C’era una sfera,
tonda, cristallina,
priva di ogni spina.
Innata perfezione,
viveva in ogni dove,
penetrava nelle alcove.
Un giorno tra i suoi giri
mi vide desolato,
affranto e addolorato.
Subito mi chiese
quale fosse la ragione
d’una tal costernazione.
Le risposi senza veli:
“Non son più quello di ieri,
ad un tratto ho aperto gli occhi,
sento dentro i colpi veri,
non più semplici rintocchi.
Cosa è giusto, che ho sbagliato?
Non ho più la soluzione,
vivo senza una ragione”.
Ma lei senza esitazione:
“Non è vero, non temere,
son ben altre le chimere,
le brutali, quelle vere.
Devi stare a testa alta,
non subire l’alluvione,
stemperare la passione.
Va affrontato lancia in resta
tutto quel che ci tempesta,
presto o tardi svanirà,
non si cambia la realtà.
Certo, passi da giganti
ogni giorno fa la scienza,
ma una semplice influenza
può impedir d’andare avanti.
Il segreto è assaporare
quelle gioie senza eguali
che ci rendono immortali.
Fresche e pure come l’acqua,
calde e buone come il pane,
son le gioie quotidiane.
Tu lo sai di cosa parlo,
dona loro quel tuo abbraccio,
non sentirti più uno straccio”.
Sillabe vere, gonfie d’amore,
fiere e sincere, senza rumore.
Parlò, poi balzò: via i pensieri,
lontani i però, di oggi e di ieri.
Da queste righe percepisco tutto il dolore, risentimento, delusione del poeta. Aveva delle certezze ma ora sembrano mancare. Si domanda cosa sia stato giusto o sbagliato. Le ferite sono tante, il tormento è ancora forte, piano, piano, con piccole gioie quotidiane (basta riconoscerle) esse guariranno.
Il testo della poesia mi ha pervaso e seppur con le dovute differenze mi ci rispecchio. Sono 5 anni che cerco di rialzarmi. Persi il lavoro “sicuro” e cerco di aggrapparmi ad ogni piccola gioia anche se a volte faccio fatica a notarle. Proprio oggi è sfuggita l’ennesima possibilità di crescita lavorativa, ci sto male si ma non molllo e attendo, nuovamente quello che merito.