E’ successo, e ti ho incontrato lì, sono inciampato addosso a te, che, secondo me, mi sei venuta apposta addosso.
Seria, piccola, compressa, elegante, lenta e profumata. Hai due nomi, a causa di una famiglia complicata. Il primo l’hai usato fino a pochi giorni prima che ti conoscessi, per dividerti in due, per fiaccare la tua voglia di essere.
Ma il tuo nome anagrafico è un altro. Solo per me e da oggi in poi.
– So tutto di te ! –
Te l’ho detto, e ti ho mentito. Stavi seduta per i fatti tuoi e non vedevi l’ora di andartene, assolutamente convinta della tua perfezione. Io ero tutto proteso in avanti, con braccia nude e tatuaggi spavaldi e di fuori.
Eri infastidita, ma invece no, chiusa da un vestito lungo, ma invece no, tutta abbottonata, ma invece no.
Sono venuto a invitarti a cena.
A cena ci sono arrivato strabordante e già arreso, tu hai parlato e di te stessa hai ridetto. Hai ricominciato da capo, hai riperso il filo. Certo mica sapevi che stavo rischiando un rigetto. Dentro il mio codice genetico una come te non doveva entrarci nemmeno.
Avevi sofferto la fame, pulivi i gabinetti per studiare, ma, per sbarcare il lunario, non l’hai data a nessuno mai e assolutamente.
Questo doveva rassicurarmi? hai due genitori bigotti e carcerieri? Va bene.
Sei rimasta vergine fino all’età di ventisei anni e hai avuto solamente tre uomini. Adesso fai addirittura il chirurgo e hai troppa dimestichezza con il bisturi, con il punto a croce, con i miracolati e con quelli che dispongono di quindici giorni e poi basta. Ripetimelo perché esattamente non ho capito.
Indubbiamente è qui che voglio scappare. Un’aguzzina, un’altra adepta al circolo delle crudeltà, un altro socio onorario della sperimentazione, del sangue per forza, degli orrori gratuiti. E’ così che mi hai detto?
No, tu sei un angelo.
Perché io e perché a me? Vuoi parlare ancora e a tutti i costi Sai anche essere fragile, secca e senza curve, anche precisa, persino combattiva, cerchi per giunta di salvare il salvabile negli altri, li lasci morire soltanto quando è di guardia il tuo collega antipatico.
Tu taci e mi guardi, tu tagli corto e t’infili.
Mi impedisci di alzarmi da tavola e scappare, con un profumo che sa di cervo, ma lo stesso ha tremato il mio sterno.
Adesso ti chiedo quanti ne hai sterminati, se hai fatto a pezzi anche tua madre, se tuo padre è riuscito a fuggire, se hai un tuo bisturi preferito e soprattutto cosa cerchi da me.
Ma assolutamente mi accorgo di cadere all’indietro. Ti ascolto e ti immagino con un pennarello blu che fai il segno su la mia testa rasata, che prendi la misura.
Sei bella, sei come una pianta carnivora. Scappo dopo la frutta? Ma la tempesta arriva per prima come sul lago non s’era mai vista, l’acqua si gonfia e si fa furibonda, tanto che vuole invadere la strada. Il vento forte ci impedisce, la montagna dietro di noi si è accesa, prende fuoco, e il fuoco si mette a correre.
Ed è un segno, e significa che non dobbiamo salire da me. E invece un bacio risolve la questione, fruga. La tua lingua decide il da farsi, e il mio destino s’impenna.
Una volta al riparo mi racconti sottovoce e come se non parlassi con me, che una prima volta c’è stata, che quella prima volta è stato orribile, con la forza e per forza è accaduto.
Forse ti capiterà di chiamarmi con il nome dell’altro, ma non badarci, vai avanti e indietro lungo la schiena, senza farci nemmeno caso.
Ma un dubbio infantile apre una fessura nel tuo piacere che già va di corsa.
