1920

Il sole era sparito dietro i monti, e non illuminava più i tetti di Bourmont. Padre Claude tornava verso la chiesa, risalendo la strada, affaticato. Aveva le ossa deboli e il fiatone pronto, nonostante i cinquant’anni.

“Gaspard ne ha sessanta e continua a lavorare in campagna”, pensò. “Fabrice costruisce ancora case, e potrebbe essermi padre. Fortunatamente il Signore mi ha affidato un incarico stancante solo spiritualmente…”

Entrò nella chiesa, si segnò, e si sedette.

«Bentornato» disse Christophe. Il vecchio barbuto sempre sorridente stava spegnendo le candele, col suo solito modo di inumidire le dita e stringere lo stoppino, provocando un flebile «psss».

«La cena è pronta, Claude.»

Claude aprì gli occhi che prima aveva chiuso. «Bene Christophe. Vai pure, ti raggiungo subito.»

Christophe lo guardò preoccupato, come al solito, quindi si dileguò.

Padre Claude si inginocchiò e intrecciò le dita in un unico pugno. Non pregava. Dialogava con Dio; come sempre. Senza ottenere una risposta, ovviamente – benché spesso aveva l’impressione di sentire qualcosa – ma invocando il suo aiuto.

Finì il suo piccolo monologo, quindi prese una piccola Bibbia dalla cavità interna della panca, e lesse i soliti passi.

Matteo 15,22: Ed ecco una donna cananea di quei luoghi venne fuori e si mise a gridare: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide. Mia figlia è gravemente tormentata da un demonio».

Luca 4,41: Da molti uscivano i demoni, gridando e dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Ma egli li sgridava e non permetteva loro di parlare, perché sapevano che egli era il Cristo.”

Le parole cominciarono ad appannarsi. Claude si sfregò gli occhi e chiuse il libricino.

 

C’era un’enorme chiesa, ma non era una chiesa vera e propria: recava grandi colonne, ma avvicinandosi sempre di più si aprivano stanze nuove, enormi, in cui la luce filtrava in fessure che si aprivano in grandi e nude sale di pietra. Sale che potevano ospitare almeno cinque Notre-Dame, buie, ma illuminate abbastanza da poter scorgere le pareti e il pavimento. Infine ecco, un’altra stanza, più piccola e, appoggiato alla parete, un sarcofago. Una figura vi si materializzava all’interno, dapprima simile a una mummia, braccia incrociate sul petto, poi prendeva forma. Un uomo calvo e alto, vestito con abiti orientali semplici. Un uomo molto alto, seppur magro, con tracce nere attorno agli occhi. Claude pensava potesse misurare almeno due metri e mezzo.

Aion.

Poi succedeva qualcosa. L’uomo allungava la mano e da questa vi scaturiva qualcosa di potente e pericoloso. Investiva l’intera sala, come un vento turbinoso e colorato, come fuoco e lava, e Claude in preda al più folle terrore scappava e riusciva sempre a evitare di essere colpito.

Ma mentre dava le spalle all’uomo, riuscendo a raggiungere l’entrata della chiesa, scompariva tutto.

E usciva. Si trovava all’interno della chiesa, di quell’assurda chiesa mastodontica, di quella chiesa-piramide, in cui le stanze giganti sembravano esserci e non esserci, e il cuore dell’edificio poteva essere l’ingresso.

E l’ingresso era. Vedeva le porte aperte, e quelle dell’uscita verso il mondo esterno chiuse. Vi correva incontro, si avvicinavano, era davanti alla libertà, aveva quasi tutti gli occhi completamente aperti. Afferrava la maniglia, tirava…

Non era l’uscita, ma una porta che apriva una bara. Scorgeva la pelle grigia di un cadavere…

 

Si svegliò. Gli doleva la schiena. Sentiva di essere uscito dall’inferno, ma sapeva che rischiava di tornarci, un giorno o l’altro.

Si segnò, perché il segno della croce scacciava via tutto ciò che è diabolico. Strinse il crocifisso che aveva appeso al collo.

Tornò a dormire come al solito.

