I Sensi sono la mia ragione di vita.
Gli arabeschi descrivono radici arcane e geometriche ed io sono l’unica a conoscerne il segreto. I motivi corrispondono a giochi di luce e d’ombra e riproducono il microcosmo e le chiavi di tutti i desideri. Tutto nella mia vita è mirabilmente sprogrammato, come una scultura di sale che la pioggia ha disfatto e spazzato via. I disegni astratti, gli steli privati del loro tributo vegetale diventano linea, traccia, qualche volta lo schizzo di un Sogno.
O di un Incubo.
Il Destino guida la mia mente e la composizione acquisisce una propria logica.
Ci vogliono due ore per riunire le nostre città, tatuate in seno all’interminabile Lungomare. Eppure alla guida della mia auto veloce ho la sensazione di pilotare un razzo verso un altro Pianeta.
E’ la prima volta che vedo la notte dominare il mondo e la luna splende come sa fare solo nelle poesie, rischiarando anse e anfratti ai lati della strada deserta.
Ogni cavità si svolge come un caldo piacevole segreto intimo, qualcosa d’ignoto alle relazioni inguantate negli uffici dei palazzi con i vetri di cristallo.
Ho l’impressione che la strada si assottigli sino a diventare un tunnel iridato che corre sotto le mie ruote.
La brezza in corsa, i miei capelli, il corpo scollato, propaggini al vento con me stessa, che correndo da te, mi fondo nell’involucro spinto del turbinoso segmento. Ammassi di chiazze nere stanno addensandosi, agonizzando il cielo. Mi si chiudono gli occhi.
I meandri inghiottono ed i labirinti riportano a galla.
Gli arzigogoli, le volute e le spirali si rapportano alla mia esistenza, agli eventi lieti ed ai flutti fatali che annaffiano le vesciche d’acqua. Con un colpo d’occhio visualizzo il cammino percorso, difficile evadere da queste figure.
Io voglio rimanere libera e sottrarmi da questo reticolo; preferisco disobbedire alle convenzioni. Dove mi porterà quest’anima vagabonda?
La mano urta sul bordo esterno della corsia nuda, non so se potrò indovinarne il seguito. Il tuo volto mi racconta storie di viaggi senza meta e porta con se l’odore dolce della pioggia lieve che picchietta sui vetri.
Ti risento pulsare nelle vene, come ogni volta. Intorno è cecità profonda.
L’insonnia che coglie le ciglia a brandelli, come fantastici animali a due teste, lanciati in direzioni opposte.
Quel poco di luna rimasta, m’illumina le gambe per indicarmi di resistere e non addormentarmi. L’astro mi lancia un sorriso benevolo, le palme delle mani sono orientate verso di lui, aggrappate al volante per catturarne l’attimo, fuggente.
Lo lumeggio d’oro per serbare la sagoma, con le dita che scorrono rotonde sui contorni maestosi. Le vecchie diciture sono ridotte in cenere e la nostra pagina non è più immersa in una volta celeste. Intreccio le dita per cogliere il delirio delle nubi che gemono sul trono, squarciate dal brivido della Mala Pianta, il fulmine errante a forma di spirale, che si sta scatenando sulla terra.
Mi addentro nel mistero ed i colori si confondono.
Le macchie d’oro sulle tenebre brillano con insistenza, seguendo la traccia dei bagliori lucenti. Lo sguardo si posa sul tuo emblema, un’ampolla di succo riempita di nuovo, dopo sette anni d’oblio.
Di te non mi è rimasto nulla.
Ho la bocca secca e le orecchie erose dalla sabbia. Ricordo solo lo scricchiolio del pavimento ad ogni tuo arrivo o quello che sentirò tra poco, al mio rientro. L’ultimo esercizio arido che disseta il mio solco profondo.
Raggiungerti ancora mi toglie il dispiacere del sonno. Dormire come una perdita di tempo senza imparare ad indovinare la superficie nascosta. Nessuno ha segreti per gli altri; ma solo per se stessi.
Spingo il pedale del gas e rimango vigile. L’aria è sospesa in una boccia di vetro sulla notte, non s’odono nemmeno i rumori degli echi che giocano a rincorrersi.
