Le stelle brillavano nel cielo limpido di una sera d’Estate, una sera come tante altre. Una più bella dell’altra, una più luminosa dell’altra, come se volessero ribadire ancor di più la loro presenza, la loro meravigliosa presenza.
Disteso sulla sabbia guardava quello scenario incredibile, la sua vita era stata tutto e niente, una lieve brezza che soffia sulla testa di una giovane borghese e che provoca un leggero movimento del cappellino di paglia che sembra seguire la scia di quel leggero venticello. Probabilmente la sua vita era stata proprio scalfita da una lieve brezza che andandogli incontro era diventata una tempesta, un uragano che travolge tutto e tutti e quando finisce lascia solo dolore e macerie.
La fase in cui si trovava in quel momento era quella della raccolta dei cocci, tutto ciò che era rimasto, tutto ciò che si era salvato dall’uragano stava cercando di raccoglierlo, purtroppo non era rimasto quasi nulla.
Stava sdraiato sulla sabbia, non aveva neanche un asciugamano, un tappetino, qualcosa che gli evitasse di sentire le formiche che gli salivano sulla mano e gli passavano sotto i capelli. La sigaretta, l’ennesima, era stata accesa qualche secondo prima. Ogni tanto chiudeva gli occhi e sentiva le onde leggere, sembravano una ninna-nanna che accompagnava il sonno di un bambino irrequieto. Quello però non era il momento adatto per dormire, quando si chiudono gli occhi e si cerca di sprofondare nel sonno si dimentica tutto per qualche ora, lui invece voleva ricordare e riflettere.
Il tempo allevia qualsiasi dolore, il suo non era ancora scomparso, il suo dolore era ancora appeso ad un filo, era come uno scorpione che rantolava nel nulla alla ricerca di una preda da poter far male, nuovamente. Il dolore che si era provocato da solo non sapeva neanche quanto fosse stato grande. Sì, grande quanto il suo talento, grande quanto il suo legame con qualcosa di divino che faceva uscire dalla sua testa pensieri e parole, dettati da Dio.
Lui però non era un dio, anche se in molti lo avevano così definito, d’altronde così si definiscono anche personaggi che vivono il successo di un solo momento, vissuto nel tempo fino ad essere prosciugato ed a lasciare un alone, una scia, facile da cancellare come l’acqua di mare fa con un castello di sabbia.
I castelli di sabbia lui se li era costruiti nella sua testa, nella sua ed in quella di migliaia di altre persone che lo ascoltavano cantare, lo ascoltavano con la chitarra in mano, sentivano uscire da quella bocca parole divine e da quello strumento suoni soavi. Cosa era mai una nota per lui, forse una parola espressa in tutte le lingue del mondo in un solo momento.
“Chi se ne frega della notorietà, chi se ne frega dei soldi, dei culi e delle cosce, io voglio solo suonare, io voglio solo cantare!” questo diceva. Dopo qualche tempo capì che forse tutti dicevano così all’inizio, tutti gli ingenui, tutti quelli che credono di essere acqua santa ma non diavolo.
Guardando quella sigaretta ancora sorrideva. Non fumava neanche, quando aveva iniziato; non tirava neanche, quando aveva iniziato. Ora invece ne aveva bisogno.
L’uragano era scomparso per il momento, la voglia di quelle brutte cose per ora era passata, ma lo aspettava dietro l’angolo. Come tutti gli uomini neri, come tutti i ladri, come tutti quelli che ti prendono una cosa e non te le restituiscono. Tu inizi a sentirne la mancanza proprio in quei momenti, quando sai che è lontana, che è difficile riaverla indietro. In quel momento sentiva che gli avevano preso qualcosa, qualcosa d’importante, qualcosa che gli altri chiamavano “ Anima”.
Una volta, “quando ancora si potevano mangiare anche le fragole”, quando l’ingenuità era il punto debole ma anche il più forte, quando forse era “la fortuna del principiante”, quando credeva ancora nella magia, una volta, quella volta. Quella volta quando due ragazze là in prima fila lo ascoltavano e piangevano, quella volta capì che aveva toccato il cuore di qualcuno; quella volta la sua voce cambiò per un attimo leggermente di tono, si accorse di avere gli occhi lucidi, anche lui, quella fu la prima, ma forse anche l’ultima volta che provò un’emozione simile.
Lì nel buio, lì nel suo passato, lì sulla sabbia pensava ancora ed ancora, pensava che sono tutti bravi a presumere, che sono tutti bravi a seguire la moda, che sono tutti bravi a fare tutto, anche se tutto significava niente.
Niente, forse era meglio pensare proprio a quello, cioè non pensare, cioè finirla là. Ma aveva un conto in sospeso con la sua coscienza, il nulla aveva dominato gli ultimi anni della sua vita. I soldi, la fama, quello che desiderava un tempo e che ora significava niente, perché niente si sentiva.
Non si sentiva neanche essere una goccia d’acqua in mezzo all’oceano, perché già quello era molto, ma se il niente poteva diventare qualcosa, quel qualcosa era il tocco divino di cui era stato dotato, quelle parole che pescava direttamente da qualche sorgente del paradiso, che lo facevano sentire di nuovo in paradiso.
Così prese un pezzetto di legno, uno di quelli che a migliaia si trovano in una spiaggia ed iniziò a scrivere, proprio lì sulla sabbia.
Le onde leggere continuavano la loro ninna-nanna e lui lì nella semi-oscurità si sentiva immerso nel suo inconscio, pronto ad un faccia a faccia con la sua coscienza. L’unico mezzo che aveva a disposizione per parlare era quel bastoncino e la sabbia, quella che cancella tutto facilmente, in quel momento si augurò che le onde si fermassero ed ascoltassero le sue parole in silenzio, in un religioso silenzio:
Solo, in un mare di nulla
vaga il mio spirito.
Solo, in un mare di stelle
vaga la mia fantasia.
Solo, in un mare di squali
vago, da solo.