Come gabbiano

ristò sullo scoglio.

E fisso. E penso.

Guardo quel che da lungi

vienmi con passo

or breve

or lungo

or minaccioso.

Par che mi dica:

taci ed ascolta.

Con moto incessante

scherza,

abbraccia,

rigira,

spumeggia la pietra.

La guata umida e nuda.

La carezza maschio e supino.

La sovrasta ritto e imperioso.

Lontano fin che lo guardo può,

rugando teso la fronte,

girando lento il capo

a scrutar sull’onda

arcani approdi a me venir,

io lo miro sotto l’azzurro manto

e tutt’intorno cinto,

mentre sta sovrano

ad innondar la terra sua.

Con la feconda madre

ed il superno padre

l’han violato, ferito, offeso.

Non ti fidar di lui

perch’entro il suo vasto grembo,

trama perenne inganno

e, vindice, tende violenza e morte.

 

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