I minuti si addensano come latte cagliato ed attendo evoluzioni arcane pur restando sul trono rombante.
Provo a pronunciare il tuo nome, impacchettato in alto dentro una meteora che precipita al contrario. Mi cimento in esercizi complessi d’acrilico mentale e le punte delle mani lasciano scie spesse e vigorose come lame di coltello.
Le linee si spezzano, si rompono, s’inarcano a mio assoluto piacimento.
Non ho mai seguito le regole e ti ho quadrettato nel vuoto.
Senza paura di offenderti né di farti male.
Ogni volta, con qualsiasi parola.
Immergere le tue lodi sulla mia colla e stracciarla come carta di giornale. Gli aghi d’acqua mi stanno cadendo addosso sotto la pioggia prevedibile per questa occasione.
Dall’altra parte non vedo più la terraferma, ma una striscia di mare nero che rotola in un moto vorticoso. La schiuma inonda le anse e si ritira con la stessa intensità. Non mi resta che invertire il ricordo.
L’arma che impugno sgrossa la fibra, e rincorre il tuo viso, il petto vigoroso e il ventre elastico.
Sto assaporando i liquidi sciolti, cogliendo il significato della mia opera e conoscendo il Senso della tua dipartita. I lineamenti si confondono con le memorie e le pagine dei diari; il riflesso delle mie sentenze li ha sempre disturbati.
L’orizzonte filtra i primi raggi dell’aurora ed un cielo piatto e contrito, come carta carbone, annuncia la fine imminente.
Pioggia scrosciante per il primo mattino.
Entro in casa ed un odore di zolfo impregna la stanza. Nulla che riveli il passaggio della luna, nessuna composizione, né un disegno placcato. Nemmeno un granello di rena.
Di nuovo inzuppo il pennino per segnare una pausa regolare e frustrante.
Vorrei che il mio fiato si rinnovi in velina assorbente e la mia pelle diventasse membrana di documento satinato. Un pasticcio di lettere tozze agita la mia mano destra, quella colpevole.
La reminescenza conserva a lungo l’ultima goccia di sperma seccata sulla lama d’acciaio che si cancella ora, mentre sto scrivendo.
Non ho mai smesso di essere quella Donna che ha imposto gli ordini.
Sono la minoranza che ferisce in punta sull’avvenimento lucido, divenuto ricettacolo di un rivolo rosso. Assorbo ogni stilla e procedo imperterrita. Senza palesare.
Per dichiararti ancora una volta, conficcando la punta del lapis nelle tue membra.
La tortura dei Sensi più visibile all’occhio. Una miniatura preziosa che segue la propria circonvoluzione.
Lo stelo obliquo che sfregia l’ondulazione delle carni, nella successione armoniosa di una grafia ribelle e feconda. Ma l’acqua scroscia ed a sorpresa pulisce tutto. Piove dentro le mie ossa, con bolle nere di acido caustico che brucia e corrode ogni lascito. I ricercati ornamenti non hanno più ragione di esistere.
Nello scrittoio resta solo una busta ingiallita con le indicazioni originarie cancellate dallo strofinio. Aprendola esce l’odore di polvere da sparo e di gelsomino.
Non so in che lingua mi parlerai questa volta; con quale inchiostro avrai lasciato il messaggio.
Il blu cobalto del mio potente e antico talismano o il rosso scarlatto dell’indole travolta sulle tue bocche da fuoco?
Una stilla bollente che scava voragini nel granito della colonna o l’acqua indomabile che trasforma le viscere e consuma il midollo.
Il foglio è rugoso e sciupato.
Lo strappo: né l’una né l’altra.
E’ battuta a macchina, in nero automatico.
Non si legge più niente.
Come un colpo di frusta, rispondo solerte sulla condensa di vapore che ha intriso i vetri della finestra.
“Il tuo Nome e mai più”.
…Fuori, svolazzano le foglie stropicciate dal vento.
Le loro arterie sottili, continuano a generare vita e clorofilla…
Tutti i tuoi scritti sono molto belli nel senso che scrivi in un ottimo italiano, ma allo stesso tempo sono difficili a capire, arrivo in fondo, mi sembra di percepire tristezza, malinconia e nostalgia, ma non capisco come vorrei. Sei quasi irraggiungibile. Giovanna.