L’immenso mare che noi navigammo
tra flutti e spaventose grida, ora
non è che una misera pozzanghera, salata
dove un viaggiatore stanco pulisce i suoi stivali
dopo aver camminato tanto.
E l’arena e la tenera spiaggia, e i ciottoli
e le fragili radici che qua e là spuntano
facendo capolino, tra la ghiaia e la roccia
recano ancora, nel calore della terra
nelle punte aguzze, nelle cime riarse dal sole
fino al più profondo del mare,
la traccia del nostro via vai millenario
ed è così che le onde non si chiudono più
al nostro passaggio, ma continuano a infrangersi
con grande fracasso, la roccia conserva la forma
dei nostri corpi bianchi, stretti durante la tempesta
che ci sorprese con gli occhi ancora chiusi dal sonno
stretti l’uno contro l’altra come a conservarlo per sempre
come i ricordi, come il ricordo di noi due,
come il ricordo del nostro amore
e i boccioli di ipomea dischiusi dal primo raggio
e gli steli piegati dalla nostra presenza
con le teste rivolte a ovest, ad attendere il tramonto.
L’immensa spiaggia che noi attraversammo
correndo, come cavalli al galoppo
con il sole che ci colpiva forte in viso
non è che un arido deserto, desolato
triste, vuoto, prosciugato
dove la pioggia non cade e nulla lo attraversa
se non il tempo, se non il vento
e l’amore non vi fa più parte, da quando ce ne andammo
per cercare altri mari, per raggiungere altri lidi
insaziabili, stanchi, insoddisfatti.
E che ne è dello sperone roccioso,
del canale riarso, della tenera ipomea in fiore
che ne è della spiaggia nascosta,
che solo noi conoscevamo, e per questo solo nostra
che ne è ora, che tu sei andato via e io mi sono persa?
Continuo a ripercorrere le tue orme
a fare ogni giorno lo stesso tragitto
lungo la spiaggia deserta, ti chiamo
e nel vento mi ritorna di rimando la tua voce
ma tu non ci sei.
Non ci sei.
E così che il mio cuore ogni volta ha un sussulto
il mio corpo è come questa roccia che vive da secoli
e la mia anima non ha pace.