Domenica mattina. Libero si era alzato di buon ora dato che sabato s’era barricato in casa per lo più a sonnecchiare tra il divano ed il letto. Da un po’ non amava tanto stare in compagnia. I suoi colleghi lo disgustavano. Vuoti fighetti, aspiranti quadri in carriera, si profumavano e si tiravano a lucido, imbottendosi di sostanze eccitanti per essere brillanti ed accelerati e sfoggiare la loro parlantina nei locali alla moda di Milano alla ricerca del sesso. Dopo l’esperienza dello scorso w-e, Libero aveva deciso di starne alla larga.
Uscì per andare a fare due passi. Inforcò la bicicletta e fece qualche chilometro nella città tranquilla della mattina domenicale. Sembrava quasi vivibile così Milano: larghi viali semi vuoti con alberi altissimi che cominciavano a perdere le foglie per l’autunno, si sentiva quasi il vento tra le loro chiome.
Era una bella giornata, mite e con un sole pallido. Arrivato che fu al parco Sempione, attaccò la bicicletta ad un palo e fece due passi a piedi.
C’era uno stand della caritas quella mattina. Una lunga folla di disgraziati attendeva composta e silenziosa, quasi volesse essere invisibile. Tutto attorno la vita procedeva: signore che facevano jogging con l’ipod nelle orecchie, coppie che facevano giocare i bambini, gente che portava a spasso il cane. La folla stava lì, in mezzo a quell’apparente normalità. Arrivò una troupe della Rai per un servizio sulla distribuzione di beni di prima necessità. Tra quella gente c’erano immigrati con mocciosi a seguito, barboni e molti vecchi italiani. Vecchi dimenticati, abbandonati dai figli e da tutti. Le misere pensioni non bastavano nemmeno per la loro vita sobria e sparagnina. Tutti si vergognavano, si nascondevano alle telecamere, non volevano essere intervistati.
Si vergognavano di chiedere l’elemosina, si vergognavano di essere poveri. Eppure il senso della vergogna, Libero, pensava fosse sparito. Camorristi arroganti si mostravano in tv, ignoranti occupavano le più alte posizioni sociali vantandosi della propria rozzezza, politici e ladri giravano a piede libero e a testa alta. Tutti sfrontati, arroganti.
“Puah!”, Libero sputò per terra la sua amarezza. Non c’è parola migliore per descrivere questo nuovo millennio: amarezza.
Un vecchietto bolso si allontanò dalla fila e si sedette su una panchina e, appoggiata la fronte al suo bastone, pianse. I vecchi non fanno rumore quando piangono. Le lacrime scendono silenziose, dignitose, inciampando tra le rughe profonde.
Libero pensava alla sua misera vita, fatta di gesti usati, rituali, sempre identici, alla sua spartana casa che puzzava di nostalgia. Pensava a tutti gli anni che aveva addosso e che quel bastone che non ce la faceva più a sostenerli. Pensava alla sua solitudine profonda, al suo senso di inutilità per una società a cui aveva regalato i migliori anni della sua giovinezza e che ora si era dimenticata di lui. Magari sarebbe morto e i suoi figli l’avrebbero trovato dopo un mese.
“Che amarezza…”, sospirò Libero, e andò via per non vedere e per non pensarci più…
Un bel “pezzo”, questo di Libero, oggi. Un Libero meno attento a se stesso, al suo lamento, ma che guarda una platea silenziosa che fa parte di questa nostra Italia sofferente e anziana.
Poi ci sono gli Arroganti, i Distratti, gli Amanti della Carriera, i Potenti, gli Ignoranti, e tanti altri. Libero li nota tutti, Libero dovrebbe anche far pace con i suoi ricordi e notare intorno anche l’Amore che forse non é molto evidente, ma “gratta, gratta” sotto il cielo di piombo, c’é anche l’azzurro.
Ciao.
Sandra
Carissimo,
il nostro protagonista si accorge di non essere solo: c’è chi sta peggio di lui e si rende conto che ognuno, ad ogni età, è sempre e comunque solo, accompagnato dal suo libero arbitrio, davanti alla vita e a tutto quanto il vivere stesso comporta.
L’impegno salva.
Salva gli altri e salva perfino noi stessi, scavandoci fuori dal buchetto in cui tendiamo a chiuderci per leccare le nostre ferite.
Apprezzo questo pezzo, curato anche nella forma.
Avanti così.
Un abbtraccio.
anna
Bello scritto, veramente molto bello. Bravo. Ciao da Betta
La narrativa però è tutt’altra cosa.
E’ stile, è fantasia, è originalità, è ironia anche nel raccontar tristezze, è gioia di leggere…
Ma… ho un dubbio, accettate anche le critiche o devo dire anch’io che è un “bel pezzo”?
Caro Ful, la libertà di esprimerti come meglio credi e di dire ciò che pensi è un tuo sacrosanto diritto garantito dalla Costituzione. Molte volte ho ricevuto critiche ma non per questo non le ho accettate. Anzi sono state importatissime e mi hanno fatto crescere ed imparare tante cose. Vero Anna? Vero Sandra? 2 esempi li trovi qui. Loro sono 2 persone straordinarie sotto il profilo umano e sotto il profilo cultural-letterario. Si vede dai tanti testi che ci hanno regalato e che mi hanno divertito, emozionato, stupito… io personalmente non lascio critiche negative perché sono troppo igorante per poter dare giudizi “tecnici” e non posso insegnare niente a nessuno. Lascio commenti in base alle sensazioni, alle emozioni che provo. Evito così di prendermi in giro da solo… Perché le critiche sono belle se costruttive e dipendono da che pulpito arrivano. Buon week end.
Grazie anna, sandra e betta, un abbraccio. 🙂
Per merendero: il tuo racconto mi è piaciuto molto e mi ha fatto riflettere, ed questo quello conta, lasciare una traccia, uno spunto di riflessione in chi legge. Sennò che si scrive a fare?
Complimenti anche per la risposta saggia che hai dato a ful.
chiara
Grazie chiara, sono contento che questo brano ti abbia fatto riflettere. Buona notte.