Ugo ha quasi trent’anni ed è mio figlio.
Uno dei miei figli, quello che è convito che ami di più suo fratello e talvolta me lo dice apertis verbis, poichè tra fratelli è così e manca sempre qualcosa per sentirsi totalmente padrone del cuore della mamma, mentre la mamma stessa passa la vita a cercare di dimostrare che quella convinzione è sbagliata e fondata su niente.
Per ciò che mi riguarda, io trovo lui divertente.
Lo è sempre stato, fin da piccolino, quando cominciava a dimostrare una personalità vivacissima e allegra.
Quando ero incinta di lui, secondo l’anziano ginecologo, luminare nonché primario dell’ospedale dove va a nascere la metà dei milanesi, si trattava di un fibroma e aspettò del tempo prima di farmi il test di gravidanza.
Poi, durante la stessa, i pareri sapientoni erano i più disparati e disperati: feto mal posizionato…; parto prematuro, anzi prematurissimo…; ah… non si arriva al sesto mese!…; dal sesto in poi tutti i giorni sono buoni…; si trovi un ospedale vicino a casa: non vorrà farlo in macchina?…; forse è incompleto…, è piccolissimo…, è femmina!
Per fortuna la nostra tata, donna di grande saggezza e cuore, che mi vedeva disperata e ostinata nel continuare una gravidanza così difficile, un giorno decise di caricarmi sulla sua macchina e di portarmi nell’ospedaletto del paese vicino in cui nascevano pochi bimbi alla settimana, ma il personale era preparato, attento e sensibile.
Raccontai la mia odissea, mi visitarono, mi affidarono ad un’ostetrica dai bei capelli grigi che veniva a trovarmi tutte le settimane e che mi accompagnò, infondendomi coraggio, fino al nono mese e al giorno del parto.
Aspettavamo tutti la femminuccia, un po’ piccolina ed era pronta l’incubatrice.
Nacque il bestioncino, maschio, di quattro chili e mezzo.
Il ginecologo, lo vidi bene, lo pesò, incredulo, due volte.
Io e mio marito avevamo pronti soltanto nomi da femmina piccolina, il maschio cicciottone ci trovava impreparati, non sapevamo come chiamarlo.
Dopo due giorni fu accantonata l’idea di chiamarlo Mandrake, (“Siete matti”, diceva mio padre, “sarebbe come chiamarlo Sandokan!”), abbandonammo la magia e decidemmo di chiamarlo come il santo del primo d’aprile, Sant’Ugo.
Ed Ugo si chiama.
Forse questo senso dello scherzo e della originalità gli è rimasto nel sangue.
Di carattere allegro e tranquillo, amato da tutti, ma con caratteristiche da leader, fin dai tempi dell’asilo si segnalava per la sua capacità di convincere tutti, dai compagnetti alle anziane suore, sulla bontà delle idee balzane che gli venivano in mente.
Ricordo, infatti, di quando mia sorella con la sua famiglia viveva in Paraguay e le telefonate si rincorrevano dal di qua al di là dell’oceano.
I cuginetti si salutavano e raccontavano le loro avventure e soprattutto si raccontavano le scoperte nuove che, crescendo, facevano e le cose strane che vedevano.
Diventarono famose le storie dei poveri indios che vivevano miseramente, di una lumaca paraguayana grande come una tartaruga, e un’invasione di lombrichi italiani sotto il portico di casa dopo giorni e giorni di pioggia.
Ugo, eclettico nel rielaborare le informazioni, associò i lombrichi, vermi di terra, ributtanti a vedersi, con una notizia ripetuta a quei tempi più volte dai telegiornali, cioè di quanto nutrienti fossero i lombrichi se essiccati e ridotti in polvere e utilizzati come farina alimentare per la risoluzione della fame nel mondo, con i biscotti fatti in casa dalla sua nonna, secondo una vecchia ricetta inglese e che gli piacevano moltissimo.
Quando nel giorno del suo quarto onomastico, il 1° di aprile, portò all’asilo un vassoio di biscotti della nonna, tutti gustarono gli ottimi dolcetti, suore comprese che rimasero sconcertate quando chiesto ad Ugo di portare la ricetta, si sentirono rispondere che l’ingrediente fondamentale erano i lombrichi.
Ma io non lo sapevo…
Quel pomeriggio stesso Albertino, amico e coetaneo di Ugo, e la sua nonna Pina, suonarono al campanello di casa.
Il piccoletto aveva un’aria trionfante e un secchiello in mano.
Mia madre andò incontro agli ospiti e il bimbo le consegnò il contenitore coperto da un foglio di alluminio:
“Tieni. Preparaci, per piacere, la merenda di domani per l’asilo. I biscotti di oggi erano buonissimi!”
Poiché il nonno del bambino coltivava un vasto orto vicino a casa nostra e allevava conigli e galline, mia madre pensò che nel secchiello vi fossero uova fresche per una di quelle torte di cui va giustamente fiera.
Depositò il contenitore sul tavolo e si preparò alla confezione del dolce.
Zucchero, farina e… si accinse ad aggiungere le uova.
Rimossa la stagnola dal secchiello, un urlo lacerò l’aria.
Mi precipitai in cucina.
Mia madre non parlava più e indicava terrorizzata il contenitore.
Guardai: era colmo di lombrichi vivi che si agitavano furibondi.
Lo afferrai prontamente e lo svuotai in una delle fioriere del giardino poi soccorsi la mamma porgendole un bicchiere d’acqua per farla riprendere.
Guardai Ugo e tutto fu chiaro.
Spiegò con candore che le suore desideravano la ricetta dei biscotti della nonna e gli era sembrato giusto chiarire che la nonna usava una ricetta che veniva da molto, molto lontano, che anche ai bambini poveri piacevano molto e che erano molto nutrienti, perché fatti con farina di lombrichi e che solo la sua nonna li sapeva fare così buoni.
Mia madre mi guardava esterrefatta e ripeteva continuamente:
“Chiama le suore, fa’ presto, spiega tutto, prima che qualcuno mi denunci al telefono azzurro”.

