Una, due, tre, quattro
Si schiantano sul davanzale
Dopo una lunga corsa
Quanto da me alle nuvole
Si suicidano le gocce
Esplodono quando toccano il marmo
Tutto quello che hanno dentro diventa finalmente visibile
Acqua
Una, due, tre
Veloci bagnano il terreno arido
Lo impregnano di nuove speranze, di nuova freschezza
L’afa malvolentieri si spegne mentre piove
Si nasconde e allenta la sua presa
Sarà ancora la terra a piangere quando l’acqua smetterà di scendere
Siccità
Una, due
Sono come il terreno
Sorrido sotto la pioggia
Smetto davanti al sole torrido calabrese
Ritornerò nel mio lamento lagnoso
Senza speranza e senza freschezza
Collasserò dentro di me sotto il peso dell’insicurezza
Ancora la paura dell’unica persona capace di farmi male
Io
Una
Il cielo si mangia la nuvola
L’attimo di lucidità bruciato dal sole
Torna il mio buio nell’accecante luce di luglio
Ancora sola, ancora vomito
Sono malata di me e non vi è guarigione
Follia
Dietro i suoi occhi non c’era più nessuno.
Derubata dalle nuvole uscì di casa in ciabatte, spettinata. Era vestita di nero come se fosse a lutto, aveva ammazzato se stessa e voleva mostrarlo a tutti. Il passo era instabile, sconfitto, pazzo. Si incamminò per la strada polverosa senza mai voltarsi, mordendosi irrazionalmente la pelle tra il pollice e l’indice, continuò ad inseguire la nuvola che l’aveva fatta sorridere illudendola.
La figura di Donna svanì insieme all’acquazzone estivo portandosi dietro la sua solitudine.
Bella… Profonda ed intimista, ma allo stesso tempo fortemente evocativa di immagini, suoni… Come guardare un cortometraggio e vedere, sentire, percepire, per ritrovarsi in quei luoghi, in quel momento e con quello stato d’animo… E questa è magia…