Amarla è come mordere un limone, dopo il digiuno di un mese.
Lei dà e Lei toglie, e non si può far altro che aspettare che si stanchi della situazione.
Ho perso la voglia di camminare e la sensibilità alle dita, ma prima o poi entrerò nel suo cervello e con l’ovatta tamponerò i suoi dolori, se ne troverò.
Sarà mia (o almeno lo spero!) e la mangerò come un’arancia, e ne berrò il succo. Lo berrò dagli occhi, come le lacrime.
Guardo intanto la luna e penso a melodie da cantare steso su di un cartone, fra i vicoli della città dove Lei abita con la mente.
Siamo in due nella stanza, e Lei sogna, almeno così dice, un rifugio in riva al mare. Tante carezze e cene e vino.
Lei sogna e si stende per intero. Vorrei toccarla, ma nel sogno ciò non darebbe soddisfazione.
Quante volte le ho detto che vorrei aprirle la testa per vedere cosa c’è dentro?
Ma io so cosa c’è, in realtà. Non ho bisogno della violenza di eventuali fratture craniche.
C’è un intero universo di paure, di frustrazioni. Stelle che bruciano l’idrogeno dei dubbi, e polvere lunare.
Forse perchè, come Lei sostiene, è la luna scesa in terra, ed io la marea, che va e viene a suo piacimento.
Sono la marea.
La marea che schiuma rabbia sulla sabbia mortificata dalla sporcizia di questi bipedi, che in me ed in Lei non ci vedono futuro.
Ma Lei sarà mia (o almeno lo spero!), ed allora si che la berrò come vino. O come Birra. O come qualunque cosa lei scelga d’essere.
Mi adora, Lei dice.
Ha voglia di me, Lei sostiene.
Immagina addirittura scene di vita insieme.
Ma poi non s’è innamorata. O forse io non le ho dato la possibilità di farlo.
E così ha preso e ha dato, ha unito e ha diviso, ha sorriso finchè il riflettore l’ha seguita.
Ho avuto premonizioni come corde da impiccagione: Tese e Dritte. Frecce, quasi.
Premonizioni di un suo negarsi, prima ancora che aprisse la sua stessa bocca per dire no.
Quella bocca di labbra imbronciate e voci francesi.
(Di che parla quando squilla il telefono?)
Ci siamo. E’ quasi vicino il momento. Ogni ora un cane, o una cagna, non so, mi gira intorno. E’ affamato/a, ed io so di cosa. Si prenderà, poco a poco, pezzi di questo sentimento: dapprima sarà un veloce mordi e fuggi, perchè sarò di guardia, nell’attesa che Lei capisca. Ma poi arriverà la distrazione della stanchezza, e lascerò che il cane, o la cagna, non so, sia libero/a di mangiare, spolpare, rompere ossa e succhiarne il midollo.
Diverremo amici io ed il cane, o cagna, non so, e quando si fiderà gli darò un nome: “Tempo in cui siamo lontani”.
 
Il miglior suono è la tristezza che colpisce l’inconscio: una lunga nota che prende il nome di malinconia.
 
Ne ho apprezzato il respiro, ed era interessante;
ne ho assaporato la pelle, ed era tesa come seta.
Le ho palpato gli occhi ed il viso, e mi sono infranto in pezzi. Pezzi non numerati, perchè, parlando chiaramente:
PER ORA NON VOGLIO RICOMPORMI.
La paura per il giusto contegno e per la coerenza è macchia sulla realtà che vivo.
Come stando troppo tempo stesi. Come masticando le solite quattro parole di gomma.
Come costruendo fondamenta sulle spiagge di un litorale campano, dove è gia difficile tener su un ombrellone.
Lasciamoci stare per un periodo lungo quanto il respiro di un dio.
Ma teniamoci in contatto tramite le impressioni e le emozioni che susciterà in noi questo mondo, e le sue appendici, isole e penisole.
Resteranno a galleggiare per aria queste impressioni, e le sentirò come il tuo odore, e così capirò i tuoi stati d’animo senza bisogno di parole. E tu farai altrettanto (o almeno spero!).
Ci assaporeremo tramite quello che lasceremo sospeso nell’etere. Rilasceremo nell’aria odio, amore, indifferenza, come le piante rilasciano l’ossigeno o l’anidride carbonica.
Il nostro rapporto sarà eterna fotosintesi clorofilliana.
L’opposto della realtà. L’opposto di tutto e tutto l’opposto. Speculari solo nel mandarci via.
Quando guardo l’ora mi sento venir meno: sono sempre le 4.30 del mattino, anche se il sole tramonta, e la gente smonta da lavoro.
Rivedo te stesa, i piedi nudi, le mie sigarette, il silenzio rilassato di corpi tranquilli in un abitacolo nero.
Ascoltami:
PRESTIAMO AD UN CALICE PER LA COMUNIONE TUTTO L’ALCOOL CHE ABBIAMO BEVUTO INSIEME?
COSì LA COMUNITA’ SAREBBE PIU’ CONTENTA…
 
buonanotte dovunque tu sia.

 

4 pensiero su “L’ultimo tremore”
  1. confermo : mi piace come scrivi e questo tuo tono da scrittore maledetto/cattivo/deluso/vissuto/alla riscossa.
    non so se riesco ad esprimere ciò che intendo (pare che ultimamente i miei pensieri siano criptici), ma mi piace il tuo volare sopra tutto con levità pensosa.
    ciao
    anna

  2. E’ bello questo racconto, pieno di speranza, disperazione, gioia, dolore, tutto in una volta, una valanga di emozioni. Ecco, questo mi ha suscitato il tuo scritto, una valanga di emozioni. Bravissimo. Ciao da Betta

  3. grazie per i complimenti e per l’attenzione anna e betta. vorrei fare una precisazione: questo non è proprio un racconto. ho usato la tag solo perchè non sapevo come classificarlo. in realtà è un post che ho scritto sul mio blog un pò di tempo fa, e mi piaceva l’idea che lo leggessero anche altri che hanno la mia stessa passione per lo scrivere. un abbraccio.

  4. anche se lo vedi limitato al post, in fondo un post è un racconto di qualcosa.
    nulla toglie, quindi, al valore che lo scritto ha in sè.
    scrivere, come si dice nella home, cioè nella pagina di presentazione, di questo sito, è trascrivere e, quindi, raccontare e raccontarsi.
    per tutto ciò, va bene così.
    bravo sempre.
    ciao
    anna

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