 

6 pensiero su “Una merenda buonissima”
  1. Brava Anna… come sempre si respira aria fresca e limpida leggendoti. Un abbraccio.

  2. In una famiglia, penso, che l’ironia, l’umorismo e il fai da te, non dovrebbero mai mancare. Tu, continui a coltivarla sapientemente.
    In fondo ai loro cuori, i tuoi figli, sanno benissimo che ognuno di loro ha il suo posto, esattamente delle stesse dimensioni, semplicemente perché sei una grande Mamma.
    P.S. Io, non ho questo problema, in quanto sono la mamma di un figlio unico, ma come figlia e maggiore, forse, ho avuto queste sensazioni; strada facendo, le ho trovate sciocchezze.
    Il telefono azzurro, però, io lo avrei chiamato….
    Sempre brava.
    Sandra

  3. La sconcertante semplicità di queste persone da prendere come esempio. Questo tipo di storie, di persone, di famiglia; rafforza le nostre energie contro le prepotenze della vita. Cmpl…

  4. Complimenti, una boccata d’aria fresca…….. innumerevoli le gioe che si colgono nella semplicità della famiglia per me è ancora un pò presto ma spero di viverle………
    Ciao
    Salvo.

  5. Ora capisco le affinitá che trovo con te, tuo figlio sono io al maschile! Ho anche la sua stessa etá, anche io sono convintissima che mia madre preferisca mio fratello (con ragione, nessuno me lo toglie dalla testa) sono stata sempre una pazza scatenata, tutti quelli che mi conoscono hanno una storiella divertente che mi riguarda da raccontare, e se mi dici che anche lui é del segno dello scorpione allora……
    Un bacio
    Tilly

  6. Grazie Anna per questo scritto così genuino. Tuo figlio è stato unico già da prima di nascere, aveva già deciso quale sarebbe stato il suo posto nel mondo: la stanza delle sorprese. Mi piace che tu abbia sottolineato il fatto che la sua personalità era già scritta dai primi segni di vita, sorprendendo tutti sul suo sesso, le sue dimensioni, la sua stessa nascita. Ha mantenuto l’originalità negli anni. Sono sicura che dal primo momento una persona dice di sè, quando ancora è simile ad un girino. Io sono voluta nascere da sola, in casa io e mia mamma, fregando tutti sulle previsioni e anticipando il mio arrivo di due giorni. Sono rimasta una solitaria, un po’ orsetta, a decidere da sola su quasi tutto. Anche io sono convinta che mia madre preferisca mia sorella, estroversa e chiacchierona. Ma in fondo non vorrei essere diversa da quella che sono. La storia si ripete, in ogni famiglia. Tuo figlio è simpatico… pensare ai lombrichi per una ricetta è un chiaro segno di originalità! Non puoi non amarlo!!!
    Un bacio, Mary

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