 

I raggi del sole filtravano nella chiesa deserta. La messa era finita, tutti erano andati in pace. Claude stava per togliersi gli abiti, ma esitò. La porta della chiesa si aprì con quel cigolio che infastidiva tanto lui e i fedeli in silenzio durante la messa.

Una figura smilza e timorosa apparve, richiudendosi la porta alle spalle.

«Buongiorno» disse Claude.

La figura percorse la distanza che li separava.

“Bernard, lo studioso”, pensò Claude, riconoscendo l’uomo vestito in grigio e marrone. “Non è mai entrato in chiesa, da quando si è trasferito a Bourmont. Cosa vorrà? Meglio non fidarsi…”

«Buongiorno, padre…» sussurrò Bernard. Non poteva avere più di quarantacinque anni, ma sembrava incredibilmente vecchio. Si tormentava le mani, le guance scavate gli tremavano, e gli occhi… avevano uno strano bagliore di vita, di sapienza, che contrastavano col resto della persona.

«Dite pure» lo incoraggiò Claude, fingendo bontà e comprensione. Mascherava l’immensa curiosità e diffidenza che gli cresceva nel cuore.

Bernard si guardò attorno. Posò gli occhi sul crocifisso che si trovava dietro l’altare, e a Claude parve di vedere che non vi si soffermarono solo per qualche secondo. Non aveva bisogno di voltarsi, sapeva che il Cristo morente era appeso a una croce, dietro di lui, dono di un ricco proprietario, risalente a molti anni addietro. Oltre a quello, gli parve di vedere un rapido, insolente, triste sorriso.

«Vorrei confessarmi» ammise infine.

Claude lo stava ancora guardando; un’espressione di disapprovazione era sul punto di sorgere sul suo viso, ma dopo qualche secondo, come se l’ammissione dello studioso implicava la spiegazione di tutta la sua curiosità, annuì distrattamente e si incamminò.

«Seguimi» disse.

Claude scostò la tenda purpurea ed entrò nel confessionale. Attese che lo facesse anche Bernard. Recitò la formula di rito e attese la risposta.

Attraverso la grata di ferro vide il volto dello studioso, e vi lesse il dissidio.

«Allora?» lo incitò.

Bernard si voltò e disse, con foga, ma sussurrando: «Padre io ho peccato.

«Non sono un credente, ma… vedete, io mi sono interessato di lingue antiche, e ho studiato e studio tuttora antichi documenti…»

“Non sei credente? Non puoi nemmeno confessarti!”, pensò Claude. Ma non lo disse. Voleva sapere.

«Ho scoperto una cosa», continuò. «La cosa.» Rise sommessamente. Una risata fredda, senza sentimento, se non crudele e folle ironia.

«Cosa?» chiese Claude, quasi irritato. «Quali sono i tuoi peccati?»

«Qual è il peggiore dei peccati?»

Claude si zittì. «Nessun peccato è mai leggero. L’omicidio, suppongo, sia…»

Bernard scosse tristemente la testa mugugnando qualcosa.

Claude disse con impazienza: «Probabilmente il peccato più grave di tutti è opporsi a Dio, non accettare il suo volere, negare la sua potenza, considerarsi migliore…»

«Il desiderio di essere Dio non è forse il peggiore? E cosa succede quando questo desiderio si avvera, in una certa misura?»

Claude non capiva.

Bernard si avvicinò ulteriormente alla grata.

Anche Claude s’avvicinò. Sentiva che lo studioso era sul punto di rivelare finalmente l’enorme peccato di cui stava parlando.

«Io lo so», sussurrò.

«Cosa sai?»

Attese per secondi interminabili. «Tutto. Il… il significato della vita…» Cominciò a parlare velocemente: «Padre, l’ho scoperto, ed è così ovvio, dannazione, bastava leggere con attenzione i testi antichi… E ora… la vita ha perso il suo scopo, come una bottiglia vuota… fino all’ultimo goccio.

«Cosa mi succederà, padre?»

