Ben, il nostro Papà.

Ben più di un semplice ricordo. La Venuta al Mondo. L’Esistenza. La Vita, con le Gioie e le Delusioni, il Cuore e il Dolore.

Ben era il diminutivo di Be(r)n(ardino). Come Ben Hur, certo. Ma anche Ben Gurion, per altri versi.

Il Nome contiene qualcosa di buono, nella sua intima essenza. “Ben fatto”! e tutto è risolto…

Un pittore nato. Ricordo quella 128, indistruttibile, possente, altisonante. Era color cioccolato, quando Papà decise di donarle nuove tonalità. E divenne bionda come lo champagne. Quel colore giallino è unico: tenue e delicato, ma anche suadente. Una luce per gli occhi, in cui l’opaco si mesce al luminoso, come un gioiellino itinerante. Ma anche la 126 di mamma non era meno galante: turchese. Papà conosceva i segreti dell’iridescenza, e ce li estendeva. I colori sono belli, è vero, colpiscono l’attenzione: ma vanno dosati, assortiti, contemperati, pena lo stridore visivo, che non è meno alterato di quello acustico, anche se… cacooptico anziché cacofonico. Il risultato è analogo, uno stridore che stona, offende lo sguardo, delude le attese.

Invece Ben trascorreva le ore a curare i dettagli. Anche le cornici erano importanti, come forzieri di pregio, destinati a impreziosire ulteriormente i loro tesori. Le sceglieva una ad una, perché abbellissero, ben altro che dettagli accessori: contenitori esclusivi. Le ricordo frangiate, con bordi screziati, mai unite o parificate. E quei tocchi sublimi… non pennellate, ma tinte soavi, meravigliosa espressione della creatività.

ARTE… Solo quattro lettere, ma un Universo. La A è l’inizio stesso del panorama letterario, quell’alpha che per gli antichi Greci, e non solo per loro, rappresenta l’Arché, la Genesi della Vita. All’estremo opposto la E, seconda vocale, con cui l’emissione sonora apprende il suo primo, piccolo restringimento; eppure l’ARIA passa, eccome… e nella loro prima metà i due termini coincidono alla perfezione, non a caso. Al centro quelle due consonanti, di per sé così asso…RT…ite… Nulla avviene per caso, e lo stesso detto “senza Arte né (P)arte” lo attesta in toto. Eppure Egli è stato tutto, per me… “Arte”, ma anche “Parte”, senza dubbio: per non parlare del fatto che Parte è l’anagramma di Pater, il che rivela la sua singolarità eccezionale, i valori che mi ha donato e il culto per uno pseudoradicale paretimologico, il Pathos, inteso come la Passione per ciò che si fa, per quel che si vive. Nulla è più bello di ciò che abbiamo scelto, se lo tingiamo delle giuste tonalità, ravvivandolo della Bellezza e del Diletto, al di là della semplice Utilità.

Amava tenerci in braccio. Uno da una parte, uno dall’altra. Ma nel suo Cuore immenso c’era spazio per ogni suo Tesoro, anche le Donne: la sua Figliola, l’ultima venuta al mondo, Last but non Least… e la Moglie e la Madre, alla pari di nome e di fatto. Di nome, perché entrambi Mogli, entrambe Madri. Di fatto, perché in questi casi non si decide di voler più o meno bene. Quando la Natura ci dona la Vita, chi ce la concede è perfettamente sullo stesso piano di chi ce la dona, e non solo, ma ha fatto sì che la perpetuassimo in nuove Creature, Doni Divini, Preziose Propaggini, in grado di ravvivare il Futuro, animandolo, deliziosamente rinverdendolo.

Quando nacqui dipinse un Cavallo. Ma non era un semplice Puledro rampante: Furia, al confronto, sembrerebbe un animaletto mite e delicato… Quel Cavallo, invece, era il Simbolo della Sofferenza pura che frastornava la Mamma, tra parto e dolori. Eppure, secondo l’antico adagio tragico, solo soffrendo si impara: pathei mathos; e così si viene al mondo. La vita è meravigliosa, è vero, ma non scontata. Solo chi la sa affrontare, fin dalla nascita, può condurla al meglio, dirigendola verso le meraviglie uniche della realizzazione. Rendere Reale ciò che è Astratto: sembra appena un gioco di parole, eppure è l’Essenza dell’Umana Esistenza. Finché una cosa è solo in Potenza, non c’è per davvero. Quando Papà prendeva in mano un Pennello, la Potenza diveniva Atto, ma la Perfettibilità è Infinita e passavano giorni senza sosta, finché l’Immagine non prendesse la sua Forma, imponendosi all’Attenzione estasiata dello Spettatore.

