Il dolore saliva dalla pianta dei piedi, trafitti da rozzi chiodi d’acciaio, e si propagava ad ondate, mano a mano che la carne si lacerava. Le attraversò i reni facendola contorcere e poi esplose, inondandole le tempie. Un urlo disumano proruppe dalle labbra livide di Ishbell; gridò talmente forte che il fiato che le uscì dalla bocca fece tremare la fiamma della fucina, in fondo alla galera buia e maleodorante dove l’empio uomo, figlio di quello stesso Demonio di cui l’accusava essere succube, la stava torturando. Ishbell reclinò il capo, respirando affannosamente per reprimere la nausea che saliva dallo stomaco contratto. Lui si avvicinò brandendo un ferro rovente. Non poteva essere lo stesso uomo che l’aveva corteggiata dolcemente, inducendola a cedere per poi coprirla d’ignominia trascinandola, nuda e con l’evidente prova della sua compromessa verginità, per le strade del borgo in modo che tutti potessero vedere con quali armi il Male può corrompere persino un’anima ferma al pari della sua. Trasalì quando il ferro scalzò l’unghia dell’alluce e buttò indietro la testa digrignando i denti; così facendo colpì con il cranio il palo a cui era inceppata e perse i sensi.
Etienne Moulagh guardò la ragazza, come avrebbe guardato uno straccio, un coccio rotto. Non era male per essere una sempliciotta e non poteva dire di non essersi divertito a corteggiarla. Il resto non era stato gran che; era vergine ma una volta varcata la soglia, s’era mostrata in tutta la sua depravazione. Non aveva incontrato alcun dissenso, nessun freno, nessuna remora. L’aveva presa più volte, in ogni dove; era né più né meno di tutte le altre. Il suo sguardo passò impietoso dai lunghi capelli color del rame, sudici e striati di fuliggine, al viso minuto, gonfio e tumefatto dalle percosse. Non poté fare a meno di fissare il seno candido, fuoriuscito dalle vesti lacerate e sorrise biecamente, notando i capezzoli inturgiditi. La tastò tra le cosce e rise sguaiatamente nel riconoscere sulle dita un umore dall’odore ben diverso da quello dell’urina. La insultò un’ultima volta, forzandola con le dita e menandosi fino ad insozzarla di seme.
Una secchiata d’acqua gelida le sferzò il viso, facendola rinvenire e trasalire al contempo. Ishbell serrò le palpebre, abbacinata dal riverbero della luce e quando riuscì a mettere a fuoco fu tale l’orrore che la invase, che le lacrime presero a scivolare silenziose sul suo viso, rigandole le guance livide. Il fumo acre le bruciava gli occhi e le invadeva la gola, impedendole di respirare; il calore del fuoco saliva di sotto la sua carne martoriata. Ishbell scalciò con tutte le sue forze, cercando invano di divincolarsi dal palo circondato dalle fascine in fiamme poi fu troppo tardi; il fuoco lambì le sue vesti che avvamparono in pochi istanti ed anche il rame dei suoi lunghi capelli si perse in lapilli ardenti. Ishbell gridò con quanto fiato aveva in gola la sua maledizione per Etienne Moulagh.
Lui non c’era. Il suo compito l’aveva portato a termine, come sempre e meritava il sollazzo che gli stava prodigando la sguattera della locanda. A cose fatte, pensava montando la baldracca sdentata, doveva raggiungere un borgo distante due giorni di viaggio, per portare a termine un nuovo incarico, sempre lo stesso in verità. La paura rende gli uomini timorati ed il timore fa prosperare chi regge le redini. Si sciacquò e si rivestì in fretta; la pira era ormai consumata e bisognava raccogliere le ceneri.
Il Mastro aveva dato indicazione di inumare i resti nei pressi della palude; il tronco cavo a cinquanta passi verso est faceva alla bisogna. Etienne calcò profondamente nel legno marcescente la sacca di pelle di porco, che conteneva le ceneri ed il becchino murò l’accesso con la calce viva. Nubi bianche si stavano addensando sulla palude, spandendo per l’aria odore di pioggia.
Le prime gocce presero a scendere non appena il pertugio fu serrato e la piccola folla curiosa, riunita nei pressi, si disperse rapidamente. Etienne rientrò poco dopo, seguito dal becchino, rallentato dalla zoppia. La tempesta si scatenò furiosa; il cielo cianotico vomitò saette che squassarono i tetti del borgo. Il mattino successivo, nel fracasso delle imposte divelte, un cavallo scosso procedeva per la via maestra; strozzato alla briglia, trascinato per terra con il torace squartato da un fulmine fu rinvenuto il corpo senza vita di Etienne Moulagh. Dalla palude saliva stridente il suono della risata cristallina di Ishbell.

 

3 commenti su “Ishbell”
  1. Sai scrivere Dolceluna, mi è piaciuto molto e guasta quel tanto che ci vuole.
    Brava!

  2. Fantastico! Bellissimo e crudele al punto giusto…
    Adoro le maledizioni… Sei davvero brava: complimenti.

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