Erica e Paolo aspettavano, in piedi, che la cameriera trovasse loro un posto. Dopo qualche minuto di attesa, la donna orientale fece segno di seguirla. Li sistemò al tavolo accanto ad una finestra aperta. L’aria primaverile si era abilmente intrufolata all’interno della sala. Al posto delle sedie, grosse poltrone di pelle rossa e accanto al tavolo un mezzo busto alla greca. Si sedettero indifferenti, noncuranti dell’ambiente circostante. Al di là, all’orizzonte, una splendida luna piena.
Paolo non riusciva a toglierle gli occhi di dosso. Erica quella sera era particolarmente elegante. Lui si era precipitato a prendere il menù tra le mani, lei picchiettava con le dita sul tavolo.
“Trovo che questa camicia ti stia particolarmente bene. Le righe verdi mettono in risalto i tuoi occhi” ed era come se quella di Erica fosse più una constatazione che un complimento.
“Dici? Quindi se tu mi incontrassi per la strada non diresti che ho la faccia di uno che ha trascorso tutta la notte in compagnia di un attacco di panico!” Paolo, parlando, ripuliva le lenti dei suoi occhiali con un lembo della camicia.
“Non hai preso quelle gocce omeopatiche che ti avevo consigliato, vero?” la voce di Erica suonava piuttosto indispettita.
“E’ tutta colpa del nostro governo. Ogni sera metto ansioso la testa sul cuscino per la paura che il giorno seguente di esso non resti più niente”.
“Credo che dovresti fare del volontariato, forse occupandoti un po’ più degli altri impareresti a badare a te stesso” lei stava sistemandosi il tovagliolo sulle ginocchia.
“Ma cosa lo metti a fare se non abbiamo neanche ordinato…” Paolo sghignazzava.
“E tu perché lo chiedi ogni volta?!” Erica gli stava osservando attentamente l’orecchio sinistro.
Paolo quando se ne fu accorto cominciò a dimenarsi “Che c’è, ho qualcosa di strano sul collo?” e vi portò la mano come se volesse levare via qualcosa.
“Ma è mai possibile che tu sia così maledettamente convulsivo! Stavo solo osservando che ti è rimasto del sapone nell’orecchio…”
Paolo la osservò sbigottito. “Credo sia meglio ordinare, non credi?”
“Io ho già fatto?” disse Erica compiaciuta.
“Come puoi aver già fatto se non hai consultato neanche il menù?” c’era un non so che di altezzoso nelle sue parole.
“Semplicemente ordinerò quello dell’altra volta, sono rimasta molto soddisfatta…”
“L’altra volta… E quale sarebbe questa altra volta?” Paolo rimarcò prontamente l’ultima frase.
“Quando sono venuta a cena in questo locale con Sara e le altre…” Erica trovava strano il fatto che il marito non se ne ricordasse, aveva una ottima memoria.
“Non credo che tu me ne abbia mai parlato… E non riesco a comprenderne il motivo”
“Dipenderà forse dal fatto che non presti attenzione a ciò che ti dico… Ti sembra buono questo come motivo?”
Intanto la cameriera che attendeva da qualche minuto in prossimità del tavolo trovò il coraggio per avvicinarsi “Volete ordinare signori?”
“Le dispiacerebbe attendere un momento, giusto il tempo per spiegare a mia moglie che se non mi racconta niente di certo non posso inventarmi ciò che le capita”.
“Se non le dispiace io invece ordinerei ora…” Erica non aveva dato il minimo peso alle parole del marito.
“Metta via quel taccuino, signorina… Qui decido io quando si ordina… Sono io che pago il conto!”
“E con questo cosa vorresti dire? Ti ricordo che io non lavoro perché tu pretendi di trovare al tuo ritorno scarpe ben lucidate e calzini ben ripiegati… E vuoi che faccia il tutto inginocchiata!”
“Andiamo in bagno, risolveremo tutto lì…”
“Tu vuoi risolvere sempre tutto con una scopata! Comunque per me va bene, ti aspetto in quello degli uomini”.
Entrambi si chiusero all’interno del bagno, ridendo di vero gusto.
“Adoro sempre di più recitare a soggetto!”