Claude era spaventato. Se si fosse trattato del contadino Gaspard, o del muratore Fabrice, avrebbe risposto: «Va tutto bene, il disegno di Dio è troppo grande per la nostra comprensione: la tua fede ora dev’essere più salda di prima, ma la tua anima è ancora pura, e non c’è alcun rischio che tu ti perda nelle tenebre dell’inesistenza.»

«Non lo so», rispose infine. «Il disegno di Dio è grande, e noi uomini non siamo in grado di…»

«Ma è scritto! Non sono l’unico a saperlo: già qualcuno, in passato, l’ha scoperto, e ha tentato di nascondere ogni testo. Ma non è stato in grado di farlo, e io ho letto…»

«Perché sei venuto qui, allora?»

Bernard temporeggiò. Poi: «Non sapevo dove andare, con chi parlare.»

“La casa del Signore…”, pensò Claude rincuorandosi. La sua fede era ancora salda. Forse.

«Medita. Prendi in considerazione l’ipotesi che tu potresti avere torto. Non insistere nella ricerca.»

«Grazie padre» rispose Bernard. Era chiara la sua insoddisfazione. Usciti dal confessionale, estrasse una penna dalla tasca, e chiese: «Avete un foglio di carta e una busta?»

«C… certo» disse Claude, con una certa esitazione.

Bernard scrisse qualcosa sul foglio, impiegando pochi secondi. Doveva aver scritto non più di dodici parole. Piegò il foglio e lo infilò nella busta. Ci scrisse sopra qualcosa, quindi la consegnò.

 

***

 

Claude si svegliò nel buio, ingoiando un urlo, e scacciandosi la creatura demoniaca che si era seduta sul suo petto.

Pensava di aver visto il contorno di qualcosa, alla tenue luce della luna che filtrava dalla finestra. Accese immediatamente un lume, ma non c’era nessuno. In realtà non si trattava proprio di questo, perché qualcosa era scappato dopo che Claude aveva acceso la luce. O almeno, era questo che pensava.

Cercò la croce appesa al collo, la strinse forte, e levò una preghiera affinché il Signore lo difendesse dai demoni.

“Ammesso che Egli ti ascolti. Ammesso…. che Egli… esis-”

No! Va’ via, Satana!

Claude strinse più forte la croce. Che razza di pensieri gli venivano in mente?

“Cosa c’è di peggio di un prete dalla fede debole? Cosa ci vuole per mettere in dubbio queste certezze?

“È colpa dello studioso. È lui il Demonio.”

Claude gettò un’occhiata alla sua scrivania. La lettera era lì.

Immobile e potente, che tutto muove senza essere mossa. Come Dio.

Tornò a dormire.

 

Lo studioso era morto quella notte. Così dicevano i cittadini di Bourmont. Si era impiccato al ramo di un albero, in campagna. Gli uccelli l’avevano reso un mostro.

«È a questo che porta, dunque» mormorò Claude, in solitudine. Era nella sua stanza. Fissava la lettera da due ore, ormai. Aveva pensato, intensamente. Sulla carta era scritto:

 

Emet

 

Emet, verità, in ebraico. Dannatamente simile a met, morte. “Voglio davvero scoprirlo? E se fosse tutto frutto del caso? E se non esistesse alcun essere divino, alcun nous ordinatore dell’universo, alcuna forza naturale? Se la mia anima morisse leggendo queste righe? Se dopo la morte il mio essere svanisse lentamente nel nulla?

“A cosa sono serviti dunque i profeti? Chi era Gesù Cristo? I miracoli sono fandonie? Il mondo si arrampica su appigli invisibili?”

Le lettere lunghe e ricciolute che componevano la parola lo sfidavano. Alla luce della candela, sembravano animate di vita propria. Temeva quasi che la lettera si aprisse da sola e che i suoi occhi leggessero involontariamente dodici parole capaci di distruggere l’universo.

Afferrò la lettera.

“Genesi 22,14: «Sul monte il Signore provvede»”, si disse. “Provvederà alla mia anima, allora.”

Avvicinò la lettera alla candela. La carta si annerì, poi avvampò e il fuoco la divorò.

 

di Federico Russo “Taotor”

Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

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