Certe notti a Milano cadevano inesorabili come un ghigliottina. Sui vivi, sui morti, sui ricordi, sul presente, sul passato, sul futuro, sui pensieri, su Libero.
Certe notti non bastava la solita peroni da 66 ghiacciata tirata fuori del frigo deserto e un bicchierino di Padre Peppe gelosamente custodito per le occasioni migliori che puntualmente non arrivavano mai, per conciliare il sonno e spegnere quelle sigarette svogliate accese dalla noia.
Libero guardava il cielo informe di quella notte da dietro ai finestroni del suo monolocale impersonale e senza pretese. Non vi aveva aggiunto quasi nulla di suo: sembrava la stanza di un motel e in fondo lui si sentiva di passaggio, quel luogo non gli apparteneva. La sua casa, quella che aveva amato l’aveva lasciata più di un anno fa e lì aveva lasciato molto di più di quello che pensava.
Il cielo nascondeva le stelle. Milano non ti lascia nemmeno la consolazione delle stelle. Una cappa giallastra inquinava la volta nera della notte: non c’è spazio per la poesia nella pianura ipermercata cantata da Vinicio, nella campagna puzzolente, tra file interminabili di capannoni, svincoli autostradali, centrali elettriche, industrie, depositi, fiumi morti. Le stelle erano lì dietro ma erano solo un ricordo.
Il pc mandava l’album d’esordio di Vasco Brondi, decantato come il nuovo Vasco, quello vero.
Ma in realtà di Vasco non aveva niente a parte il nome. Però era bravo e Libero ne ascoltava i testi cupi e post-industriali.
Il 2009 stava per iniziare, l’ultimo anno della prima decade di questi spaventosi anni 0, ma che musica rimarrà? Che musica caratterizzerà “sti cazzo di anni 0”? Ascoltando la radio bastano pochi secondi per poter affermare “questa è anni 80, questa anni 70, quest’altra decisamente 60”, ma che cosa sarebbe rimasto della prima decade del nuovo millennio? E degli stessi anni 90 che cosa era rimasto poi? Non sapeva rispondersi… da quando Kurt Cobain aveva deciso di piantarsi due pallottole in bocca, l’emergenza rifiuti decisamente attanagliava anche il campo musicale…
Domani era il giorno della festa aziendale e Libero non aveva ancora comperato nulla di nuovo da mettere. La sua uscita per lo shopping si era conclusa con un nulla di fatto. Ci avrebbe pensato domani. Ora si ascoltava Vasco, quell’altro Vasco, e storcendo un po’ la bocca disse, “Non è poi mica male sto Vasco!”…
Nella battuta finale leggo l’apertura verso un’alternativa che nella vita è sempre possibile.
Non quello, ma forse quell’altro…
Il pezzo è valido, mi piace; è scorrevole, ben scritto, cattivo al punto giusto verso la metropoli dannata e anonima, ma non saprei dire perchè, c’è un’apertura nuova verso la vita in quell’abito nuovo da comprare, non oggi forse, ma sicuramente domani.
Alla prossima, Carissimo.
Mi piacciono i racconti a puntate.
Ciao
anna
Ciao, un racconto in una Milano dove pare non esserci neppure le stelle, ma ci leggo l’apertura di un raggio di chiaro di luna, una luce fredda, ma pur sempre luce. Vedremo se Libero, preso da tante cose, sensibile alle riflessioni, pensieroso, dubbioso sul futuro, si sforzerà di fare shopping, acquisterà qualcosa che illuminerà la sua persona fisica e il suo interno. Solo con la luce siamo notati, ricordalo, al buio sono pochi quelli che riescono a vedere.
Alla prossima.
Sandra
Mi è piaciuto il riferimento alle note post-industriali, l’unica nota storica che si immerge nel passato.
Non voglio fare una polemica però penso che se tu questi personaggi li lasciassi fare un pò di più, senza necessariamente lanciare o mettervi dentro un ‘significato’ una componente morale, il racconto si farebbe forse più sciolto, e più libero. Cioè credo che all’interno tu ci metta delle riflessioni (scusa il tu) che forse non vanno sempre in linea con ‘il personaggio’ che forse pensa ad altro ed ha altri interessi. maren.