Forse si può benissimo credere nella Chiave di casa. Non è essa, infatti, una piccola dea metallica che molto spesso rimane con noi ed alla quale pensiamo più che a Dio? Lei condiziona il nostro ritorno al luogo scelto per dimora, corre rapida alle mani e spalanca un rifugio alle oppressioni della vita, gira, talvolta, vorticosamente, nella toppa ed oppone una barriera a sguardi indiscreti. L’uomo che non l’ha in tasca è un infelice, poiché vive con una spina nel cervello: la consapevolezza che egli dovrà chiedere l’aiuto di un consanguineo, parente o persona del genere per entrare nella sua figura geometrica di cemento, vulnerabile ma adorato ostello-prigione. I dubbi lo tormentano ed egli se la prende con tutto ciò che gli viene in mente: con qualcuno colpevole di non esser lì ad aprirgli la porta, con gli dei pagani, con gli Esseri Superiori di tutte le religioni, in una fantasmagorica girandola di pensieri, tradotti magari in imprecazioni paurose da far rizzare i capelli in testa. Il derelitto sarà capace pure, in un impeto di fiammante e sacrosanta reazione soggettiva, di scaricare tutta la sua ira su un oggetto qualsiasi e se gli capiterà di racimolare qualche briciola di autocritica, giungerà perfino a prendersela con sé stesso. Di tutto ciò, tra parentesi, approfitta Madama Morte, la quale ruba al povero senza-chiave preziosi momenti di esistenza serena, poiché egli è indifeso dai pericoli della vita ed il tempo gli passa a logorarsi i nervi… Adoriamo, dunque, questa minuscola ma preziosissima divinità materiale, diventando feticisti ed aborrendo religioni inservibili anche ad aprire usci, porte e portoni!

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