È aprile.

Da qui posso contare tre alberi di Giuda, sul lato opposto della strada, in piena fioritura; di un rosa intenso che gemma direttamente dai rami e persino dal tronco.
Le foglie, in timida soggezione, si scorgono appena, incastonate tra questa prepotenza floreale.

A fine inverno, questi fiori si muteranno in baccelli, gravidi di piatti semi, macabramente visibili in trasparenza come costole di carogna sotto la pelle morta, “alla svolta di un sentiero” nascosto dal tempo.
Al primo vento ciondoleranno docilmente impiccati, distesi l’uno accanto all’altro, con i plurimi piccoli ventri gravidi dei piccoli semi schiacciati come monetine coniate dalla paziente mano artigiana,
con gesti ripetuti e aggraziati nella bottega ancestrale.

Tutti i piccoli feti sepolti nei baccelli, distaccati e secchi, nei ventri delle madri-baccello-impiccate, produrranno un frastuono spettrale alla minima folata stoccata.
Di tanto in tanto nuvole nere s’affacceranno a indicarseli di rimando con sguardo torvo di disapprovazione.

Di notte, ogni baccello, gravido di anime in pena, griderà; ogni grido sospinto dal vento si farà largo in carambola dai rami, riecheggiando, in urla stracciate, la leggenda del Giuda che scelse questo ramo
per consegnarsi all’eternità.

Un pensiero su “Siliquastro”
  1. Molto piacevole (molto buona tensione a tratti) e pure istruttivo … non essendomi mai chiesto se fosse di qualche genere particolare quel dato albero.

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