Erano le diciotto e trenta. A quell’ora, ogni giorno, affacciandosi alla finestra per l’abituale sigaretta del tardo pomeriggio, scorgeva Alex il matto che puntuale, in sella alla sua cigolante bicicletta, si appropinquava alla piazza che preferiva a tutte le altre, piazza Caprera.
Tutte le sacrosante volte che fumava una sigaretta a quell’ora e affacciato a quella finestra, gli balenavano in testa gli stessi interrogativi: pensava al perché Alex ogni giorno andasse in quella piazza e al perchè rimanesse lì impalato per ore, a come facesse Alex ad ignorare il fatto che la gente lo considerasse un matto… Ma alla fine della sigaretta si rispondeva sempre alla stessa maniera: “beh è uno psicopatico”. Ormai era un rituale: la finestra, la Marlboro rossa, Alex che passava, i pensieri. Quel pomeriggio però, il rituale, si sarebbe completato per l’ultima volta.
Finita la sigaretta si diresse verso la camera da letto della sua lussuosa casa da single, la vista già gli si annebbiava e lui notava, con bizzarro piacere, che la sua abitazione gli sembrava fatta di fotogrammi provenienti dal più drogato dei film di Aronofsky. Proprio come quelle di Leto in “Requiem For A Dream” le sue pupille si allargavano e si stringevano compulsivamente, quasi ballavano… ma quello che ballavano non era un lento anni settanta o un walzer viennese, sembrava piuttosto che si stessero scatenando a un reive party con il dj set techno del crudele Aphex Twin. L’avvelenamento si era avvicinato al suo cervello quando, raggiuntolo, egli si lasciò cadere sul suo una piazza e mezza. Prima di arrivargli alla testa, il veleno era passato per il fegato, per lo stomaco, gli aveva rallentato il cuore e sfiancato i polmoni. Ovviamente l’embolia gassosa aveva reso tutto più facile.
Una volta sul suo letto, nonostante la paura ci fosse, chiuse gli occhi con tranquillità e, cercando di ignorare il dolore che gli invadeva strategicamente tutto il corpo, aspettò di morire. A poco a poco i sensi lo abbandonarono.
Indossava i calzoni a fantasia scozzese del suo pigiama più comodo e il dorso del suo corpo scolpito ed immobile era nudo. Il polso del suo braccio destro presentava evidenti graffi, aveva provato a segarsi le vene, ma il coltello che aveva utilizzato aveva la lama troppo spessa e troppo poco affilata, non si era quindi dimostrato adatto a fendergli pelle e carne senza procurargli una sofferenza eccessiva. Per questo, abbandonati i suoi intenti senechiani, prima di fumare la sua ultima paglia, aveva bevuto un’intera bottiglia di Svelto piatti, un bicchiere di candeggina, uno di coca-cola corretta con due abbondanti dita di Mister Muscolo Idraulico Gel, aveva preparato e mangiato due tramezzini farciti con nutella e colla topicida ed infine s’era iniettato direttamente nella carotide una siringa d’aria.
Quando erano le diciotto e trenta di due giorni dopo, inspiegabilmente, si risvegliò. Era sdraiato nella stessa posizione che aveva assunto chiudendo gli occhi, ma il suo bel viso e il cuscino sul quale la sua testa era adagiata erano madidi di vomito e di bava.
Neanche accese il cervello che già era al suo PC a cercare su internet spiegazioni su come era possibile che non fosse morto. Non le trovò. Tutte le enciclopedie web e tutti i siti di medicina che consultò sostenevano che quell’avvelenamento e l’embolia avrebbero dovuto ucciderlo, a meno che non si fosse recato tempestivamente in un ospedale, ma lui, fino a prova contraria, non vi ci si era recato.
Era Giovedì e la routine voleva che egli andasse agli studi televisivi dai quali, alle ventuno, avrebbe condotto il suo Talk Show. Nonostante tutto quello che gli era accaduto, decise di assecondare la routine. Fece una doccia e poi partì alla volta degli studi.
Il suo programma s’intitolava “The winner generation”, andava in onda, in diretta, tutti i Giovedì sera su un’importante rete nazionale ed era destinato ai giovani. Durante la trasmissione il nostro conduttore e i suoi ospiti, che solitamente erano icone dello star sistem, affrontavano tematiche inerenti ai mondi della moda, della musica, del gossip, della letteratura (quella commerciale ovviamente), del cinema e cose affini.
Arrivò agli studi televisivi alle otto e quarantacinque, giusto in tempo per non mandare a puttane la diretta. Antonio Doria, il responsabile alla produzione, approfittò dei quindici minuti rimasti per farlo una merda, per chiedergli cosa cazzo gli fosse successo, per informarlo che la sua segreteria telefonica conteneva almeno cento messaggi e che, a causa della sua negligenza, quella sera il programma non aveva una scaletta. Ma il conduttore era troppo assorto nei suoi pensieri alla Jerry McGuire, che da un’oretta gli frullavano in testa, per rispondere al produttore con cognitio causae. Evitò quindi le spiegazioni e si limitò a biascicare qualche distratto “scusa”.
A causa dell’eccessivo ritardo non aveva nemmeno il tempo materiale per sottoporsi al trucco, né quello per indossare gli abiti forniti dagli sponsor, che non erano pochi. Il presentatore era così famoso, apprezzato e seguito dai ragazzi che il suo abbigliamento dettava moda. Gli abiti che lui indossava, loro li compravano. Quello che lui diceva di mangiare, lo mangiavano. Quello che lui consigliava di guardare al cinema, lo guardavano. Quello che lui diceva di leggere, lo leggevano. Su quella che lui si scopava, loro ci si masturbavano. E le ragazze? Se lo sarebbero mangiato se solo avessero potuto. Il suo proverbiale “Ciao cari!”, con il quale chiudeva ogni puntata del programma, era diventato il saluto ufficiale dei suoi milioni di fan.
Una volta liquidato Doria, si sedette sul suo sgabello. Indossava la maglietta rossa e i banali jeans con i quali era uscito di casa; attendeva silenziosamente che l’operatore gli dicesse che erano in diretta, così, mentre il suo altisonante nome – Fiodor Nandi – appariva sui teleschermi di mezza Italia, sarebbe entrato in scena.
“Siamo in onda”.
“Buona sera, amici e amiche.
Sicuramente vi starete chiedendo: <> Vi rispondo subito.
Oggi non è solo una delle mie mise a mancare all’appello, in questa puntata manca tutto: la mia mise, una scaletta, un ospite, un tema da affrontare. L’unica cosa che non manca è proprio quella che non sarebbe dovuta esserci: la mia presenza.
Vi spiego. Un paio di giorni fa ho tentato il suicidio. Ho provato a tagliarmi le vene dei polsi, mi sono avvelenato con tutte le sostanze tossiche che mi sono capitate tra le mani, mi sono iniettato dell’aria in vena… ma il mio organismo, sbattendosene di ogni logica scientifica che lo avrebbe voluto esanime, non si è spento.
Col senno di poi sono felice di come siano andate le cose, insomma sono felice e grato di essere ancora qui, anche se non credo che ringrazierò qualcosa in cui non credo o qualcuno che non esiste. Piuttosto, ora che ci penso, un ospite da presentarvi ci sarebbe. Eccolo: è Fiodor Nandi, ma non il Fiodor Nandi lustrini e paillettes, con la battuta sempre in canna e con una strafiga ad aspettarlo a cosce aperte nel suo loft, al quale siete abituati e in cui credete ciecamente. L’ospite di oggi è l’autentico Fiodor Nandi, quello che ogni giorno, alle diciotto in punto, fuma una sigaretta affacciato alla finestra osservando Alex il pazzo che in sella alla sua bicicle …”
“Spegnete tutto! Cazzo, cazzo, cazzo! Interrompete questa fottuta diretta!”
Un Doria furibondo, come mai prima, urlando queste parole, si diresse verso Fiodor. Lo raggiunse. Sinceratosi che la diretta fosse stata interrotta, guardò Nandi negli occhi e sussurrando a denti stretti gli disse: “Fuori di qui piccolo bastardo ingrato! Sei licenziato!”
Il conduttore, osservato dagli sguardi attoniti delle decine di tecnici e di autori presenti, raggiunse la porta d’uscita dello studio senza chinare il capo neanche per un istante. Poi si voltò verso di loro e sorridendo smargiasso li salutò: “Ciao Cari!”
Bel racconto, Michele, accipicchia, certo per ritrovare se stesso, il nostro caro giovane e intrigante amico ha rischiato grosso…, beh, che dire, anche di questi tempi, meglio perdere il lavoro in cambio di un bel paio di ali con cui fare voli sani.
Ciao.
Sandra
…ho capito perchè certi programmi televisivi sembrano marzianate stratosferiche!!!!
i conduttori si fanno di Mastro Lindo e cose simili….
non dirlo troppo in giro, però.
hai idea di quanto costerà un normale lavapavimenti se la notizia si diffonde?
le casalinghe saranno costrette a sostituire i detersivi con la coca, vuoteranno il secchio dell’acqua sporca nel wc, tutto finirà nei fiumi, nei laghi e nel mare, le normali sardine si venderanno, allucinate, per balene e il sindacato dei pescivendoli indirà uno sciopero ad oltranza….
mi raccomando: non dir niente a nessuno!
un racconto veramente surreale il tuo…
il matto è, ovviamente, il più normale.
divertente e mi par di sentirlo lo sfregolio della seghettatura del coltello da cucina che non ce la fa a tagliare quei poveri polsi…non tagliano mai quei maledetti coltelli…
Seneca avrà usato un rasoio affilatissimo! .
ciao
anna
Grazie Sandra per i complimenti. Hai colto a pieno uno dei significati fondamentali che volevo attribuire al nostro. Le ali non hanno prezzo.
le casalinghe saranno costrette a sostituire i detersivi con la coca, vuoteranno il secchio dell’acqua sporca nel wc, tutto finirà nei fiumi, nei laghi e nel mare, le normali sardine si venderanno, allucinate, per balene e il sindacato dei pescivendoli indirà uno sciopero ad oltranza….
Bellissima immagine Anna.
P.S. Io mi faccio di Amuchina.
Ma se i fan copiavano questo “deficente” in tutto, non é che a qualche “deficente” piú di lui verrá in mente che tentare il suicidio sia una buona idea? Non si sa mai.
Sei andato vicinissimo alla realtá, fatti un giro per le strade, vedrai tanti piccoli cloni di Corona, Costantino…
Ma dico se proprio vogliono ispirarsi, avere un mito, perché non scelgono qualcuno “normale”?
Molto bello il tuo racconto comunque.
Ciao
Tilly
Cara Tilly, io sono un ragazzo di 22 anni, quindi ci divido l’aria che respiro con gli automi di cui tu parli. Poi lavoro negli ambiti dell’associazionismo, della discografia e talvolta nei licei. Quindi pensa te…