– Allora stiamo insieme? Dillo anche tu, confermalo. Ripetilo che ancora non ci credo –
Si da il caso che quando, armeggiando e parecchio, mi ritrovo e m’infilo dentro di te, mi rendo conto del tragico errore.
Ricominci, mi racconti quando ancora siamo caldi nel letto e appassionati. Mi dici che la mia testa è come quelle arrivate dall’America, un approccio perfetto, pochi colpi di trapano come al solito. Domani per esempio avrai fra le mani una splendida testa, devi entrarci dal naso.
Sei brava e sempre di più lo sai, te lo dicono tutti. Di sguincio ti assicuro che il mio cranio non lo si può toccare. Qui vuoi intavolare una discussione seriamente, sui passi in avanti della medicina, sul tuo primario dai meravigliosi capelli grigi, quello che mi somiglia per davvero e a proposito di un certo tuo fantomatico benefattore, che alcune volte non sai s’è esistito veramente.
Io mi scosto, mi alzo, vado al bagno e mi ci chiudo. E non ti sta mica bene che me ne vado così. Quasi vuoi farti prendere dai nervi.
Tu parli ad alta voce e mi riprendi
Tu hai una missione da compiere. Adesso a brucia pelo mi dici che mi ami per indurmi a tornare.
– Ci siamo fidanzati?-
Ed io ancora lì dentro rimango chiuso dentro.
Terrorizzato, resto parecchio in bagno e parecchio ci devo pensare. Dieci birre e uno svenimento ci vogliono al mio ritorno. Tanto se mi sento male è affare tuo.
In ospedale mi ci accompagni come a una gita fuori porta, troppo felice di renderti utile, di farmi vedere un bell’esempio di umanità ed efficienza.
Che spettacolo vederti marciare da un corridoio ad un altro, persino riveli la tua voce diversa e roca. Spettacolare. Tutto è più facile con un boia al mio fianco, tutto è più chiaro dopo una diagnosi esemplare. Sei tu che mi sorvegli indossando il tuo primo nome. Adesso m’infili dentro un ago lunghissimo.
Ma sbagli, e quasi ti frantumo il polso. E ci riprovi.
Allora mi vuoi salire sopra, mi baci e mi riscaldi, ma non stai parlando con me, non mi pare. Questo amore si complica. Prima di conoscerti ero sano, adesso comincia a salirmi il sospetto, tutte le mie paure si rimettono in fila.
E adesso m’informi che probabilmente vuoi morire insieme a me. Sei nuda e straparli, io penso al veleno per topi da metterti nel bicchiere. Sotto di te mi spingi.
E’ perché al mondo sei sola, è perché in ospedale con tutti sei costretta a combattere, è perché non ammetti esitamenti e incomprensioni. Mi insegui sul divano, assatanata come non ti avevo mai vista, odori meravigliosamente di follia. Mi acchiappi.
Svengo, mi hai forse già ammazzato? Mi salvi e mi risalvi, scrivi le analisi, mi misuri la pressione, mi accarezzi la carotide, misuri.
M’imponi le tue mani e mostri la tua pancia. D’accordo hai la pancia ch’è un universo inusuale, reclami più di una volta il rispetto, l’abolizione totale di un mio passato, la gratitudine, il sedersi e il saper ascoltare i problemi del tuo benemerito ospedale. Vuoi nell’amore un altro tipo di approccio.
Io allora.
Io allora qualcosa di te provo a mettere in dubbio.
Forse quel togliere continuo, forse la dimestichezza del morire? Forse il camice bianco?
Quand’è così mi rifili una serie aritmetica di insulti, di accuse magiche e sguaiate, anche uno schiaffo mi dai.
– Egoista e profittatore, cane arrabbiato, inaffidabile e scorretto, impotente sporco, inutile e coglione-. Dici e ridici per tenerti in esercizio.
Mi prendi di sorpresa.
