La bellezza del carattere di Elena stava nella sua concretezza.
Era una donna seria ed affidabile, pochi i voli di fantasia nella sua vita di tutti i giorni.
Marito, due figli, casa e lavoro erano il suo mondo, il centro dei suoi interessi.
Figlia unica di Caterina, un tempo giovane vedova di guerra, aveva imparato da piccolissima a badare a sé stessa, ad accontentarsi dell’affetto solido e sicuro della mamma che con il suo lavoro di sarta  provvedeva alle necessità di entrambe.
Non aveva mai conosciuto suo padre.
La mamma diceva che era stato l’unico uomo della sua vita, il grande amore. Era morto in guerra, troppo giovane per lasciarla così, con una bambina ancora da nascere e tutta una serie infinita di giorni vuoti di passione e di affetto.
Avrebbe voluto morire, ma poi era nata lei, così piccola, così bella così indifesa.
E la bambina aveva restituito senso alla vita di quella donna solitaria che uomini no, non ne aveva più voluti.
Si era chiusa in casa, lavorava indefessa, pensava alla sua Elena e viveva per lei.
Quando gli anni erano poi passati,  Elena era cresciuta e si era sposata, creando una vita e una famiglia sua, aveva potuto allentare un po’ il suo lavoro e le piaceva, finita la giornata di lavoro e consumata una cena frugale, fumare una sigaretta, l’unica della giornata, e guardare la televisione.
Spesso si addormentava davanti alla tv, tirava tardi e andava a letto a notte inoltrata.
Soffriva d’insonnia, come tutte le persone anziane.
C’era allora per Caterina, una volta a letto, il tempo delle parole crociate o della lettura di un settimanale che la teneva informata di tutte quelle sciocchezze che non interessano nessuno e che, pure, nessuno si perde.
Recitava il rosario, ricordava nelle preghiere il marito morto, si affidava a Dio e alla sua infinita misericordia e poi, finalmente, si addormentava.
Il suo era, però, un sonno leggero e nel suo  dormire riconosceva i rumori fatti dal nipote ormai uomo fatto che abitava al piano di sotto e tornava a casa tardi quando usciva con gli amici, il pianto del bimbo più piccolo dei vicini di casa, il miagolio di un gatto tigrato che visitava i giardini delle abitazioni vicine di giorno e cercava innamorate la notte.
La casa in cui viveva aveva una struttura a corte chiusa lombarda ed era la ristrutturazione nel corso di due secoli dell’antica caserma asburgica che aveva visto molte trasformazioni per adattarsi alla vita degli uomini che l’avevano poi abitata nell’arco dei molti decenni.
Dalla stretta stradina che saliva dal lago, attraverso il cancello di ferro si accedeva al giardino che faceva bella mostra di sé ai passanti, turisti stranieri perlopiù, che andavano a visitare il castello in alto, sulla collina retrostante da cui si poteva ammirare una vista mozzafiato fino a metà lago e per questo motivo, non a caso, la Rocca nei secoli era stata un baluardo importante per la storia dell’antico ducato di Milano.
Sul lato sinistro del cortile si affacciavano quelle che una volta erano state le stalle.
Dell’antica costruzione restavano le tre ampie aperture che una volta permettevano l’accesso ai locali dove venivano custoditi i cavalli e da dove,  attraverso una scalinata,  era possibile salire alle camerate comunicanti e riservate alla truppa.
Di fronte, sul lato destro del cortile, c’erano i locali disposti su due piani destinati agli uffici e ai militari di maggior riguardo.
Due architetti, marito e moglie avevano comperato l’ala sinistra della costruzione, ne avevano ricavato al piano terra un ampio studio per la loro attività professionale e al primo piano l’appartamento dove vivevano con i loro tre figli.
Avevano piantato un’olea fragrans che ogni anno a maggio rifioriva  inondando tutta la via con la delicatezza del suo profumo e ombreggiando parte del giardino nelle calde giornate estive.
Avevano aggiunto oleandri, palme, un’ortensia e fiori stagionali che coloravano il giardino e lo arricchivano di note profumate col passare delle stagioni.
L’ala a destra della costruzione era divisa tra due proprietari.
La parte più vicina alla  strada apparteneva a Caterina che l’aveva ereditata dalla sua famiglia cui apparteneva da generazioni, la parte più interna ad un ingegnere di Milano che intendeva trascorrervi le vacanze con la sua famiglia e l’aveva acquistata di recente, ormai ridotta a rudere, dall’ultimo erede dalla famiglia Mazzi che era emigrato da trent’anni in Svizzera e in Italia non era più tornato.
Nell’ultimo anno l’ingegnere aveva dato mano alla ristrutturazione ed era riuscito a fare il miracolo, restituendo dignità alla casa e a tutto il complesso che si era liberato del suo aspetto cadente ed aveva riconquistato splendore.
Sul fondo della corte si apriva un altro giardino, quello dell’anziana Ninina che aveva alle spalle una vita lunga e faticosa, resa ancora più triste e solitaria dalla lontananza della figlia e dei nipoti che abitavano a Roma e che lei amava molto, ma vedeva raramente, perché, tutti presi dalla loro vita, limitavano i contatti alla telefonata settimanale di cortesia, tutti presi com’erano dai loro impegni.
Caterina amava la sua casa.
Aveva abitato sempre lì.
Conosceva tutti da sempre e tutti la conoscevano.
Da quando il nipote abitava nell’appartamento al piano terra era contenta, perché sapeva che gli anni aumentavano per lei e avere vicino una persona di famiglia rallegrava e confortava il suo cuore in quelle notti lunghe e solitarie che non finivano mai.
Non che avesse paura a dormire da sola, ma da qualche tempo aveva l’impressione che a notte fonda, quando già il nipote era rientrato, qualcuno entrasse dal cancello, perché lo sentiva cigolare piano, e che camminasse poi sulla  lunga balconata che interessava tutta la facciata dell’edificio.
Ne aveva parlato con Marco, il nipote,  e il giovane le aveva confermato rumori e sospetti.
Non gliene aveva parlato prima, perché non aveva voluto spaventarla, ma anch’egli aveva lo stesso pensiero.
Prima di allora il cancello non era mai stato chiuso a chiave, non si era mai sentito in zona parlare di criminalità e tutti e insieme vivevano una vita di paese calma e serena, scandita dai ritmi tranquilli delle stagioni e del lago.
Marco e Caterina si erano, però, passati la voce con i vicini e poiché ciò che non era mai successo, non era detto che non potesse mai capitare, anche gli architetti e la Ninina convennero che era meglio essere prudenti.
Tutte le sere Marco dava un bel giro di chiavi nella toppa del vecchio cancello e gli abitanti della antica corte si sentivano più sicuri.
Ma Caterina,  un’anziana signora che soffriva d’insonnia, talvolta, nelle serate di luna piena, continuava a sentire un cigolio ed un passo che la turbava e non sapeva perché.
Ne parlava con la figlia Elena che giudicava la cosa come una fantasia senile della madre e per questo le sorrideva e diceva con quel suo fare semplice e sbrigativo:
“Ma dai, mamma, smettila! Non fissarti così. Cosa vuoi che sia?
La tua porta è chiusa, il cancello è chiuso.
Basta.
Vuoi farti prendere in giro da chi prima o poi penserà che vedi i fantasmi?”
Caterina aveva convenuto che la figlia aveva ragione.
Continuava a sentire i rumori, ma si abituò a non parlarne più.

