Deianira quella sera optò per la terrazza che dava sul cortile interno. Adorava accucciarsi sulla poltroncina in vimini proprio accanto al corrimano, le sembrava di percepire il vuoto. Non quel vuoto che ti attanaglia lo stomaco e ti suscita un lieve capogiro. No. Piuttosto quel vuoto che profuma di emozioni, quel vuoto che racchiude l’essenza di tutti coloro che dentro di esso ci hanno nuotato. E poi la musica… Non importava di che tipo. In quell’angolo di casa non mancava mai la musica; a volte proveniva dal palazzo di fronte, altre da quello a fianco… Mentre ascoltava quelle melodie immaginava di essere lontana, era convinta che fosse il vuoto a portargliele in dono, come quando da bambina era convinta che il trent’uno gennaio, giorno del suo compleanno, il vuoto che sentiva dal balcone della sua vecchia casa le avesse regalato la neve. E ci credeva ancora, guai a contraddirla. Quella rappresentava una delle poche verità che custodiva in cuor suo. Per quanto si sentisse malata al contempo sapeva di essere gravida di vita e ciò soltanto le bastava. I medici? Lei non ne vide mai neanche uno, preferiva curarsi da sola, preferiva curarsi cercando di guardarsi dentro… Soprattutto ora che si era fatta l’idea che lei fosse come quel malato immaginario di cui tanto aveva sentito parlare, ora che era riuscita a trovare un modo per combattere il suo male.

Prendimi, prendimi adesso se ne hai il coraggio! E così che urlava al suo male quando sapeva che sarebbe arrivato. Poi quando di aria (e vuoto) ne aveva gustato abbastanza si accendeva una sigaretta (non poteva farlo prima altrimenti ne avrebbe nascosto l’odore) come quei fumatori che lasciano a portata di mano il pacchetto dopo aver finito di fare l’amore. Aveva pensato di loro che fossero squallidi… Come se lei, per prima, non facesse la stessa cosa!

“Buonanotte signora Linn…” la signora Linn spegneva la luce sempre a quell’ora… Alle 23,30 peggio di una soap a puntate.

“Si ricordi di riportare le piante in casa signor Sui…” e il signor Sui, dopo poco, era spuntato con la sua testolina buffa per prelevare le piante sul davanzale. Anche lui impeccabile e preciso come sempre.

“Buonanotte anche a te Deianira, che non hai luci da spegnere e piantine da salvare… Buonanotte a te che anche stanotte dormirai da sola e non farai altro che ripensare al passato e compiangerti per quei fantasmi che non ti tormentano più. E quando scriverai una lettera e la lascerai sulla panchina del parco, bella e anonima com’è, pensa a chi le lettere le scrive e le indirizza a persone in carne ed ossa e allo sguardo felice di chi si riconosce nel destinatario…”

Anche Deianira aveva una luce da spegnere, quella nei suoi occhi.
Monaldo quella sera optò per la terrazza che dava sul mare. Sentiva in cuor suo che anche Lei se avesse potuto l’avrebbe fatto. Ma dove viveva Lei non c’era il mare. L’aveva condotta più volte all’inferno e in mezzo a quelle colate di fuoco l’aveva abbandonata… Più e più volte. Quando l’aria era diventata più fresca e terminato di galleggiare nei ricordi si infilava nel letto accanto a Mirelle, ma le dava le spalle. Nel pugno, sotto il cuscino, stringeva sempre una lettera. Diceva così Addio amore mio. Sarò solo mia, almeno quando mi ricorderò di vivere…

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