Intingo la lingua nel distillato poco sopraffino

che il gestore mi offre truffaldino.

E il mio poco poeta riflette senz’inchino

con riverenza postuma del profumo di un buon bicchier di vino.

Non c’è più fumo nelle nostre osterie,

non c’è più incanto nelle cascine, a commiato degradate, come semplici fattorie.

La nebbia dirada tra i pioppeti e le porcilaie

scoprendo i disperati che ancora affogano nelle risaie.

I piccoli rami della loro misera vita

sono condotti all’argine dei condannati con l’orma ammuffita,

a vivere in colonna perenne come soldati

che all’ombra di lavoro e famiglia vissero a strati

da porre in ossario, senza che alcuno ponesse il contrario.

Ma senza scampo e quindi muto inciampo

nel mio distillato bevuto senza piacere col gomito lercio appoggiato al banco.

Il vivere pare solo questo, chi s’accontenta gode

per gli altri non rimane che il nobile e vile testo

di chi per millenni ci propinò con frode.

 

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