Quel maledetto 17 settembre mi portò via tutta l’innocenza, mi strappò ogni sogno infantile: ero finito nella trappola dell’istruzione obbligatoria!
La mia genitrice mi sveglio alle 5, così presto per assicurarsi che non facessi tardi il mio primo giorno di scuola, nonostante l’appuntamento fosse fissato alle 9.
Dopo quella tortura chiamata preparazione, che consiste nel superare bruscamente lo shock del risveglio con la visione di trasmissioni dai contenuti codificati come Pingu, nell’ingurgitare velocemente latte bollente e biscotti rinsecchiti, nel risciacquare rapidamente le parti del corpo che necessitano di tale trattamento e nell’indossare vestiti presi alla rinfusa dall’armadio, mi costrinse al crudo confronto con lo specchio: indossavo un grembiulino dal coloro incerto, corrotto qua e là da macchie di candeggina, ridimensionato in lavatrice talmente tanto da impedirmi ogni movimento; vi era abbinato un fiocchetto giallo annodato intorno al collo, che mi mozzava il respiro; i capelli erano impiastricciati di gel e pettinati con una vistosa riga al lato. Mi coprii con un giubbotto dei Power Ranger, acquistato con la vendita di tutti i braccialetti regalatimi al battesimo, che riportava segni evidenti di un bombardamento di piccioni. Uno zaino di trenta chili si contrapponeva ad un cestino della merenda di altrettanti.
Scorsi nel cortili i miei futuri compagni di classe: compresi che sarebbero stati cinque anni infernali; solo per citarne alcuni: Totore “Carocchia Pesante”, condannato all’asilo a quattro ore di punizione per aver infilato le dita negli occhi di un compagno di classe; Kekko “l’Alber Magic”, indagato ma misteriosamente assolto dall’accusa di stoccare illegalmente carichi di pannolini sporchi; Roberta “Labbra d’oro”, divenuta con meschine moine la fidanzatina dei bimbi più influenti dell’istituto, coinvolta in uno scandalo che la voleva protagonista di un giro di intrighi per poter esibirsi nella recita scolastica come prima attrice; Antonella “re sette meraviglie”, contrabbandiera di matite colorate e spacciatrice di caramelle ad alto contenuto glicolico.

Mamma mi impresse sulla guancia due labbra di rossetto, che riuscii a cancellare solo dopo aver lungamente sfregato con la carta vetrata, opportunamente portata da casa.

Entrato in classe mi accorsi che tra tanta scelleratezza la più infame era l’istituzione: la maestra, essere barbuto grosso e grasso, inveiva contro di noi agitando un bastone metallico appuntito, chiamato bonariamente bacchetta.

Ricordo che il primo giorno di scuola, dopo aver individuato il timido Adolf Hitler, paffuto bambino tedesco con l’apparecchio, quindi incapace di pronunciare correttamente le lettere “S” e “R”, gli ordinò di ripetere: – all’albeggiare del rosso sole posso scrutare un ramarro tamarro sul muro rumoreggiare russando-

Le fragorose risate dei compagni e le innumerevoli interruzioni della maestra segnarono negativamente, molto negativamente, quel bambino, che però, da quanto so, ha riacquistato l’amore e la fiducia nel prossimo e di recente ha assunto la presidenza della Germania, proponendosi costantemente come modello di rigorosa filantropia.

L’istituzione ha escogitato tantissimi sadici espedienti per macchiare i bimbi della sua cinica violenza e deviarli dalla loro innocenza: il supplizio della numerazione da uno a diecimila; la tortura delle tabelline di numeri infami come il 19 o il 27; lo strazio del dettato con un’insegnante balbuziente; la persecuzioni dei bimbi che hanno ancora paura del buio o che credono nelle favole; la sferzante rivelazione che Babbo Natale non esiste.