Allora anch’io. La logica è una, tante le cattiverie. Mi volto e sorrido ad una libera interpretazione di quello che mi riguarda.
Decido e ti tiro il teschio giù dalla finestra. Allora mi pento ma un pugno finisce che te lo devo proprio dare.
Ma tu mi addormenti con il veleno per topi mentre mi prendi le misure ed io che pregusto di arrendermi.
Tagli, togli, ritagli, modifichi, ti tieni in esercizio.
Mi sono svegliato troppo presto Ho il cervello in pappa, mi ritrovo sudato e preoccupato di difendere ad ogni costo un mio curioso e splendente sentimento per te. Cosa hai cambiato nella mia testa stanotte?
Tu ancora dormi, immobile, respirando leggera, composta e senza sogni. Se è vero che mi ami quanto io amo te, fosse anche nella stessa misura, mi domando come fai a non essere scossa da fremiti di gioia. Così sembri proprio deceduta nella grazia di Dio.
Vorrei che adesso finalmente ti accorgessi che ti sono accanto, che ti svegliassi ora magari con un forte dolore nei reni, visto che ancora la sensazione di me non ce l’hai.
Oppure potrebbe servire allo scopo un cuscino imbottito di spilli. Mi piacerebbe ancora che, una volta tanto, mi chiedessi di prepararti la colazione, è mai possibile che non ti viene mai in mente? E per ricordare questa unica e rara occasione sarebbe forse necessario che il latte bollente ti andasse di traverso. Così probabilmente ti tornerebbe in mente che qualcosa hai ingoiato, preparato da me.
– E’ buona la colazione di stamattina vero? –
Ho preparato il tuo accappatoio ai piedi del letto, l’ho fatto con amore esagerato. Vorrei, continuando a guardarti, che la cinta dell’accappatoio che io t’ho regalato, nell’unica occasione del tuo compleanno, ti stringesse talmente il collo fino quasi a strozzarti, per ricordarti del mio regalo che non usi mai.
Non ti svegli, non ti giri, non resusciti. Mi piacerebbe gettarti in faccia dell’acqua gelata per farti rifugiare immediatamente fra le mie braccia e ritrovare il calore.
Anche il cane ti sta osservando impaziente e deluso. Mi piacerebbe a questo punto che lui ti ricordasse che siamo in tre, e non c’è modo se non azzannandoti all’improvviso la carotide. E al primo schizzo di sangue vorrei incontrare il tuo sguardo frettoloso nel chiedermi aiuto. Così mi potrei rendere utile finalmente, facendoci indubbiamente una bella figura e tu potresti apprezzare certamente meglio la mia bella e pronta disponibilità.
Per ribadire meglio, potrei chiedere aiuto al fuoco azzurrino del fornello della cucina e chiedergli di lambirti la faccia, per essere ancora e sempre io il tuo salvatore.
– Svegliati per favore –
E dichiarami anche tu il tuo amore. Potrebbe servire sicuramente il veleno per topi nel succo d’arancia, così fra un rantolo e l’altro, prima di farti definitivamente vomitare, mi potresti descrivere i veri e inevitabili sentimenti nei miei confronti.
Tu però continui a dormire e muovi impercettibilmente la pancia, tanto per avvisarmi che morta non sei.
Ti guardo e mi rendo conto che mi ha sempre interessato l’interno di te, ma non ho mai potuto ammirarlo direttamente. Così, questa mattina, potrei aprirti lo stomaco proprio con quelle forbici nuove che mi hai regalato e che fino ad ora non ho usato per niente. D’altronde sei stata tu a raccontarmi che il tuo corpo, all’interno è di colore rosa scuro, ne vorrei assolutamente qualche bel pezzo per conservarlo sul comodino e poterlo guardare ogni tanto, magari quando tu sei troppo occupata a dormire.
Inoltre questa mattina, che sveglio da solo mi annoio, mi è venuta voglia di mettere alla prova la tua gelosia, così da essere ancora sicuro del tuo sentimento.
