Vuote, nate stanche,

perennemente eguali,

confondono gli occhi,

rabbuiano la mente.

Nate soppresse,

celano ricordi,

coprono il presente

e le sue maglie biliari.

Cessa di tormentarti,

non crucciarti derelitto,

nella smorfia malsana

d’un viso sconfitto.

Non è troppo tardi.

Nebbie screziate

e caligini maculate

volino lontano.

E con loro

quel fischio ammorbante

stridulo, petulante.

Splenda il nitore

d’una duna,

ad una ad una

tornino le ore.

Guardo la luna

e sento l’amore.

Un pensiero su “Le nostre ore”
  1. Questo carme (dal latino “carmen”: poesia- canto) ci proietta, già dal primo verso, in una landa solitaria e desolata nella quale il tempo quasi non esiste e l’uomo sembra destinato a perire o a perdersi nell’oscurità della mente e del cuore. Il tempo non ha più senso perché le ore, “perennemente eguali”, sono “vuote” e “stanche”, quasi “nate soppresse”, già estenuate o inesistenti. La mente non ha più ricordi, oppure essi, del tutto celati, oscurano anche il presente. Senza il tempo e al buio delle memorie, non esiste vita! Ma una voce interiore si fa strada nella mente dell’uomo sconfitto dalla vita ed in preda ad un nichilismo esistenziale. Nasce improvviso uno slancio di orgoglio che fa rinascere la pienezza dell’essere. E se carme vuol dire anche “canto”, ecco che, nel finale del componimento, sembra che esso sgorghi improvvisamente dalle viscere della terra per salire fino al cielo, dove la luna, da sempre custode delle umane emozioni, illuminando l’uomo oppresso dall’oscura caligine, libera la sua anima e apre il cuore ad un canto d’amore che solo può farci vibrare, alla luce di una vita vera. Se non esiste vita senza il tempo, non esiste vita (e tempo) senza l’amore.
    Sotto il profilo linguistico-formale, questo carme presenta una veste stilistica solo apparentemente semplice, poiché il tessuto lessicale è impreziosito da vocaboli aulici ed immagini pregnanti, quali “maglie biliari”, “nebbie screziate”, “caligini maculate”, “fischio ammorbante”, “nitore” etc. Da notare anche il sottile gioco linguistico dei vv.21-22: “d’una duna/ ad una ad una”. Versi liberi, ma sapientemente costruiti che rendono questo carme di Arduino Maiuri un piccolo gioiello letterario.

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