Sembra così strano, vero?
L’Isola Che Non C’è era diventata tanto triste senza di lui. Grigia, silenziosa. Non si giocava più. Non si giocava mai. Capitan Uncino era stato sconfitto, ma i pirati erano rimasti. Erano tanti e cattivi, alcuni quasi quanto lui. Ma Peter Pan se n’era andato. Era diventato grande, era diventato vecchio. Aveva dei bambini e non lasciava mai la finestra della loro camera aperta, per paura che scappassero lontano, a divertirsi nell’Isola Che Non C’è, dove lui non poteva più tornare. Se non poteva tornarci lui, non poteva più tornarci nessun altro. Ormai era un uomo triste, spaventato, sarcastico. Astioso. Viveva nei ricordi di quello che era stato. Trascorreva le ore narrando ai figli le mirabolanti imprese compiute durante i suoi tempi d’oro, le epiche battaglie contro i pirati. Aveva abbandonato i suoi primi bambini, i Bimbi Sperduti, ora sperduti più che mai senza il loro capo, il loro amico, ma con i pirati sempre all’erta. Erano tempi duri sull’Isola, ma i Bimbi continuavano a sognare, a sperare. O almeno, ci provavano.
I pirati decisero che per sconfiggere i Bimbi bisognava dare loro altri giochi, non più pericolosi, ma che li tenessero buoni ed innocui. Giochi che li distraessero mentre loro portavano avanti oscuri piani di conquista dell’Isola. Inventarono tante armi che quando c’era Peter Pan non esistevano, così i Bimbi credevano di vincere sempre. Avevano la pistola e la bomba e l’automobile. I pirati li rifornirono anche di tante armi più sottili, con le quali si sentivano potenti, anche se non sapevano che in realtà erano solo frecce spuntate: libertà di stampa, di parola e di associazione, mezzi di comunicazione di massa come televisioni, computer, cellulari, il cui unico scopo era renderli più tranquilli ed ottimisti, rafforzando nel contempo il controllo su di loro. E poi c’erano i giochi: tanti giochi bellissimi, come far finta di. I Bimbi Sperduti facevano finta di essere grandi, di avere un lavoro e dei figli, di dover guadagnare tanti soldi per essere più felici. Finirono per crederci davvero. E così erano convinti di non stare più giocando, di non essere più bambini, di dover pensare solo a sé stessi. Dimenticarono i pirati, poiché disprezzavano i giochi, e smisero di credere alla realtà in cui vivevano, inventandosene un’altra.
Ormai i pirati erano riusciti a trasformare l’Isola: adesso era plumbea, densa di fumo e di cartelloni pubblicitari. C’erano automobili e palazzi altissimi e macchine straordinarie che facevano di tutto, lasciando i Bimbi liberi di sentirsi angosciati, liberi di credere di avere fretta, liberi di non interessarsi più alle trame dei pirati, di pensare che le guerre non li riguardassero più.
C’era ancora, sì, uno sparuto numero di Bimbi, capeggiati dalle fate, che organizzava la resistenza, anche se oramai quasi del tutto vuota e nostalgica. Avevano creato una radio clandestina, nascosta ai pirati, attraverso la quale provavano a diffondere la speranza, a spezzare l’ottusità che li circondava. Il loro desiderio era il ritorno di Peter, il loro progetto sostenerlo nella liberazione dell’Isola. Per lo più ricostruivano i giochi che Peter Pan aveva insegnato loro. Ogni tanto riuscivano a convincere anche gli altri Bimbi a partecipare alle guerre in cui, in scherzosa e ormai stanca memoria dei bei tempi andati, fingevano di odiare i pirati, di avercela a morte con loro e con ciò che stavano facendo. Così manifestavano, facevano occupazione nelle scuole, duellavano con spade di legno. Si sentivano liberi, più contenti e rilassati. Eppure era impossibile persuaderli del fatto che la loro era una battaglia vera: ormai nelle teste di quei poveri Bimbi realtà e finzione si erano completamente rovesciate. I pirati lo sapevano e li lasciavano fare, mentre continuavano i loro loschi traffici.
Un giorno però i figli di Peter Pan, stanchi di essere costretti ad ascoltare le sue continue rimembranze, malgrado il padre glielo avesse proibito, aprirono la finestra e fuggirono. Tuttavia, la loro fuga non bastò a smuovere Peter dalla sua nostalgia: oppresso dal peso del ricordo, egli non uscì di casa per cercarli e la situazione sull’Isola non cambiò. Alla fine i Bimbi della radio, esasperati dall’attesa, decisero di andare di persona a recuperare Peter per riportarlo sull’Isola e la radio che continuava a riproporre i giochi di una volta lanciò un messaggio all’Isola Che Non C’è: che tutti indossassero di nuovo i vestiti di quando Peter volava, combatteva ed esultava, per poi ritrovarsi nel loro vecchio rifugio segreto.
I figli di Peter cavalcavano leggeri nuvole e correnti d’aria, e intanto gli indiani, gli animali, gli alberi, i pochi Bimbi che non avevano dimenticato il loro fantastico capo, si ritrovarono presso il grande albero cavo che una volta era il loro nascondiglio, con indosso jeans sdruciti, anfibi, maglioni pelosi e sciarpacce, e si riconobbero e si salutarono. Quindi Trilli li guidò fuori dall’Isola, verso la casa di Peter. Gli abitanti dell’Isola si lanciarono nella corsa, come quando li inseguivano i pirati: volavano per le strade trafficate con le bandiere in mano, gridando esultanti.
Un Bimbo che attraversava frettolosamente un parcheggio vicino al confine tra l’Isola e il Mondo Reale vide quel vortice di colori urlante e festante. Si fermò, la bocca spalancata, e un sorriso appianò le rughe del suo volto stanco: “Sei tornato, Peter!”. E una lacrima gli rigò la guancia.
Ma Peter Pan non era tornato per restare. Obbligato al ritorno dai Bimbi Sperduti, presto si preparò a ripartire. Non era più un bambino e il luogo in cui si trovava non era più il mondo puro e perfetto che ricordava. Vecchio, stanco, ma ancora terribilmente infantile, Peter si ostinava a comportarsi com’era sua abitudine nel passato. Non era in grado di affrontare il fatto che l’Isola era cambiata, che lui era cambiato. I Bimbi provarono a fargli comprendere la realtà in cui si trovavano, il loro bisogno di aiuto. Ma infine si accorsero che davvero era inutile: Peter Pan non apparteneva più all’Isola Che Non C’è. Regnava solo nei loro ricordi. L’Isola si era trasformata e aveva bisogno di nuovi eroi.
Mentre i Bimbi erano impegnati in un ultimo tentativo per dissuadere Peter dal ritorno a casa, i suoi figli sorvolarono i cieli dell’Isola: le loro capriole e i loro volteggi tracciavano strani arabeschi tra le nuvole, aprendo ampi sprazzi di cielo azzurro nella loro cortina fumosa. Ma i Bimbi erano troppo impegnati con Peter per accorgersene: solo i loro figli, a cui non importava niente di un bambino troppo cresciuto, alzarono la testa e li videro. I figli di Peter li salutarono con un sorriso un po’ incerto, fecero un’ultima giravolta e sparirono nell’aria, lasciandoli col naso per aria e pieni di stupore.
Peter Pan tornò a casa, volando per l’ultima volta sopra i cieli tormentati dell’Isola, spazzati da un vento disperato.
Un 1984 per bambini, scritto molto bene.
Penso che anche l’autore stesso abbia avuto paura di immaginare il futuro dell’eterno bambino, tu ce l’hai fatta e non è cosa da poco. In un presente dove ci chiamano “bamboccioni” e ci si tira e impomata per ritardare sempre di più la fine della gioventù, fa bene ricordarsi che tutti invecchiano. (oltretutto l’Italia è …un paese per vecchi!)
Però speravo che Peter venisse su un po’ più allegro…
Complimenti. Molto bello questo racconto. stavo cercando un racconto da leggere a dei bambini di 9 anni, ho invece trovato un racconto per me…
Secondo me Peter Pan esiste ancora e non è morto perchè io credo in lui e so che esiste ancora, certo sarà pure cresciuto ma non cosi vecchio da non avere il coraggio di ritornare nell’Isola che non c’è …quindi IO CREDO NELLE FATE… E IN PETER PAN…
Io credo in Peter Pan e nelle fate… fin da piccola aspettavo fuori alla finistra di camera mia mi addormentavo lì e poi la notte lo sognavo, sconfiggevamo i pirati, nuotavamo con le sirene e giocavamo con i bimbi sperduti… peccato che era solo un sogno 🙁
A me piace molto PETER PAN però me l’aspettavo più allegra la storia ♡★☆♥
Peter Pan è dentro ogni bambino… Basta nutrirlo ogni giorno e vivrà per sempre…
Anche io credo in Peter Pan
Io credo in Peter Pan, una volta ero un po’ piccola, mi era sembrato di vedere veramente Peter Pan dalla finestra che mi fissava. Io credo che Peter Pan esiste veramente e poi non può crescere perché nell’isola che non c’è può scegliere o crescere o rimanere per sempre bambino
Io credo in Peter Pan e nelle fate, mio fratello ha mandato un palloncino nell’isola che non c’è!