Nudi e stanti, come i kouroi del V secolo, ma nemmeno lontanamente perfetti come quelli. La luce accecante, tanto bianca da far male.
Ma tanto, non se ne rendono conto.
Il castello intorno a loro cade a pezzi, letteralmente. Pezzi di mura che si sgretolano, il soffitto che crolla, tutto, va in pezzi.
Ma tanto, non se ne rendono conto.
L’unica cosa che riescono a fare è guardarsi le mani, come se vi vedessero scorrere qualcosa, come se tutto ciò che accade lì intorno potessero vederlo tra i loro palmi.
Ma loro, sono senza occhi. Con cosa riescono a vedere, dunque.
Eppure, si fissano le mani, tra le dita pare scorra qualcosa, forse quella che è stata la loro vita, forse quella che avrebbe dovuto essere e non è stata, forse ciò che avrebbero voluto e potuto, ma si sono lasciati sfuggir via, per paura, per disattenzione, per ripicca, per amore.
La luce è sempre più forte, così bianca, quasi brucia.
Si alzano le fiamme, infine, ad avvolgere tutte quelle mani e quei volti senza sguardo. Del castello non è rimasto quasi più niente, frana anche quel poco che sembrava poter resistere.
Ma non c’è, qualcosa che resiste, che rimane. Resta solo il nulla, e il vuoto.

 

2 commenti su “Vanitas vanitatum”
  1. Bella, mi ha colpito sono i “volti senza sguardo”, e questa atmosfera irreale, ‘surreale’ quasi, questa atmosfera messa lì subito, mi ha fatto fermare l’uso dell’aggettivo subito dopo l’avverbio e un’aria distaccata, quasi neutrale che non ferisce.
    Brava.

  2. La vanità rende ciechi, è proprio vero, il mondo, purtroppo ne è pieno. Bella riflessione, complimenti. Ciao da Betta

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