I diavoli con gli occhi dolci

sono gli angeli svogliati.

I timbri sulle buste da lettere

pratiche dimenticate.

Le parole delle canzoni

mi salgono addosso come vermi.

Mettere le mani in tasca e ritrovare

un accendino che pensavo perduto,

un segno del destino?

Quanto avrei voluto che mi mischiassi la candida,

per curarmi d’antibiotici.

E accarezzare l’anoressia nervosa

come soluzione non banale

al problema esistenziale

di piacere, o no.

E fumare dentro le case.

E fumare fuori le chiese.

E prendersi a schiaffi con le suore.

Tentennare e non lasciare

il lisergico ricordo.

Parlare in continuazione,

tacere per attimi studiati,

e riprendere poi con modi teatrali.

Essere l’attore che interpreta me

nella vita reale:

un ruolo noioso, ma che non posso

trascurare.

Come non posso trascurare

i miei gatti: spazzolarli ed amarli.

Aiutare mio padre ad essere un uomo migliore,

realizzandomi per non farlo vergognare.

Non buttarmi via ed evitare di sbadigliare.

Leggere gli oroscopi del giorno,

e scegliere di essere il segno migliore.

Ucciderò mai un astrologo?

Di certo lo farei per le bugie che scrive

quando tutto va male.

Movimenti inesistenti di sassi che chiamo

pianeti, e che influenzerebbero la mia vita?

Quanto vorrei fosse così semplice!

I rifugi dallo stress sono case in riva al mare,

ma molto più spesso buchi nel cervello.

Itinerari interessanti, quelli fra i boschi,

da percorrere con in mano bottiglie di vodka,

da svuotare e lasciare lì, in mezzo ai pini,

a testimoniare che “Io sono stato qui!”.

E sogno i Soviet, poi quando mi conviene

le divise da SS ed i teschi dei pirati.

Poi ancora gli abbracci, e sono tenero e mieloso.

Romantico per forza, è nel personaggio.

Sconsiderato nello scegliermi i momenti per agire,

i bersagli da colpire.

Un Patriot che si scaglia contro i funghi atomici

di Hiroshyma e Nagasaky.

Fonderò le mie ossa con il cranio di un cane,

per creare un ibrido fedele, che lecca, alza la coscia per pisciare,

porta il giornale, dorme sul letto, si guadagna i biscotti.

Metto, per uscire, un fiore di gelsomino:

che tutti sappiano che sono vergine.

Micro gonne mi rendono timido;

nudità pubica mi slancia nella conversazione.

Ho perso la cerimonia d’apertura delle

Olimpiadi del buon’umore:

quindi, perchè seguirne gli eventi assiduamente?

Resto seduto in terrazza da Ale e volto lo sguardo.

Incontro aghi di pino malati, truppe di uccelli che tubano,

resine colanti che diventano ambra

dove si conservano per sempre i miei sguardi.

 

3 pensiero su “Per me e per R.”
  1. accosti idee e parole in modo apparentemente casuale e provocatorio.
    un modo di vomitare speranze e delusioni così da colpire l’animo e la mente di chi ti legge determinandone lo stupore.
    se non avessi già letto altre cose tue, veramente mi lasceresti perplessa.
    credo, però, che se il tuo intento è colpire, tu ci sia riuscito.
    altro è dire se questo ti corrisponda o se mi piaccia.
    ciao
    anna

  2. Anna il mio intento era trasmettere un senso d’angoscia, lo stesso che provo io… un pò per il futuro, un pò per una relazione che non è più possibile recuperare… sono considerazioni libere da qualunque nesso logico, buttate giù a caso, sulla terrazza di un amico (l'”Ale”della poesia), da cui potevo vedere la finestra della persona per cui ho sofferto e soffro.
    grazie per l’attenzione, un abraccio…

  3. … infatti leggevo la tua disperazione in quegli aghi di pino e in quell’ambra che cattura lo sguardo e lo pietrifica per sempre.
    del resto anche il ritmo incalzante e oserei dire ossessivo denuncia l’angoscia del poeta, stordito dalla delusione per quanto poteva essere e non è stato.
    come dico di solito questa da te cantata è una “bella” disperazione, ma troppo amara e senza speranza.
    aspetto tuoi nuovi scritti, ricchi di quella verve che ti caratterizza e mi piace.
    un abbraccio
    anna

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