Filari di ulivi dalle foglie color verde argentato emergono dai miei ricordi insieme al frinire delle cicale nei pomeriggi caldi ed assolati.
Il profumo forte dei gerani rossi si univa a quello dei fichi maturi e del basilico dalle foglie larghe e carnose, cresciuto nelle vecchie pentole smaltate che avevano conosciuto profumi di arrosti e di sughi domenicali e se ne stavano appese al muro bianco ed assolato della casa come gli anziani al sole invernale.
La siepe di rosmarino, attaccata al muretto a secco di pietre chiare venate di rossiccio, separava il giardino dall’orto dove su un lato i mandorli stiravano verso l’alto le loro braccia legnose che ogni anno riscalavo, sempre meno audacemente, per raccoglierne i frutti che aprivo uno per uno, nell’incavo grosso del secondo gradino della scalinata in pietra della cucina, con un unico colpo deciso, brandendo il peso da un chilo della bilancia che stava dietro alla tenda gialla del vecchio camino nella stanza della nonna e ormai in disuso.
Dopo il giardino c’erano il tratturo, gli oliveti, i filari di viti; più giù i campi dorati del grano ormai trebbiato e lontano lontano la striscia azzurra del mare.
Pomeriggi di estati calde, asciutte, con un cielo limpido e senza nuvole, ritmate da tempi lunghi e senza fretta e arricchite da letture serene, sdraiata sul letto della stanza in fondo al corridoio, fresca per i muri spessi e quasi in penombra.
Pomeriggi senza tempo, quando tutto si fermava e la casa cadeva in un silenzio interrotto solo dal raro passaggio di qualche auto nella strada e dall’autobus che andava e veniva ogni ora dalla stazione ferroviaria trasportando i pochi passeggeri che si avventuravano in un viaggio torrido, ma necessario.
Gli unici rumori che percepivo erano quelli delle pagine del libro che giravo leggendo, il ronfo leggero del respiro della vecchia gatta che dormiva sulla sedia impagliata, il ticchettio della sveglia che registrava il fluire degli attimi che andavano ad accumularsi da qualche parte nell’universo per poi riprendere la loro corsa allorquando l’incantesimo pomeridiano finiva.
Pomeriggi semplici, senza affanni,  pieni solo di avventure immaginate  che col passare degli anni si facevano più intricate, più cariche di sentimenti, di passioni, di dolori, di avventure.
Pomeriggi che duravano quanto il respiro caldo della giornata.
Poi Michele nel giardino a fianco, suonando la sua chitarra, rompeva quell’incanto e cantando ne iniziava un altro.  

 

4 pensiero su “Pomeriggi d’estate”
  1. Pomeriggi senza tempo…, li ricordo anch’io, perché li ho vissuti. Un racconto profumato di odori di terra, di cibo, di stanze grandi vecchie ma pulite, ricordi sempre presenti di chi ha vissuto, per sua fortuna un’adolescenza profumata di gioiosa crescita. Leggerti fa star bene il cuore e la mente.
    Ciao.
    Sandra

  2. In un attimo quante cose possono passare per la mente e per la coscienza. Bisogna avere una mente, ed una coscienza. Ciao…

  3. Un bel quadretto di vita, che ha il sapore genuino delle cose semplici e proprio per questo più preziose.

    Atmosfera rarefatta e sospesa, in una dimensione quasi senza tempo, capace di irretire il lettore…
    Per un attimo mi è sembrato di essere lì, in quelle stanze, immersa nella lettura, sino a quando le note di una chitarra non mi hanno fatto chiudere gli occhi e accendere i sensi.

  4. che bello scritto! Un viaggio indietro nel tempo, a ritrovare odori, colori e suoni sopiti in un angolo nascosto del cuore e che anche io ho rivisitato con nostalgia rileggendo le tue belle parole.
    Grazie, Mary

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