“Da ragazzino il tempo non passava mai. In un’ora si poteva fare di tutto.
Ricordo le estati infinite. Ricordo le giornate interminabili per strada, le orde rumorose di bambini, la pineta e l’odore dei pini e delle siepi, le partite a pallone a sfondare le saracinesche, le liti con le signore che ci cacciavano via, il nascondino, le biglie di vetro, il gioco coi sassi, il disalò col gessetto per terra e tanti altri. Ricordo le risate, le sudate, le memorabili cazziate al rientro per un pantalone strappato o per un ginocchio sbucciato. Ricordo il coro delle mamme alla sera che, uscite dai balconi e dalle finestre, gridavano tutte il nome del proprio figlio per farlo rincasare vista l’ora tarda e la cena quasi pronta e l’amichetto trafelato che veniva a chiamarti tutto allarmato per dirti che ti stavano chiamando da mezz’ora e con tono sempre più minaccioso. Ricordo.
Ora non ricordo poi tanto, dimentico facilmente. Entrato nell’estenuante ripetizione delle settimane lavorative, da quando sono felicemente impiegato il tempo vola, i giorni sono uguali ai giorni e niente rimane che valga la pena di essere ricordato. Gli anni passono troppo in fretta e ogni volta che ho tempo di guardarmi bene allo specchio trovo i segni del tempo sul mio corpo, sul mio viso e soprattutto nel mio sguardo. I miei occhi mi guardano da lontano e quella luce si fa a mano a mano più fioca e più distante, non sembro quasi più io”.

Libero rientrava a casa. Era venerdì ed un’altra settimana era volata via e pensava a ciò che ne rimaneva. Il vagone era semi vuoto perchè era quasi al capolinea. La sua immagine sul vetro del metrò svanì all’improvviso e ritornò alla realtà quando un vecchio mezzo matto cominciò a parlare ad alta voce, blaterando oscenità contro le donne e contro sua moglie. Agitava le mani, faceva una gran baccano, sputacchiava saliva da una bocca con pochi denti superstiti e ben gialli e ci metteva tutto il disprezzo e il risentimento nelle smorfie che il suo viso assumeva, accentuate dalle rughe profonde e dalla barba incolta. Una signora di mezza età che sembrava rumena e una giovane ricciolina di colore sedute di fronte a lui, ridevano nascondendosi dietro al loro giornale.
Tutto normale. Milano: un milione di solitudini.

 

3 commenti su “Metrò”
  1. Ciao, nel leggerti ho riassaporato il passato.
    Ricordo molto bene quelle mamme alle finestre, urlanti il nome del proprio figlio/a. Sono stata chiamata a rientrare tante volte anch’io. Ero in piazza e giocavo, allegra, ma forse non troppo, é che si dimentica. Forse qualche pena amorosa di allora c’era.
    Nel secondo pezzo riappare Libero e le sue tante solitudini. Io non credo, io vedo un’altra realtà: quell’uomo era solo con la sua follia, le rumene erano sole con i loro giornali; Libero no, lui aveva la sua testa, la sua fantasia e le sue ali. Solo…, i suoi occhi, hanno qualche difetto, non sanno vedere e afferrare quello che c’é intorno, anche se sta in una Milano, fredda e nebbiosa, eppure…, anche Milano si riscalda; il sole, quando esce, lo fa per tutti.
    sandra

  2. Alcuni inseguono la propria solitudine e se ne fanno coperta, come Linus, altri scommettono su se stessi e vivono appieno la vita.
    Il discriminante è il coraggio di osare, di prendere la propria vita in mano e saltare nel vuoto con la fiducia che sotto ci sarà un ampio materasso.
    ciao
    anna

  3. I single aumentano del 5 per cento l’anno, i divorzi sono in crescita. La solitudine è una realtà che bisogna denunciare non cullarvici sopra, per non rimanere anestetizzati davanti ad una tv nel vuoto di un monolocale e lasciarsi andare alla rassegnazione di “sto meglio da solo”… Ci sbattiamo continuamente per cose inutili, inseguiamo il niente e passiamo il tempo a raccontarci bugie ma l’unica cosa di cui abbiamo bisogno è amore, di darne e riceverne… Un abbraccio anna e sandra

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *