Mancano pochi giorni a Natale.
Ieri sono andata in soffitta e prendere il necessario e ho decorato l’albero.
In maniera piuttosto semplice, direi: sfere di cristallo che sembrano bolle di sapone e riflettono i giochi luminosi delle luci bianche. Una bella punta rossa, luccicante, e fili colorati di rosso e argento che lo ammantano come piume di struzzo. Semplicemente vanitoso.
Durante tutto l’anno occupa il suo spazio in salotto, ma per l’occasione gli metterò il vestito a festa. Altrimenti potrebbe offendersi.
Accanto, sopra ad una mensola, c’è il presepe.
A dire il vero chiamarlo così è eccessivo, considerato che c’è soltanto la capanna di Gesù Bambino. Ho pensato di mettere l’essenziale, senza troppa gente intorno. Sono una minimalista.
Anche la capanna rimane sempre al suo posto, Gesù Bambino a parte.
Lo faccio comparire solo la notte di Natale, per ovvie ragioni, e sparire qualche giorno dopo. E a questo punto sono costretta a fare una chiosa: è sempre una decisione difficile quella di riporlo nel cassetto, perché inizio a pensare se devo lasciar trascorrere il necessario periodo di svezzamento e poi tentare di vederlo crescere, o. Ma, in mancanza di una statuina conforme alle differenti età, mi adatto alla convenzione ed ogni anno lo faccio rinascere tale e quale, anche se continua a sembrarmi una stranezza. In ogni caso, il giorno in cui lo metto via, non riesco a fare a meno di sentirmi una specie di assassina. Fortunatamente il senso di colpa non mi lascia grandi strascichi.
Amo il Natale, o meglio: lo amo di nuovo.
Per alcuni anni non è stato così, mi metteva tristezza e pensavo fosse unicamente una festa per i bambini.
Poi, un paio d’anni fa, la sera della vigilia mi sono guardata allo specchio ed ho pensato che lo ero anch’io, una bambina.
… credo ancora alle magìe.
Così ho ricominciato ad amarlo. I suoi profumi di mandarino e vino spumante, di mandorle e nocciole, di legna bruciata nel camino. E torrone, e uva sultanina. I giochi attorno al tavolo, con tutta la famiglia, i dialoghi leggeri, i volti sereni. I bambini con le guance arrossate per l’eccitazione che si divertono con i nuovi giochi. L’aria pungente di neve, i rumori ovattati dell’esterno quando si sta caldi dentro casa, magari accanto al fuoco scoppiettante e nella luce soffusa di qualche candela.
E’ la celebrazione dell’amore, per me. Perché non dura tutto l’anno?
Per quanto mi riguarda ho già ribaltato il mio calendario personale, facendo si che sia il contrario. Ammetto, tuttavia, di incontrare grosse difficoltà con il mondo esterno.
Ad esempio non mi va giù che proprio quel giorno si debbano fare dei regali. E se a me venisse voglia di farli il 17 luglio? O magari uno per ogni giorno dell’anno? Oppure mai?
Quest’obbligo rovina tutto: ci si trova a fare e ricevere regali inutili, che tantomeno piacciono.
Sto cercando di eliminare il problema, ma ammetto di non aver ancora trovato una soluzione. Fosse per me sarebbe semplice: regalerei qualcosa quando ne ho voglia e magari fatto con le mie mani. Ma ho paura di deludere e non vorrei. E il mio continuare a ripetere “no, nonvoglioregalinonmenefateviprego” non ottiene esiti positivi.
Sono comunque ottimista per il futuro.
Quindi, appunto, mi trovo a dover uscire per comprare i regali. Non ne ho alcuna voglia.
Mi sono scritta una piccola lista, per essere certa di non dimenticare nessuno. L’ho posata sul tavolino all’ingresso, sotto le chiavi di casa. Indosso cappotto, sciarpa e guanti e mentre mi preparo decido di portare con me anche Gesù Bambino. In fondo è giusto che partecipi e per il momento è libero da altri impegni. Meglio approfittarne considerato che in seguito sarà talmente preso da visite reali, miracoli da fare e gente da salvare, che non avrà proprio più occasione di svagarsi un po’.
Lo prendo dal cassetto dove l’avevo rinchiuso, lo infilo in tasca e, raccogliendo nel passare lista e chiavi di casa, mi chiudo la porta alle spalle e scendo in garage.
Salgo in macchina e, dopo aver sistemato Gesù Bambino sul cruscotto, parto in direzione del centro.
Il traffico è notevole, non me l’aspettavo. In fondo sono appena le due di sabato pomeriggio e mancano ancora tre giorni a Natale. Probabilmente sono stata ingenua a credere che avrei battuto tutti quanti sul tempo. Comunque, ormai sono in ballo e, come si suol dire, ballerò.
Mentre mi avvicino al centro città il traffico rallenta, si incolonna: c’è coda. La velocità moderata con cui procedo e le soste prolungate mi permettono di guardarmi intorno. Vedo ovunque pupazzi di Babbo Natale che si arrampicano sui balconi, non c’è un solo palazzo che ne sia privo. Mentre mi domando l’effetto che questo spettacolo potrà avere sui bambini, vengo catturata dalle brillanti luci bianche e blu che scendono a cascata su di una vetrina. All’improvviso un clacson prepotente suona alle mie spalle.
Gesù Bambino si volta spaventato. Non ho nemmeno il tempo di rendermi conto che la coda davanti a me si è mossa, che sento un auto ruggire per superarmi. Posso immaginare, dai gesti che fa il conducente mentre mi si affianca, il profondo senso delle sue esternazioni, così mi limito ad osservarlo basita mentre se ne va.
Riprendo la marcia e finalmente, dopo aver sostato diverse altre volte in colonna, raggiungo il centro.
Parcheggi liberi nemmeno uno. Perché non ho preso l’autobus?
Comincio a fare i soliti giri in tondo sperando che qualcuno se ne vada, ma dopo un quarto d’ora ancora niente. E altre auto aspettano, proprio come me.
Nel frattempo Gesù Bambino si è addormentato.
Miracolosamente – e qui inizio a credere che i poteri di questo fanciullo stiano cominciando a svilupparsi – una donna si avvicina ad un SUV parcheggiato qualche posto più avanti. Accendo il motore e mi avvicino speranzosa. Effettivamente la donna sale in macchina e, dopo qualche secondo, le luci della retromarcia si illuminano. Bene!
Esce per metà dal parcheggio, poi rientra, probabilmente non certa di avere sufficiente capacità di manovra per non urtare le auto retrostanti.
“Ma come? C’è spazio per un pullmann, coraggio signora!” esclamo mentre osservo.
Cerco di farle dei gesti di rassicurazione, ma questa non mi vede o fa finta.
Esce un’altra volta per metà e poi rientra, in una specie di rewind.
Si svolge e riavvolge per cinque minuti buoni: io sono ancora qui che aspetto.
Mi dico che no, i poteri del fanciullo evidentemente non sono ancora stati attivati.
Ma nell’istante in cui lo penso ecco che vedo un’altra auto andare via. Mi infilo veloce al suo posto e tiro un sospiro di sollievo.
“Ti eri quasi meritato il castigo di restare in macchina al freddo e al gelo e senza bue né asinello!…ma è Natale e siamo tutti più buoni. Su andiamo!” dico al mio passeggero.
Mentre mi incammino verso l’uscita del parcheggio per andare incontro alle luci dei negozi, vedo che il SUV va ancora avanti e indietro.
Il freddo è pungente e mi sferza il viso con i suoi mille spilli. I marciapiedi sono pieni di gente che cammina veloce, in maniera nervosa. Vedo sguardi tristi e mi domando: perché?
Non dovrebbero essere giorni gioiosi?
Un uomo mi spintona passando, un bambino mi pesta un piede mentre strilla qualcosa con tono isterico.
Entro nel primo negozio che vedo per sentire un po’ di calore e tentare di sottrarmi alla folla esagitata.
Mi guardo intorno e mi accorgo di essere in una libreria. Affollata.
Sulla mia lista compaiono circa un paio di persone alle quali desidero regalare un libro, così cerco di avvicinarmi agli espositori.
Un muro umano ci divide.
Mi impegno. “Scusi! Per favore! Permette?”.
Non permettono.
Esco e ritrovo la stessa folla da marciapiede. Zigzagando raggiungo una profumeria.
Appena apro la porta il mio naso entra in sciopero.
Non riesco a vedere il bancone delle commesse. Sento un gran vociare e rumore di forbici, nastri arrotolati e carta da pacco spiegazzata.
Avevo pensato ad un profumo per mia madre…magari il Natale prossimo. Del resto, anche se aspettassi qui il mio turno, rischierei di arrivarci in ogni caso.
Esco.
Ma il mio naso ha ormai dato forfait.
Comincio a rendermi conto della situazione, ma non posso nemmeno fermarmi a riflettere un istante se non voglio essere investita dai passanti.
Quindi, razionalmente e in fretta, raggiungo la conclusione che è meglio tornare a casa.
A passi piccoli e veloci da automa raggiungo il parcheggio e vado via.
La donna del SUV era ancora lì.
Lasciando il centro osservo le luminarie delle vie che iniziano ad accendersi. Mi stupisco di quante siano.
“Non abbiamo avuto fortuna oggi, caro Gesù!” dico mentre entro in casa e mi tolgo il cappotto.
L’impresa di comprare i regali è naufragata. Sono un po’ in pensiero.
Lo squillo del telefono mi fa trasalire.
Rispondo, è mio fratello. Che mi dice “vai tu a fare la spesa per il pranzo di Natale? Sai che mamma si stancherebbe troppo, e poi deve già pensare a cucinare per tutta la famiglia, quel giorno. Mi sembra il minimo.”
“Ciao anche a te.” gli rispondo. “Certo. Ci avevo già pensato. Ci vado domani, in mattinata”
“Nooo!” grida all’improvviso attraverso il ricevitore. Mi spavento. “Sei pazza? Ci devi andare la vigilia, sul tardo pomeriggio. Altrimenti gli antipasti si guastano!” aggiunge evidentemente in preda ad un attacco isterico.
“Calmati! Va bene, farò come dici tu! Stai tranquillo!” tento di alleggerire la sua esagerata tensione.
La vigilia. Nel tardo pomeriggio. Mio Dio!
Gesù Bambino si volta e mi guarda male.
“Hmmm…la vigilia avrei un impegno, a dire il vero…”
Ci provo…
“Rimandalo!” mi dice perentorio. “Se non ci vai tu è un disastro! Chiara non può, sai bene quanto è impegnata con il nuovo lavoro…”
Chiara, sua moglie, non può mai. E’ sempre troppo impegnata, soprattutto a cambiare lavoro.
“Cosa vuoi che sia! Al limite non avremo il salmone e l’insalata russa, ne facciamo a meno per trecentosessantaquattro giorni l’anno, non credo moriremo!” gli dico, abbozzando un sorriso.
“Credo proprio che ti stia dando di volta il cervello. Smettila di dire sciocchezze. Ti detto la lista di quel che devi comprare, prendi carta e penna….”
Il sorriso mi si spegne sulle labbra. Prendo l’occorrente e inizio a scrivere.
Dopo avermi dettato l’elenco delle cose da acquistare, accuratamente preparato da Chiara che per questo ha sottratto tempo prezioso a tutti i suoi impegni e dovrei dirle grazie, ecc, ecc…mi saluta e riappende.
Rimango con il ricevitore in mano, piuttosto provata. Dopo qualche secondo mi riprendo e vado a
riporre Gesù Bambino nel cassetto. Ma prima di chiuderlo, gli dico “Coraggio che dopodomani ci ritocca!”.
Fortunatamente mi coglie un pensiero che mi conforta un po’: niente lavoro fino al 27!”
Anche se, come primo giorno di vacanza, questo è stato decisamente stressante. Molto più di un sabato qualunque. Dov’è quindi il vantaggio? Se più giorni di riposo corrispondono a più stress?
Sarebbe meglio andare a lavorare, mi stancherei di meno.
Tutto sommato decido di non abbattermi. Può sempre darsi che domani possa riposarmi e compensare questo pomeriggio.
In effetti mi sento piuttosto stanca e, dopo una doccia e una cena veloce vado a letto.
Mi sveglio la mattina dopo con la sensazione di incanto che mi accompagna in questi giorni. Nonostante tutto, non mi abbandona. E’ positivo.
Passo la giornata in casa, avvolta nell’intimità di questa dolce atmosfera. Ma ho voglia di condividerla, di amplificarla. Così decido di telefonare ai miei genitori e a qualche amica. Purtroppo sento voci agitate e nervose. Tutti mi parlano di regali, compere, pranzi e cene e preparativi dell’ultimo minuto. Nel bel mezzo ricevo una telefonata dalla nonna che mi dice che il nonno è ansioso perché ancora non ha nevicato e come si fa senza, che fa tanto poco Natale, e non ci sono più le stagioni di una volta e tutto il mondo va a sghimbescio mentre ai tempi suoi si che erano tempi!
Dopo di che, salutata la nonna e rassicurata con condiscendenti “Si certo, è proprio così”, stacco la spina del telefono. Almeno non sarò tentata di riprovarci, mossa dalla speranza che forse la prossima voce sarà gioiosa come lo sono io. E poi, di nonni, ne ho quattro. Non si sa mai.
Il resto della giornata lo trascorro serena, tra me e me. Scrivendo, prendendomi cura delle mie piante, leggendo un buon libro. Niente tv: sono satura di pubblicità di profumi, gioielli e panettoni. Penso molto all’amore, alla sua semplicità. E vado a dormire con in testa grandi sogni.
Il mattino dopo mi accoglie con un’aria pungente e prufumata di umidità. La luce del giorno fatica ad arrivare e non arriva mai del tutto. Le nuvole sono basse, le case avvolte da una leggera nebbia che aureola le luci artificiali, rimaste accese per l’intera giornata, di un alone sfumato. E’ il tipico “tempo da neve”. Sento che arriverà.
Guardo dalla finestra il traffico intenso delle automobili, tutte indirizzate verso il centro. La gente alla fermata dell’autobus è infreddolita e impaziente.
Non ho voglia di uscire.
Alle diciassette, però, mi costringo a farlo. Non vorrei provocare una catastrofe al pranzo di domani arrivando senza il necessario.
Così mi faccio forza ed esco. L’esperienza insegna, ma nemmeno oggi prenderò il bus perché con la spesa appresso sarebbe oltremodo scomodo.
Così, via con la macchina. Io e compare Bambin Gesù.
Più o meno c’è il caos dell’altro ieri. Forse c’è in giro qualche Vigile in più. Ma, vista la condizione della scorrevolezza del traffico, immagino che la ragione sia quella di distribuire qualche multa. Come dire…a Natale siamo tutti più buoni. E ognuno elargisce ciò che ha.
In qualche modo riesco ad arrivare all’ipermercato, pur impiegandoci un tempo spropositato. Ci sono i parcheggiatori e nonostante i loro volti disperati, riescono a fare il miracolo di trovare un buco dove infilare la mia minuscola ford ka.
Le scale mobili che portano al piano superiore sono stracolme. Mi domando se reggeranno. Entro nell’ipermercato in fretta, per quanto mi è consentito, e subito capisco che dovrò armarmi di un briciolo di furbizia e cattiveria, se ho cara la pelle.
Mi approvvigiono di un carrello e, per prima cosa, mi dirigo verso il reparto gastronomia per accaparrarmi il numero che mi offrirà un seppur minimo diritto di prelazione. A pochi metri dal banco mi rendo conto che la realtà, a volte, può superare la fantasia. In effetti quando prendo il biglietto con il numero, sopra c’è scritto 377 e il display luminoso indica che in questo momento stanno servendo il 320.
Penso che mi perderò la nascita del Signore.
Nel frattempo decido di andare a comprare la frutta. Chissà se è rimasto un ananas? Si, ce ne sono ben due! Però devo correre perché cè già un uomo che vuol metterci le mani sopra…lo sgomito un po’, forse con eccessiva violenza. Mi guarda male.
“E’ una questione di vita o di morte! Mi scusi” gli dico.
“Lo è per tutti!” mi risponde lui minaccioso e si prende uno dei due ambiti frutti.
Riesco, nonostante tutto a prendere l’ultimo. Non è bellissimo, ma nessuno mi ha detto che doveva esserlo.
Le bilance per pesarlo e prezzarlo sono tutte impegnate. Mi correggo, una è stranamente libera. Corro!
Non c’è carta.
C’è sempre il trucco. Mi adatto a fare la fila.
Sono tutti nervosi. Qualcuno sbuffa. Qualcun altro alza la voce e scoppiano festosi alterchi.
Dieci minuti dopo il mio ananas è dotato di etichetta.
Qualche clementina la troverò? Ne sono rimaste poche e tutte in uno stato che rasenta la putrefazione. Mi consolo pensando che non sarei in ogni caso stata disposta a rifare la stessa trafila.
Sarà il mio turno al banco gastronomia? Sbircio il display…indica il numero 335.
E’ presto. Siamo appena alla genesi.
Procedo con la spesa e nel frattempo riesco a riempire mezzo carrello, trovando quasi tutto.
“Click”…….Panettone!
Stavo scordando il panettone!
Classico, semplice. Ci sarà? Ma certo, penso. Ormai con tutti quelli farciti che ci sono in commercio chi lo vuole più il panettone di una volta?
Arrivo agli espositori e vedo… gli espositori. Vuoti.
Niente. Non hanno lasciato niente!
Ma la gente di cosa vive durante il resto dell’anno? Non è possibile che in un giorno solo riescano a mangiarsi tutto. Hanno appena concluso uno sciopero della fame? Sono usciti dal letargo?
Non so darmi una risposta.
Una ragazza arriva con passo concitato dietro di me ed esclama “Cazzo non ci sono più panettoni! Come faccio!”
Mi volto e la vedo impallidire. Prorompe in un “No, no, no!” che passa dal pianissimo al fortissimo e, improvvisamente, scoppia in un pianto isterico.
Ad un certo punto sviene e chiamano il direttore. Due inservienti la stendono sul muletto e la portano via.
Istintivamente infilo una mano in tasca per chiudere gli occhi a Gesù Bambino.
Sono stupefatta. Intanto, intorno a me, tutti continuano a fare le loro compere come se niente fosse. Non hanno nemmeno mai smesso.
Mi allontano stranita e mi lascio guidare dal display luminoso che indica 370.
Ci siamo quasi.
Mentre aspetto ascolto, osservo.
Due anziane signore dialogano tra loro.
“Domani arriva mia figlia da Milano con suo marito e i bambini. Sono tanto impegnati, non li vedo che per Natale. Sa, la distanza è quella che è…ma dovrebbe vedere quei due angioletti! Mi adorano! L’anno scorso ho regalato un cavallo alla bimba ed un televisore a cristalli liquidi al piccolo!”
“Oh, mio figlio invece non potrà venire.” dice l’altra signora. E poi aggiunge “Fa il chirurgo, lavora venti ore al giorno, poverino! E’ tanto premuroso però. Ha assunto una badante per me, Ester, da un anno ormai. Dice che vuole stare tranquillo. Io ancora me la cavo a fare tutto, ma cosa vuole, lui preferisce così. Così domani avrò la compagnia di Ester. Pensa proprio a tutto, il mio tesoro!”
Vedo una luce triste negli occhi di tutte e due le donne. Mi volto e cerco di far risuonare più forte in testa i miei pensieri per non ascoltare nient’altro.
Finalmente arriva il mio turno. La commessa è stanca, non ha più voglia di sorridere, anche se cerca di mantenere stampata in viso un’espressione cordiale. Mi sento quasi in colpa a costringerla a tagliare altre fette di prosciutto e confezionare altri filetti di salmone.
Quando da sopra al bancone mi consegna il pacchetto, la ringrazio e mi lascio sfuggire un “….e mi perdoni!”
Lei non fa una piega e serve il prossimo cliente. Mi allontano e vado verso le casse.
Sono tutte aperte. Quindi, la media di carrelli davanti al mio, si limita ad essere di una decina.
Ottimo. Credevo peggio.