I giorni passavano molto lentamente, ma dopo i vari “abbattimento, formaggio, ingaggio, collegio, scorreggione, debole, ribelle, colazione, soqquadro” scanditi con falsa accentuazione solo per il divertimento di farci sbagliare e rimproverarci aspramente, dopo i tentativi di truffa tentati da Luigino “o busciard”, dopo i pomeriggi trascorsi a tradurre dalla lingua madre e analizzare i brani di Dostojevski e di Orhan Pamuk, dopo aver calcolato mesi interi la tabellina del 29893 servendomi di una tavola pitagorica limitata al numero 10, dopo aver determinato i gradi dell’arco di tutte le piramidi d’Egitto avendo a disposizione solo il numero del reggiseno dell’amante più bella del faraone, dopo aver subito più volte i furti della merenda dal Clan Cotoletta col complice silenzio del Ministero dell’Istruzione, dopo le nottate di veglia trascorse a completare gli esercizi di grammatica italiana del 300, nella quale erano enumerati costrutti che nella vita non avrei ritrovato neanche in trattati universitari, finalmente giunse l’esame di quinta elementare, durante il quale notai quanto fosse ridicola l’istituzione. Per apparire più spietati che mai allinearono il livello di difficoltà a quelli dei test di ingresso per la facoltà di medicina, strutturando l’esame in cinque compiti scritti- tema di italiano, traduzione dall’ebraico antico, esercizi di fisica quantistica, traduzione da un dialetto anglofono parlato in una regione della Cina e quiz di trecento domande a risposta aperta e multipla ispirato agli esami di abilitazione per la professione di ingegnere nucleare- e in un esame orale, durante il quale avremmo dovuto conferire alla presenza di esimi docenti universitari.

I nostri insegnanti, colpevoli coscienti del nostro imminente fallimento, tentarono di aiutarci in tutti i modi, spesso contrastando gli errori del ministero stesso, affinché nei voti bassi non si esprimesse la prova della loro incapacità.

Il tema scritto proponeva venti canti della Divina commedia, chiedendoci di illustrare l’abuso di droghe pesanti perpetrato dagli scrittori di ogni epoca; la traduzione dall’ebraico presentava un totale stravolgimento grammaticale del “discorso della montagna” tenuto da Mosè; gli esercizi di fisica non erano aggiornati dal 1600 e sostenevano ancora il sistema tolemaico; la versione di inglese era stata malamente copiata da un sito di studenti napoletani che comunicavano con un cinese contrattando sul costo di un paio di scarpe pezzotte, mentre il superquiz mostrava in controluce le risposte esatte.

Io sostenni l’esame orale il 27 agosto, esponendo la mia tesina sul ciclo vicissitudinale dell’universo al professor Manuele Ciliberto.

Finalmente quell’incubo chiamato scuola elementare cessò.

Tutti noi eravamo stati fatalmente corrotti e portiamo ancora i segni evidenti di quella nefasta esperienza.

 

5 commenti su “Satira elementare”
  1. Che incubo! Non riesco ad immaginare come il protagonista sia riuscito a superare una tortura così durata cinque anni senza pesanti conseguenze…
    Coraggio, tutto sommato qualcosa sei riuscito ad impararla….
    sandra

  2. Divertentissima, se proprio si deve trovare il cosiddetto “pelo nell’uovo” (restando in perfetto stile maestri elementari) direi che fino ad un certo punto è ironico al punto giusto, da un certo punto in poi c’è un evidente “sovraccarico” tendente non più al comico ma al grottesco. Comunque ho riso moltissimo. Grazie.
    Nel complesso…più che sufficiente! 😀

  3. Ah, preciso (a scanso di equivoci) quel “più che sufficiente” era una battuta sul tema dell’istruzione. Non mi permetterai mai di dare un giudizio così non essendone capace ne preposto a farlo.
    Raf

  4. Divertente!
    …e pensare che hai parlato solo delle elementari…
    se avessi scandagliato, per esempio, anche l’universo delle medie, avresti potuto citare qualcuna di quelle nobili persone che in tre anni di storia spiegano solo 3 argomenti (schiavitù, servaggio della gleba e teoria delle rivoluzioni-di-ogni-genere-per-non-scontentare-nessuno) e per geografia non fanno più fatica di tanto (il tuo paese, la tua regione, due nazioni: l’America e il Sudafrica).
    Ovviamente non manca mai lo studio approfondito del piano regolatore e un corso di galateo sull’utilizzo delle posate alla mensa scolastica.
    Chissà se molti di costoro hanno conseguito la laurea attraverso corsi di corrispondenza on line, camminando sul filo teso dell’improbabile improbabilità, tirato tra due balconi affacciati sul niente…
    bravo
    ciao
    anna

    p.s.: chiaramente non parlo per sentito dire, ma per esperienza vuoi professionale che genitoriale…
    e non immagini che fatica sia arginare simili ondate barbariche…

  5. Sei forte… e pure voi che avete fatto i commenti.
    PS: soprattutto Anna

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