Un giorno uno scacco, anzi un cavallo, si rese conto che rispetto alle altre pedine aveva un pro e un contro. Forse coincidevano, ma di fatto era l’unico superstite di un esercito devastato.
Il vantaggio era la sua bellezza: primula rossa, fiore nel deserto, croco d’una landa desolata, immerso in un buio sperduto.
Lo svantaggio era il numero: uno su mille, solo contro tutti, tutto in uno.
Il Buio va oltre la Siepe, non si ferma mai. E se ostacola lo sguardo, che spazia oltre il Miglio Verde, non è facile Volare nell’etere e rendere A ciascuno il suo.
Abbiamo le nostre Radici. C’è chi le trova confitte in elementi tenebrosi, come il carbone e il petrolio nella natura, o il black metal e l’horror nella cultura: non sempre è fuliggine o catrame bituminoso, tutt’altro. Le perle scure sono le più pregiate, attira la liquirizia e il nero di seppia, conviene il Black Friday, oltre misura…
Ma ogni racconto esige il suo spazio, dischiusa l’apertura.
Il cavallo girava desolato per la scacchiera. Aveva capito che era finita, non c’era più spazio, né respiro.
Lo attorniava, famelica, un’orda di bianchi, quelli belli: una torre e due alfieri, il re e la regina, con entrambi gli equini, i suoi dirimpettai, smaniosi e anelanti. E ancora tanti fanti, fermi ma ritti, tutti zitti.
La speranza era finita e il cavallo volò giù dalla scacchiera, al galoppo. Ed eccolo sulla strada, trafelato.
A chi rivolgersi? Il primo passante era un rischio lampante, così attese. Chissà, magari l’angelo custode era ancora nel paese.
Scrutava tutti, belli e brutti, uno per uno, escluso nessuno: bastava un saluto, un fatto compiuto.
Fu allora che lo vide: estroso, diverso… estroverso! Camminava con un procedere spedito, ma anche con la testa per aria, di chi vola in alto, sopra la media e la materia. Ogni pregio ha i suoi difetti, Talete ce lo insegna, e Platone con lui: maledetto fu quel pozzo…
Il viandante lo vide sconcertato, confuso e preoccupato. Impietosito, capì che doveva agire.
Ma come? Incerto, scelse la soluzione più originale. Già il suo aspetto era eloquente: un Arlecchino, tutto coriandoli il suo vestito, tanti colori, dentro e fuori.
Gli parlò per primo, per evitargli un brutto affanno e prevenire ogni danno.
«Che o chi cerchi, ti sei perso?»
«No, affatto. Non so dove sono, ma ho la Libertà. Perché mi parli? Sembro in difficoltà?»
«Non preoccuparti, di certo non oso, ma neanche riposo… Ho visto che eri perplesso, in attesa, non capisco di cosa…»
«Allora te lo dico, anche se non è facile spiegarlo. Mi divora quel che sento. Non sarà che son diverso?»
«Tutti siamo diversi. Eppure anche uguali. Ti sembra una contraddizione? Non è un’illusione, e neppure un’astrazione, ma basta un’operazione per mostrarne la ragione»
«E quale?»
«Semplice. Più semplice di così… Conosci la proprietà transitiva?»
«Ma certo: se A = B e B = C, allora…»
«Aspetta! Non andare oltre. Non noti che l’unica costante è “uguale”? Come la legge per tutti, del resto. Così è, se vi pare»
«Eppure spesso non sembra così»
«Ma la cosa non deve preoccuparti. Le ragioni sono tante, siamo noi che dobbiamo badare all’essenziale, senza farci male. Ora ti mostro un piccolo, grande prodigio: molto semplice, per la verità, ma anche tale da infonderti nuova luce, donarti un nuovo colore, anzi colori, venature e screziature»
Prese una bomboletta di vernice bianca e cominciò a spruzzarla sul suo interlocutore. Ce l’aveva proprio di fronte, animato da un desiderio insaziabile di capire.
Al termine dell’operazione, fantastica, e originale, imprevista e creativa, il cavallo non era più lo stesso.
Era tutta una striatura. L’intesa perfetta supera la differenza, aiuta la convivenza.
L’arma vincente è l’interazione, perché non siamo tutti uguali: ce ne sarà una ragione.
Dividere è una violenza, tradire la Natura. Se siamo diversi è per essere più forti, in nome del principio universale della resistenza. Un conto è stare accanto ai Poli, un altro all’Equatore: colà prevale il freddo, costì il calore, ma quel che conta è l’ardore, infuso in una vita variegata e ponderata.
I due ora erano fratelli.
Non conta se brutti o belli, solo la squisita essenza che accomuna: ricca di energia, come la cioccolata.
La Zebra, volgendosi all’Arlecchino, capì che era giunto il momento.
«Sai, sono convinta che tutti mi chiederanno cosa venga prima e cosa dopo, il bianco o il nero. Io farò come Calimero: un pulcino nero con il guscio bianco sul testolino, per sembrare birichino. Goccia a goccia, ti dirò la verità: non conta l’apparenza, ma la sostanza. Quel che ero prima son anche adesso, un cuore di panna, piccolo ma grande, amante di una vita colorita e colorata».
Si abbracciarono e continuarono insieme il cammino.
Intanto il sole al tramonto baciava la terra, offriva crepuscoli deliziosi, luce e ombra, dolce sorriso d’un passato che sarà.
Caro Arduino, solo ora con il silenzio assoluto della notte leggo il tuo racconto. Questo “skizzo” lo definirei una sorta di allegoria sulla diversità. Dove l’arlecchino, maschera ricca di un simbolismo contraddittorio, associato all’idea di gioco, allegria, ma legata alle origini che richiamano scenari infernali, diventa figura di aiutante e maestro di chi è rifiutato perché all’apparenza diverso.
Fiodor Bonaviri