Davanti a me c’è una donna, sui quarant’anni, con un bambino. E’ una bionda vaporosa, truccatissima. Vestita così: pantaloni di pelle nera, attillatissimi. Giubbino extra corto, sempre nero, con borchie e fibbie varie aperto su una maglietta di lana panterata che deve aver sofferto il lavaggio considerata la sua brevità che non permette ad una prominente pancetta di occultarsi.
Il tutto sostenuto dal tacco portentoso di due stivali al ginocchio.
Mi viene l’atroce dubbio che il complessivo effetto d’insieme sia voluto ma….lo scaccio.
Comunque.
Quello che immagino sia suo figlio, è biondo, avrà all’incirca nove anni, ma è già pettinato come un Ben Afflek in miniatura.
Mi piaccioni i bambini. Questo no.
“Mamma, abbiamo preso le tartine al caviale?” dice con un tono di vaga supponenza.
“Certo Brian!” risponde la madre.
Brian?!
Che nome è Brian?!!
Sorvolo. A questo punto mi aspetto che le domandi se lo champagne che hanno scelto sarà all’altezza dei loro palati, poi mi rendo conto che ha nove anni e probabilmente, grazie a Dio, non si interessa ancora agli alcoolici.
Anche se mi resta il dubbio.
Lentamente arriva il mio turno di far scorrere gli articoli sul nastro.
Intanto mamma e figlio ripongono la loro spesa nei sacchetti.
“Hmmm…non volevo questo panettone! Lo sai che non mi piace.” le dice lui con tono petulante ed un’espressione schifata in volto.
Questo bambino mi piace sempre meno.
“Tesoro, era l’ultimo!” gli risponde sua madre con voce impostata sul livello “mortificazione” mentre cerca di imitare movenze da “femme fatale”, in onore del pubblico maschile presente.
E sei fortunato ad avercelo il panettone, brutto insetto! Penso tra me e me.
“Uffa, allora non lo mangio!” esclama mettendo il broncio.
Questo bambino lo detesto. E aggiungo che se fosse figlio mio lo abbandonerei nel bosco come pollicino, ma senza nessun pezzo di pane da sbriciolare
Finalmente la madre paga il conto e se ne vanno verso l’uscita.
Non posso trattenermi dal chiedermi “Ma dove andrà mai questa donna, conciata così e …con un figlio che si chiama Brian?”.
“Fanno 157 euro.” dice la cassiera, ridestandomi. Ha la voce spenta e lo sguardo stanco. Anche lei.
Pago e con le mie due buste vado verso la macchina.
All’improvviso mi sento esausta e inizio a pensare che tutta la fatica che ho fatto è stata stupida ed inutile. Ho disperso le mie energie per qualcosa che non ha assolutamente alcun senso! Che importa cosa si mangia a Natale? Non è forse lo stare insieme a chi si ama a rendere felici?
Giro intorno a queste riflessioni, sempre più amareggiata e all’improvviso una voce, dimessa e dolce, mi chiama.
“Scusi signorina….ho fame. Mi darebbe dei soldi per mangiare? Un euro almeno!”
E’ un povero mendicante vestito di stracci che si è seduto sul marciapiede fuori dall’ipermercato, evidentemente per chiedere un po’ di carità.
“Questo derelitto non ha nemmeno da mangiare!” rifletto “io invece ho due buste piene di cibo delizioso.”
Non ci penso su un minuto e, presa da un’impellente desiderio di riscatto per questi poveri sfortunati, mi avvicino e gli offro la mia spesa. Tutta quanta.
“E mi perdoni l’ananas, non è dei migliori….. e il panettone non l’ho trovato…mi dispiace!” tento di giustificarmi, mentre gli porgo le buste.
Lui mi guarda sbalordito.
Penso “Forse l’ho offeso…umiliato…ci è rimasto male…non sa come ringraziarmi…”
“Non si preoccupi, non deve dirmi grazie! Prenda tutto, ne sono felice! E le auguro tanta fortuna!” gli dico, con gli occhi lucidi.
“Ringraziarti? Ma tu sei pazza!” esclama all’improvviso.
E poi, alzando sempre più il tono della voce “Taccagna! Ti ho chiesto dei soldi, io! Mica gli scarti della tua spesa! Quella vado a farmela da solo e mi compro quel che mi pare!”.
Rimango impietrita. Gli occhi sgranati. Incredula.
Lui continua ad inveire contro di me, ma ad un certo punto riesco a riavermi e, dopo avergli lanciato uno sguardo di ghiaccio, mi allontano mentre mi urla dietro “Razza di stracciona!”.
Salgo in macchina e mi dirigo verso casa. Non accendo nemmeno lo stereo. Non voglio sentire più niente.
Anche tu, Gesù Bambino, stai zitto!
La strada è illuminata che pare di essere in una giostra. Un’ombra fulminea passa davanti ai miei fari, io pesto furiosa sul pedale del freno, la macchina si inchioda all’asfalto. Cosa è stato?
Ho il cuore a mille, le gambe sono diventate gelatina. Non ho sentito nessun urto, ma istintivamente scendo svelta dalla macchina per cercare di prestare un eventuale soccorso. Grazie al cielo non vedo nessuno steso davanti alla mia automobile, ma sento dei passi che di corsa si allontanano verso il lato opposto della strada.
Riesco a malapena a distinguere la sagoma di un ragazzo che scappa urlando “Dio mi insegue!”.

A questo punto ho davvero bisogno di fare due passi per schiarirmi le idee.
Parcheggio la macchina alla bell’e meglio sul ciglio della strada e mi incammino verso il parco.
“Senti Gesù Bambino” dico mentre lo sfilo dalla tasca “Sei proprio sicuro di voler venire al mondo per salvare questi qua? Che in compenso ti faranno anche fare una brutta fine! Te lo dico con il cuore in mano…. pensaci bene, sei ancora in tempo…”
Mi sorride con fare rassegnato. Come chi capisce tutto.
L’aria è frizzante, si sente l’umidità attraversare gli indumenti. Ma non ho freddo. Per strada, a piedi, non c’è nessuno. Appena qualche metro più in là le macchine sfrecciano copiose, avvelenando l’aria coi gas di scarico e il fastidioso rombo dei loro motori.
Io vado lentamente verso il silenzio, verso la più discreta illuminazione del parco.
Alzo gli occhi al cielo: ora, in questo tenue bagliore , posso vedere le stelle.
Sento sulla pelle un cristallo gelato e poi un altro e un altro ancora…nevica!
Un cane solitario mi viene incontro. Ha lo sguardo buono. Si avvicina, mi annusa. Si sfrega contro il mio cappotto.
“Ho qualcosa per te…” gli dico.
Lo lascio mentre, tutto scodinzolante, sta mangiando salmone e tartine e tutta quanta la mia spesa….a parte l’ananas, immagino.
Un fiocco di neve scende e si posa, sfacciato, sulle mie labbra si scioglie… ne sboccia un sorriso.
Sono qui, in questa pace. Senza niente a parte me stessa. Posso vedere le stelle. Sentire la neve scivolarmi addosso. Ho reso felice un cane.
Il Natale che sogno è in questo istante.

 

2 pensiero su “Natale e dintorni”
  1. non so perchè, ma mi hai ricordato quel film famoso, “Fratello Sole, Sorella Luna”, nella scena in cui una delle due gran dame in pellegrinaggio a Roma danno una moneta allo straccione Francesco, così, “per salvarsi l’anima…”.
    forse in questo sta la bellezza e la grandezza del Cristianesimo, che cioè resista, nonostante certi Cristiani.
    bellissimo il modo in cui hai interpretato e ricordato il senso dell’essenzialità di un insegnamento che si perde nei rivoli della quotidianità e bello anche il modo di sentire quel povero Gesù Bambino, tirato e strappato da tutte le parti.
    un abbraccio a te e ai tuoi cari.
    buon Natale, Simona!
    ciao.
    anna

    …anch’io guardo meditabonda quei poveri Babbi Natale appesi nel vuoto come i condannati a morte di medievale memoria, sottoposti al supplizio della gabbia e appesi fuori dalle mura a imperituro monito dei passanti.
    chi sarà l’imbecille che li ha inventati e ci sottopone alla tortura di simile vista?

  2. Carissima Anna, grazie del commento e ricambio di cuore i tuoi auguri!

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