Tutti lo cercavano, in quel Paesino stupendo. E lui volle ricambiare il trasporto con un’Ode splendida, Paese mio. E non a caso. Con la p minuscola s’intende un modesto centro abitato, più ristretto rispetto alle grandi comunità urbane, anche se per nulla inferiore nella sua pura sostanza. Con la maiuscola è lo Stato, la Nazione, un Territorio ricco di menti e zelanti ingegni. In ogni caso si tratta di un’espressione speciale del genere umano, e questo Papà lo sapeva benissimo, lui che aveva una parola giusta per tutti, e soprattutto un sorriso avvolgente, radioso, non meno pittorico delle sue tele.

Un giorno eravamo lì. Le “balle” di fieno erano pronte. Non tondeggianti, come oggi, ma rettangolari. Ed io, giovane e forte, sprizzavo Energia grazie al prezioso connubio dei geni paterni e materni. Le raccoglievo da terra e le gettavo in alto, in quel traino itinerante, che si riempiva ogni metro di più, in un affastellamento progressivo e inesausto. Il mucchio era sempre più cospicuo, consistente, disarmante. La Forza era il suo stesso Simbolo, e Papà si affannava a non apparire meno valido, efficace. Gli anni cominciavano a passare, i capelli a diradarsi, ma quelle rughe orizzontali sulla fronte erano solo il Simbolo dell’Esperienza, non del declino. La barba, sempre stornata, era rada, anch’essa nell’ottica di un’età pendente ma spostata in avanti, ogni giorno con tenace caparbietà. Il bianco cominciava a insidiare le basette, ed ecco che allora il rasoio lo allontanava, sempre più in alto, ogni giorno un po’ più su… Decise di aggrumare la sterpaglia, ammassandola al centro. Poi, come d’uso, l’avrebbe bruciata. Il Cielo avrebbe assorbito le esalazioni oscure, in un’ombra ardente destinata a inerpicarsi senza sosta. Il prato era sgombro, tutto si sarebbe risolto. Eppure il Diavolo è furbo, accarezza l’Anima e la perseguita. Papà aveva fatto un gran lavoro, bastava eliminare il superfluo. La fiamma intaccò il mucchio, ma poi si propagò, superando ogni argine. Papà si spaventò, capì che tutto degenerava. E allora prese a lottare, furibondo, fino a venire a a capo di quell’orrenda conflagrazione. Soffrì, ma scongiurò il disastro, debellò il Male. Non un Papà: un Eroe, e con la E maiuscola.

Eppure Egli non era solo un Pittore, ma amava lo Sport, ab imo corde: e anche quello con un trasporto sfrenato. Come quella volta, che condusse un pullman intero a Rijeka. Io ero solo un bimbo, mentre lui si prodigava a seguire la sua Squadra del Cuore e ad assicurarne lo spettacolo agli altri innamorati. Presidente del Club bianconero, di quello come tante altre societates, da uomo carismatico qual era, abbondava di idee, altruista dalla nascita, pieno di inventiva, creatività e… creatina (se l’etimo ha un senso!). Eppure anche quella volta il livore del Fato si addensò per obnubilare i suoi sforzi: un membro della comitiva si sentì male, mentre la squadra cadeva, sotto gli strali di Cruijff e Rep. Papà dedicò ogni suo sforzo ad assistere… ma con un complemento oggetto, non di termine; e un nome di persona, non di cosa. La Juve perse la Coppa, ma a lui la arrise la VITtoria, perché garantì la VITa a chi la stava per perdere. Non esiste trionfo più grande.

Noi eravamo i suoi Gioielli, lo diceva a tutti. Ci accompagnava ovunque con la sua vettura, sempre pronto, disponibile, generoso. La Sicurezza che ospitiamo ci proviene dall’Affetto. Nessuno più di chi ci ha messo al mondo può donarci il vero Senso della Vita: il prezioso Conforto dell’Amore. Naturalmente neanche il giorno degli esami mi fece mancare la sua presenza. Mi scortava, orgoglioso, davanti ai compagni di classe, di fronte a quell’Istituto antico e prestigioso. Era fiero che il suo primogenito varcasse la soglia della Cultura, conquistando la Maturità, nel senso scolastico del termine. Del resto, anche in quel caso era solo una lettera a fare la differenza… infatti, accomiatandosi, ci salutò in blocco, con il braccio più obliquo e dinamico di un tergicristallo. Dalla bocca gli usciva, candido e sincero, com’era lui del resto, il vocabolo da tutti aborrito, che inizia a sua volta con la A e fa rima con il nostro cognome, ma che per tradizione in certi casi non si può proferire, anzi neppure pensare, pena i debiti scongiuri. Non lo dimenticherò mai: i miei compagni si sforzavano ad allontanare gli effetti infausti del cattivo presagio,ma  io ero felice, irradiato dal suo Sorriso, puro e avvolgente, e in cuor mio gli giuravo solennemente che non lo avrei deluso, né quel giorno né mai. Del resto gli stava troppo a cuore, come la Pittura… Potrei anzi definirle le sue tre P: Padre, Pittore e Professore, cui se ne può aggiungere una quarta, Protettivo, ma non tanto di sé stesso, bensì di chi amava, col cuore, il trasporto e la dedizione che solo la Passione (ed ecco la quinta) Pura (ora siamo a sei) e Preziosa (sette è il numero… Perfetto, meglio fermarsi qui!) è in grado di assicurare.

