Nel caos urbano di una Parigi nevrotica, la piccola Zazie, bimba che predilige il grigio della stazione metro alle bellezze della capitale, si muove con estrema agilità tra i pericoli cittadini e le intricate contraddizioni dei suoi adulti interlocutori: uno zio ‘ormosessuale’, una vedova stanca di esserlo, un satiro-questurino, un pappagallo molto umano ed altre splendide figure, spesso incapaci di contenerne l’energia. Acuta osservatrice, con disarmante schiettezza ed una incredibile lingua tagliente, ridicolizza i limiti imposti da una società che la vorrebbe intrisa ancora dell’estatica meraviglia della sua età. Ma lei, splendida insolente rifiuta ogni conformismo confondendo i suoi caratteristici accompagnatori e intraprende un percorso di maturazione ricco di sorprese che la condurrà al totale disincanto.
Un libro costruito ad arte, tra un’ironia pungente e un crudo realismo, dove Queneau giocando con il linguaggio, di cui è ingegnoso e prolifico artigiano, ricama con abile precisione pagine fluide che si muovono velocemente seguendo la piccola protagonista. Fuori da ogni schema narrativo, che pretende personaggi di cornice convenzionalmente legati a modelli di evoluzione individuale ripetitivi, le figure appaiono come materia duttile in continua trasformazione senza pericolo di cristallizzazione. Il risultato è una parabola assurda, malinconica e al tempo stesso spensierata, che guarda alla società con amaro distacco e umorismo: un libro brillante e incalzante da cui Louis Malle trasse l’omonimo film del 1960 (con un giovanissimo Philippe Noiret) che ebbe, forse per eccessiva innovatività, poco successo al botteghino.
Molto bello e scherzoso, ciao.
Lieve e pur profondo, divertente, originale, godibilissimo: Queneau segna una tappa letterariamente importante nel novecento.