Seduta nella sua sedia di paglia e legno osservava fuori dalla finestra. Eppure non sapeva descrivere il paesaggio che stava osservando. La sua mente vagava in quel mondo infinito che l’uomo chiama “Fantasia” e vedeva solo draghi, castelli e principesse da salvare. In quel posto, qualunque suo desiderio si realizzava e poteva visitarlo tutte le volte che voleva: le bastava solo spalancare le porte del suo cuore per andarvi. Poi, quando finalmente era pronta, tornava nel mondo reale e, davanti alla sua vecchia Olivetti, scriveva ciò che aveva vissuto.
Ormai tutti gli scrittori facevano uso del computer, ma lei no. Odiava quell’aggeggio tecnologico che aveva soppiantato rulli, fogli sporchi di inchiostro, errori corretti con il bianchetto, il trillo che segnala il termine della riga, le dita indolenzite a causa dei tasti troppo duri e quel classico ma immancabile ticchettio infernale. Odiava quel rumore eppure non poteva farne a meno perché, per lei, incarnava l’essenza stessa della scrittura. E come se si trovasse sotto ipnosi scriveva pagine e pagine senza curarsi della forma. Non poteva farlo o avrebbe perso l’ispirazione. Era come una droga, una magia o, più semplicemente, una bella donna che, una volta persa, non tornava più. Allora lei non faceva che inseguirla, sfiorarla, afferrarla e danzare con lei fino alla fine. Poco importava dove l’avrebbe condotta perché, al termine del ballo, l’avrebbe abbandonata per andare alla ricerca di un nuovo cavaliere. Avrebbe poi letto tutto, cancellato ciò che non andava bene e sistemato la forma. Era la parte più difficile, non sempre uno scrittore riesce a rinunciare ad un pezzo del proprio figlio. Ma occorre essere imparziali, freddi e obiettivi perché potete star certi che i lettori lo saranno.
Scrivendo aveva imparato anche questo. Alla fine, scorreva il tutto ancora una volta e, se era soddisfatta di ciò che aveva creato, l’avrebbe letto sino a impararlo a memoria, altrimenti, senza alcun rimpianto, avrebbe accartocciato il foglio e cestinato. E, davanti alla sua fida macchina da scrivere, avrebbe ricominciato daccapo.
…anch’io proprio così mi sento…
E nei momenti di maggior concentrazione addirittura uso scrivere a mano.
Ciao
anna
Uno stato d’animo che appartiene anche a me. L’unica cosa diversa é che odio la macchina da scrivere fin dalla scuola con la materia: dattilografia. Non amo neanche il computer, ma riconosco la sua utilità e velocità.
Amo fermare il pensiero anche sulla cara vecchia carta.
Ciao.
Sandra
Quel mondo che l’uomo chiama “fantasia”, come ricordi giustamente tu, è un territorio sconfinato in cui possiamo spaziare liberamente e senza falsi condizionamenti, per attingere spunti sempre nuovi con cui guardare al presente… e a volte per fuggire, con la consapevolezza di dover tornare, prima o poi, con i piedi per terra ed un bagaglio di emozioni da “riversare” sulla carta. Brava, bel racconto/riflessione.
Katia
Nemmeno io amo moltissimo la macchina da scrivere però, non so perché, quando penso ad uno scrittore me lo immagino davanti alla sua Olivetti. Io prediligo il pc, perché posso scrivere, aggiungere e cancellare mantenendo l’ordine, però amo tantissimo anche la carta (infatti questo pezzo lo scrissi su un vecchio block notes, mentre mi trovavo in treno). In fondo, la sensazione della biro che velocemente scorre sulla carta bianca e liscia è qualcosa di veramente unico!
Grazie a tutte!
Matite…
se venissi di nuovo al mondo
vorrei essere la matita di sally
quando traccia i suoi segni
come la trebbia un campo di grano
f.
P.S. maldestro tentativo di componimento poetico ispirato da te e dal tuo amore per la carta, penna e calamaio… che condivido ma che non mi farebbe mai abbandonare il mio fido word processor…
ciao!
😉
Grazie infinite Frank! 🙂
Carino, quello che io chiamo una lettura breve, allegra, rilassante. C’è della qualità.
Grazie di cuore. 🙂