi potrebbe negare che qualsiasi forzata semplificazione equivalga ad una volgarizzazione?
Becere non siete certo voi (leggete bene!!!), beceri sono piuttosto i clichè di cui spesso e volentieri ci serviamo, magari anche inconsapevolmente, per interpretare ciò che ci accade intorno ed illuderci semmai di comprenderlo meglio.
Anche quando c’è ben poco da comprendere..
Perchè dopotutto la vita non è mai uguale a se stessa, e voi dovreste saperlo anche meglio di me..
Non rivendico primogeniture varie od eventuali, francamente neppure m’interessa, so soltanto che quello che sento è mio soltanto.
E trovo pienamente legittima la pretesa che, quantomeno, non venga confuso con nient’altro, soprattutto se con esso poco o nulla ha a che fare.
Saluti