Il piano suonava. Lo si sentiva nonostante il vociare, nell’aria calda del caffè, che avvolgeva il pianista in una nebbia al cioccolato. Suonava un jazz malinconico, che bene si abbinava alla cioccolata e alla pioggia invernale che fuori feriva i visi. Gocce d’acqua come di vetro freddo ferivano il viso dei passanti, che cercavano riparo e consolazione nell’aria calda del caffè e nel jazz malinconico del suo pianista.
La gente parlava e non lo ascoltava, sentiva solo il suono del piano, non il jazz. Il pianista suonava, come ogni sabato e domenica sera, guardandola. E questo basta a spiegare la melanconia di quella musica.
Lei si sedeva e ordinava una cioccolata. Sola, aspettava. Non avendo nessuno con cui cianciare, riusciva ad ascoltare le note che il pianista accarezzava, ed aveva la sensazione che ogni nota fosse diretta al suo cuore. In effetti era così, ma lei non lo sapeva. Quante volte una lacrima invadente si era infilata nella sua cioccolata, a ricordarle che nulla è dolce fino in fondo.
Il pianista la guardava, fasciata in un abito rosso scuro, rosso come il sangue che di colpo gli saliva alla testa quando la vedeva entrare, quando, posando il cappotto, la gonna si muoveva in un’onda sinuosa, quando scostava con una mano i lunghi capelli scuri e lisci, a scoprire la nuca bianca. Seguiva ogni movimento, come ipnotizzato, come prendeva la tazza per portarla alle labbra, naturalmente rosse… ogni gesto, ogni espressione del suo viso si tramutava in note di quella melodia malinconica e a tratti sensuale che si mescolava nell’aria all’odore di cioccolata. Sapeva che lei aspettava un altro. Vedeva che guardava la porta o le sue mani, vedeva quel sorriso di chi ricorda qualcosa di meravigliosamente doloroso. E sperava, con la sua musica, di lenire almeno un po’ quel dolore.
La mente correva sotto i lunghi capelli scuri, fuggiva dal locale, fuggiva dall’inverno per ritrovarsi in una calda giornata estiva in riva la mare, per ritrovarsi a camminare su una sabbia sottile come cipria, il ricordo di un bacio le scaldava il cuore e le labbra, e ancora un treno in una stazione che correva via, mentre lei guardava l’orizzonte, dall’altra parte si portava via un sogno e il suo cuore. Quando finalmente ebbe la forza di voltare la testa, il treno era ormai sparito all’orizzonte.
Il loro fu un amore di pochi giorni, fatto di baci rubati al tempo e al suo pudore. Lui non ebbe il coraggio di carezzarle il seno, o di spingere la mano più in basso, mentre stringendola sentiva il cuore di lei battere forte. Unica licenza, di cui chiese il permesso, scendendo tra i piccoli seni, insinuatosi appena nella scollatura dell’abito, la baciò all’altezza del cuore che batteva impazzito, lì tra le sue braccia.
Un lieve rossore le colorò il viso a quel ricordo, ma nessuno se ne accorse o, se lo notò, lo attribuiva all’aria calda del locale. Prese un sorso di cioccolata. Il pianista vide quel rossore e capì. La musica aumentò il ritmo, adattandosi al ritmo del suo cuore.
Avrebbe voluto abbandonare il piano, avvicinarsi a lei e gustare la cioccolata dalle sue labbra, avrebbe voluto portarla via da quel locale e da quelle lacrime. Avrebbe voluto. Ma non si mosse. Non poteva. Se solo lei l’avesse guardato, avesse incrociato il suo sguardo, forse avrebbe capito. Se il suo sguardo fosse sceso, sulle sue gambe… avrebbe potuto gridare, fare in modo che tutti gli occhi fossero rivolti verso lui, e anche i suoi, finalmente! Ma che triste spettacolo, poi, nel non poter alzarsi per correrle incontro. Le faceva compagnia con la sua musica, tentava di scaldarle il cuore.
Poi arrivò lui. Entrò nel locale, le sorrise e le baciò le labbra. Il pianista perse una nota. La sua musica perse di calore, divenne un sottofondo senza emozioni al parlare della gente. Poi vide i suoi occhi. Sapeva che quel sorriso, quello sguardo, avevano una luce diversa, quando davvero sorrideva. Quello era solo un sorriso di circostanza, non aveva la luce dei sorrisi che lei gli aveva donato. La vide andare via. Continuò a suonare, nell’aria al cioccolato del caffè.

 

5 pensiero su “Piano e cioccolata”
  1. nel racconto hai reso l’atmosfera in cui la vicenda si svolge, carica di attesa e di ricordo.
    amori dolci come la cioccolata e corroboranti come il caffè….
    ciao
    anna

  2. Vi ringrazio del tempo dedicatomi, e di avermi voluta rendere partecipe di ciò che vi ha lasciato.
    un bacio!

  3. Penso che Ovidio non sarebbe stato in grado di fare meglio anche perchè, in tutta onestà, immagino che non abbia mai scritto di queste cose ;). Tralasciando la mia ignoranza sui classici ciò che ho letto mi piace. Riesce davvero a trasportare all’interno delle due anime e bene è riuscita la rottura improvvisa del crescendo dettata dall’arrivo di “lui”. Ancora una volta hai fatto un buon lavoro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *