Pochi lo sanno, ma “To kill a mockingbird” è il titolo originale di un’opera che forse alcuni hanno letto, “Il buio oltre la siepe”.
Un romanzo che negli Stati Uniti portò al successo l’autrice Harper Lee e le valse nel 1960 il premio Pulitzer e che in versione cinematografica nel 1962 vide la magistrale interpretazione di Gregory Peck, l’assegnazione di numerosi di premi Oscar alla pellicola e la straordinaria dichiarazione dell’American Film Institute che nominò Atticus Finch, il personaggio dell’avvocato protagonista della vicenda, quale più grande eroe cinematografico del 20° secolo.
Uno straordinario film in bianco e nero per trasporre un libro che di bianchi e di neri parla, avendo come filo conduttore una presupposta violenza carnale e il processo contro un uomo di pelle nera, accusato del fattaccio ai danni di una donna bianca che ha dalla sua solo il pro del colore della pelle e tutti i contro di appartenere ad una famiglia di “poveri bianchi” del profondo sud americano negli anni bui della depressione.
Negli anni Sessanta quel libro e quel film costituirono una delle bandiere che contribuirono a mutare il modo di sentire collettivo, un grido contro la segregazione razziale, un mattone posto alla base di quel cambiamento che oggi ha portato Barack Obama al potere e gli conferisce l’onore di essere il primo Presidente Americano di pelle nera.
La vicenda ha come io narrante Scout che riporta gli avvenimenti così come li vive una bambina di sei, sette anni che si trova testimone delle azioni degli adulti e per tutta la vita, poi, le ricorda e dà ad esse una spiegazione sempre più precisa man mano che gli anni passano e le esperienze di vita le permettono di dar loro un senso ed una ulteriore sfaccettatura di significato.
Io credo che nessuno che voglia entrare a far parte del gruppo degli adulti possa esservi ammesso senza aver letto questo libro e senza aver guardato il film che affronta tutti i livelli del sentire dell’uomo, tutte le difficoltà del crescere e accettare la realtà, tutta la fatica del vivere sentendosi responsabili delle scelte e della volontà di porsi in rapporto con gli altri esseri umani.
Il tutto è descritto con maestria, levità, coraggio, sincerità, crudeltà e, sempre e comunque, con amore infinito per i personaggi che sono protagonisti della vicenda.
Perché mi è tornato in mente “Il buio oltre la siepe”?
Perché così, ad un tratto, dopo tanti anni, dopo gli innumerevoli elenchi di film preferiti che vedo comparire e stilati da adolescenti che hanno nella loro cultura cinematografico-cibernetica eroi muscolosi e belli, interpretati da attori alla moda per vicende lacrimose, spaccatutto o sessualmente infuocate?
E’ semplice.
Mi sono trovata sopraffatta da una piccola polemica innescata da un personaggio che ha con me la frequentazione di luoghi, amici e situazioni comuni.
Il busillis coinvolge diversi piani di discorso che sfociano poi in uno fondamentale: come ci si comporta, come si valuta, come ci si sente di fronte alla realtà e all’altro, quando questi cozzano col modo di essere e di pensare individuale?
Credo che sia proprio una questione di modo di essere e, quindi, di comportarsi e di agire.
Nel senso che non ci si improvvisa.
Come ci si educa faticosamente e umilmente al sapere, al decidere, all’essere una persona piuttosto che un’altra, così si impara con fatica a valutare, ad assumere un atteggiamento di responsabilità che superi la vanagloria e sappia guardare al di là della siepe, attraverso il buio del momento.
Se voglio, per esempio, comunicare il mio pensiero ad altri, non mi pongo remore: dico ciò che penso.
Non utilizzo, per questo motivo, il messaggio trasversale, perché sparando a vanvera posso rischiare di uccidere un povero passerotto, “mockingbird” nella lingua originale del libro a cui mi riferisco, che ha l’unica colpa di svolazzare intorno, trovandosi sulla traiettoria del barattolo a cui sto mirando.
…E in un’epoca in cui ci sentiamo tutti amici degli animali, crediamo che essi abbiano un’anima e che ci aspettino in paradiso, nessuno, credo, può permettersi nella nostra società di far del male a nessuno.
Tanto meno ad un passerotto.
Cara Anna, ribadisco la mia stima nei tuoi confronti e il rispetto della tua penna corretta e sapiente. Grazie per questo pezzo da caffé letterario. Ricordo benissimo il libro, il film e Gregory Pecck, fra l’altro mio simbolo di uomo per la sua fisicità e per come strutturalmente veniva presentato nonché come attore.
Nel clima e nello scenario attuale, sia allargato che nei dintorni, il pezzo é più che appropriato; forse l’uomo ha ancora bisogno di essere educato e di guardare bene al passato, certo é che usando un’arma, anche bianca, e non sapendola usare, nella mischia si rischia di far del male ad un passerrotto senza neanche rendersene conto.
Un abbraccio.
Sandra
Gli animali non solo hanno un’anima ma l’hanno anche pulita e luminosa, a dispetto della nostra opaca e sporca. Il non aver inteso ancora questo, nella vita, è cosa grave che permette a tanti di maltrattarli. Ah dimenticavo, loro non ci aspettano in paradiso, ma all’inferno.
Cara Anna, che argomento interessante e complesso hai affrontato, io la penso come te, non si può sparare nel mucchio solo per colpire, nessuno ha il diritto di ferire nessuno. Per quanto riguarda le discriminazioni razziali, purtroppo esistono ancora, e secondo me, sono la vergogna dell’umanità, penso agli schiavi neri d’America, penso agli ebrei perseguitati dai nazisti, questi sono i più eclatanti, poi ci sono le donne violentate, i bambini maltrattati, i disabili evitati, gli animali abbandonati (che anche questa è discriminazione), tutto frutto dell’egoismo, della presunzione, dell’arroganza dell’uomo. Cara Anna grazie per l’argomento che hai trattato e che mi ha dato la possibilità di dire la mia opinione. Ti abbraccio con stima. Ciao da Betta
PS cercherò di trovare il film di cui parli, purtroppo non lo conosco, vedrò di rimediare…
vi ringrazio per esservi soffermati, per aver letto e per aver inteso il senso delle mie parole.
il film è bellissimo, il libro ovviamente anche.
resto, però, convinta che gli animali vadano in paradiso, perchè inviarli all’inferno, quando la loro vita è già complicata, così com’è, su questa terra?
non riesco a pensare che la dolcezza dei miei amici animali, che mi hanno accompagnato fedelmente nella loro vita, si perda nell’infelicità eterna.
forse sono ottimista e convinta che anche una sola buona azione salvi la vita: spero che mi siano testimoni.
a
Bell’articolo. Il film non l’ho visto, ma il libro è davvero notevole.
Concordo con le tue parole e mi complimento per l’articolo molto significativo. Il libro in effetti non parla solo di bianchi e neri in america, è un’opera che parla della società e del pregiudizio, anche se ha la struttura di un giallo e quindi è molto avvincente. Davvero da leggere. Ciao.