Caro Papà, dove sei? Lo so che ci guardi e ci proteggi. La Vita è breve, ma va vissuta. Ogni buon Sentimento va rispettato, e tu lo facevi. Le Ali del Gabbiano erano il tuo Simbolo, e con esse firmavi ogni tuo Quadro. Il Gabbiano vola in Alto, oltre lo sguardo di chi lo ammira sulla Terra. E non ha limiti, è il Simbolo del Sogno, l’unico che ci fa superare il limite del Destino, e solo la creatività artistica riesce ad effigiare.

Ma adesso ti parlerò con il Cuore di un Figlio.

Non tutti abbiamo Figli, Papà, non tutti. La Vita è parca, a volte con la vocale interna aperta che va chiudendosi sempre più… Eppure è la nostra Vita. Un nome, talora anche un cognome… e comunque il senso dell’umano esistere.

Tu, Papà, sei stato T(an-UT)to per me. Io vivo grazie a te, e ho cercato di perpetuare la tua Stirpe.

Non so quanto poi ci sia riuscito, ma almeno ci ho provato. Quei Gabbiani in volo, la Libertà fatta Ala e Respiro, erano per me il Simbolo della tua Esistenza.

Io ci provo, Papà. Non è facile, oggi, seguire la Libertà. È un Fantasma, forse? Certo, mio fratello Pecco di sicuro lo direbbe, sulla scorta dell’immenso Luis.

Ma la Vita ci riempie, ci dà la forza. Siamo privilegiati, non è scontata né omnibus donata… Noi che ce l’abbiamo la dobbiamo riempire. Con cosa?

Questo è il Dilemma.

C’è chi pensa agli altri. Ed è giusto. Non tutti viviamo bene, e chi è meno fortunato ha gli stessi diritti.

C’è chi pensa a sé stesso. Meno nobile? Ma comunque concreto. È il fine ultimo di chi varca la soglia degli esperti traghettatori del “frale” animo umano.

C’è chi pensa al Passato. Come me, avvinto da una Passione Infinita per i nostri Padri, cui dobbiamo la Vita, ma anche Ragione, Sentimento e Cultura.

E chi al Presente: pragmatico, esatto, impeccabile. Ma non c’è Presente senza Passato, e che non guardi al Futuro.

E chi, appunto, al Futuro. Beato lui, Beati noi! La Vita è un Ostello, prima della Juventus, poi della Senectus, ma comunque un magico Ostello.

Noi che la assaporiamo, dobbiamo ringraziare il Cielo, o cos’Altro ci sovrasta, caro Papà.

Tu ci sei, io ci sono, noi ci siamo. In forme diverse, ma viviamo.

«Ho innalzato un monumento che durerà più del bronzo!», disse il Venosino, e così è, in effetti. Chi vive anche per la Gente, e non solo per Sé, non morirà, Mai.

Ille Tute Eras, Carissime Pater: un Fiore strappato al giardino, una Mente convulsa capace di generare.

Io non Ti dimenticherò mai, finché lo pneuma pervaderà la mia essenza. Ti porto con me, nelle midolla. Scevero, grazie a Te, il Bene dal Male.

Non sarò mai Onesto come Te, Puro e Corretto fino all’estremo: ci provo con tutte le mie forze, è vero, ma Tu sei sempre stato e sarai per me un Esempio irraggiungibile.

Il tuo (Ar)D(u)ino

Un pensiero su “Ben Yur”
  1. Estremamente profondo e intimo, il racconto approfondisce il rapporto tra il padre e l’autore, il quale attraverso alcuni aneddoti riesce a mettere in evidenza alcune delle qualità che meglio lo descrivevano. Sincero ed emozionato, l’autore esprime così lo stile di vita di un padre e artista, che per “definizione di mestiere”, presenta una visione della realtà diversa dall’ordinaria. Con senso di ammirazione, viene descritta la storia di un uomo che, nonostante la totalizzante passione per la pittura, mette sempre al primo posto il ruolo di padre, accompagnando il proprio figlio nelle tappe più significative della vita. Un racconto che apparentemente non segue un ordine cronologico ma il dinamico flusso dei ricordi e che si imprime nell’anima di chiunque lo legga.

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