La nostalgia vela sapientemente i ricordi senza distinzione, confondendo rimorso e rimpianto, tessendo nell’intimo di una lacrima un desiderio; il desiderio di un corpo sospeso nel bianco e nero della carta acida di una vecchia pellicola, un corpo che è stato mio, e che vorrei accarezzare ancora una volta: intingere l’indice sulla sua anima impressa nella patina collosa, ricalcare le linee gentili del suo profilo, e fingere che lei sia ancora lì, riversa nel mio letto, a giocare con i miei ricci e sorridendo ai miei sorrisi.

“Ciao” dico a voce alta, come stupido, ingenuo, amante perduto nel delirio dell’attesa. E lei si volta e ride.

Ride come sempre e come mai prima.

Il viso lentamente le si tinge di rosa e i capelli accompagnano l’altalena su cui è seduta.

Mille perché si fanno avanti nel mio stomaco divorando tutto ciò che incontrano, risalgono rapidi nel petto e si fermano in gola.

Tutti tranne uno.

Un piccolo perché mi riempie la bocca, e sembra smarrirsi in un urlo strozzato, ma si ripete, ancora e ancora, spingendo sulle labbra, fino ad esplodere in un irruente grido che investe quella vecchia foto.

La stringo forte per non lasciarmi sfuggire l’ultima occasione per capire, per smetterla di aggrapparmi all’indulgenza del tempo, illudendomi che questo possa darmi pace; ma il piacere è un abile ed esperto latitante, e come sabbia riesce ad attraversare le larghe maglie della mia mano.

“Perché?” insisto.

Le foglie, la collina sullo sfondo, il cielo, tutto riprende colore, vita, e lei continua a sorridere lasciandosi accarezzare dal vento; il destino o la mia follia mi hanno dato un’altra occasione per dirle ciò che non ho mai avuto il coraggio di dire, ma io sono stupido, e provo rancore, voglio solo sapere perché.

Lei sorride e non risponde, sorride e non mi guarda.

L’arco d’avorio di cui ero innamorato adesso si è trasformato in una smorfia e poi in un ghigno; l’ira mi assale, stringo la sua immagine, l’accartoccio e la lancio lontano da me abbandonandomi a un pianto disumano.

Trascorrono parecchi minuti e alla fine cedo all’incoscienza, sospendendo i sensi in un limbo di miseria.

Riprendo la foto in mano e la tiro da due angoli; tutto è come prima, o quasi; i colori sono svaniti, lei è immobile sull’altalena e mi sorride, perché altro non può fare, ma la foto adesso è tagliata dalle pieghe nate da due mani furiose; le mie mani.

Adesso capisco.

Adesso non ho più bisogno di chiedermi il perché.

La passione insana di un amante insicuro ha piegato il suo sorriso come allora piegò il suo grande amore.

 

4 pensiero su “Ritratto in bianco e nero”
  1. E’ bellissima anche se sei stato troppo severo con te stesso, a volte gli esseri umani cambiano semplicemente idea e sentimenti.
    Ciao.
    sandra

  2. Sono stata rapita dal titolo ed ho letto… Sì credo che esistano uomini e donne insicure, ma non “passioni insane”, specie quando ci sono di mezzo i sentimenti. Il corpo e la mente in certe evenienze non rimangono mai separati; quando si manifesta l’uno l’altro è sempre poco distante. Se nell’aria c’è una bellezza, subito s’ introduce quella mentalità che fa scatenare la passione erotica e pulsionale. Vale per tutti, nessuno ne è esente. E’ sempre la buona fede che risveglia il movente e determina quel grado schietto solitamente misconosciuto.
    Certi amori regrediscono, le possibilità di discernimento aumentano. Buon pezzo, mi ha ricordato che anch’io confabulo spesso con le fotografie. Un sorriso RG

  3. grazie… ma è una storia inventata… per fortuna …vi leggo sempre con piacere …ciao

  4. passione, poesia, amore.
    scrivo da 13 anni…
    adesso ne ho 27.
    è questo lo spirito della letteratura poetica…
    un abbraccio

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