Sto pensando che sarebbe un’ottima idea poter possedere una tua amica davanti a te. Come non averci pensato prima.
E se questo esperimento per caso causasse una qualche protesta da parte tua provocandoti un qualche dolore, vorrei sicuramente andare in fondo, guardarlo nella sua totalità e completezza. Potrei ghermire l’attizzatoio del camino, colpirti violentemente sulla testa e restare a guardarti.
Tu ti ostini a dormire e le mie voglie e congetture di innamorato continuano a correre.
Pensando ancora nei dettagli, visto che ancora non hai intenzione di muoverti, vorrei vedere la tua grazia nel prendere il volo giù dalla finestra del nostro delizioso quarto piano. Tanto sono sicuro che l’amore che ci vogliamo sarebbe capace di compiere il miracolo e restituirti sana ed intonsa, un’altra volta a me, facendoti rimbalzare sull’avvolgibile del negozio sottostante. Così, finalmente sicuro dell’acquisita immortalità, ti rilancerei per gioco un’altra volta di sotto, sulla testa dei passanti increduli, sulle divertite automobili, su di un asfalto che poi non è così terribilmente duro.
– Guarda come voli, guarda, sei contenta? –
Adesso ti muovi, ti svegli, fai un respiro profondo e mi annunci che vuoi farti la doccia. Improvvisamente ho il bisogno e la tentazione di riascoltare subito la tua bella voce da soprano. Potresti allora strillare liberamente per le ustioni causate dall’acqua bollente. Peccato che lo scaldabagno non ha ancora raggiunto la temperatura necessaria.
Giri il collo e vuoi guardarmi e allora mi ritorna in mente quello che mi hai detto ieri. Vorresti un collo più lungo, quello che la natura ti ha dato non ti sta bene. Potrei allungartelo io con le mie mani possenti. Lungo e fino, come desideri tu.
Ma come mai adesso ti metti a guardare nel nulla? Per condividere la tua curiosità, per vedere quello che tu vedi, potrei magari ingoiare il tuo bulbo oculare.
Vuoi adesso finalmente vestirti, ed io, prima che sia troppo tardi, ho bisogno di spiegare meglio il mio amore per te, vorrei raccontarti che metà della notte ho fantasticato sul modo migliore di aprirti la testa, con un iniziale taglio cutaneo coronale, e a seguire una craniotomia bifrontale, per arrivare finalmente ad una lobotomia prefrontale.
Buon giorno per tutto il giorno amore mio.
Racconto particolare di amore al bisturi freddo ed al veleno caldo.
Non é il mio genere, ma lo trovo ben scritto.
Ciao.
Sandra
“Odi et amo” diceva Catullo…
Non so se oltre a dirne cotte e crude avrebbe anche strozzato l’amata, ma credo di sì.
Un racconto “divertente” e divertito.
A “bruciapelo” sono contenta di aver legato i miei destini ad un ingegnere piuttosto che ad un medico o ad uno scrittore di gialli, perchè, conoscendomi, di sicuro molte volte avrà pensato di farmi fuori, ma in modo meno doloroso, semplicemente buttandomi giù dal balcone, niente torture diaboliche… gli ingegneri sono pratici e pragmatici.
Ciao
anna
Ottima musicalità, le parole si fanno leggere senza interruzioni né fatica, e le immagini escono con una naturalezza disarmante, legate l’un l’altra: come se il corpo di lei ruotasse nel vuoto, ed ogni volta se ne vedesse un interno differente. Da pubblicare.
Racconto inquietante, se autobiografico traspare odio e disprezzo per la tua donna, non certo amore.
Bello, inatteso, fluido ma ogni parola al suo posto, necessaria, belle immagini, struggente e crudele, rivelativo, il tuo sguardo attraversato da un amore tossico… si colgono note di interessante confessione autobiografica…