7 commenti su “La corte”
  1. Mi piace molto e aspetto con curiosità la prossima lettura.
    E’ un racconto romantico, che esce dall’attuale, infatti in molti racconti si leggono vocaboli del “parlato moderno”, ma personalmente a me fa sempre piacere leggere ciò che é scritto in un buon italiano.
    Brava come sempre, nella fantasia e nel lessico.
    5s.
    Ciao.
    Sandra

  2. Bel racconto, molto piacevole da leggere, mi piace molto il tuo modo di descrivere i luoghi e le persone, nei piccoli particolari, dai un peso importante, anche alle cose più semplici. E’ sempre un grande piacere leggerti. Ciao da Betta
    5 stelle

  3. Sei sempre bravissima! Un bel racconto appassionante.
    Complimenti e naturalmente 5 stelle.

  4. Non mi piace fare il guasta feste, ma devo essere sincero: il racconto non mi ha colpito particolarmente. Troppo confuso, salti da un tema all’altro con troppo stacco. Alcuni passaggi appesantiscono la lettura. Secondo me il problema sta nell’aver condensato tanto in poco spazio; se decidessi di sviluppare i singoli temi, ma questo comporterebbe un considerevole aumento di lunghezza, secondo me sarebbe più gradevole.

    Che ne pensi? Scusa, ma la penso in questo modo…

    Ciao 🙂

  5. Complimenti Anna, aspetto con ansia il seguito del racconto: un saluto a 5 stelle.

  6. Per Icehotheart:
    Non fai affatto il guastafeste.
    Anzi, pare che ai lettori di sesso maschile questo genere di narrazione non piaccia.
    Alle lettrici sembra che piaccia di più.
    Io e Sandra stiamo facendo una specie di esperimento. A lei l’uomo biondo con occhi azzurri e tristi piace.
    Inoltre ci andiamo chiedendo quanto lungo debba essere un racconto per non “stufare” chi lo legge (siamo convinte che la poesia catturi l’attenzione di lettori, perchè promette e permette maggiore identificazione); in secondo luogo questo testo è un secondo “capitolo” e segue il precedente.
    Il protagonista dovrebbe essere il fantasma.
    La narrazione dovrebbe chiarire chi è, quale relazione ha con le persone e con i luoghi che lo vedono agire.
    Pensavo di rispondere nel corso della narrazione
    alle domande: chi? quando? dove? come comincia? perché? e come finisce?
    Direi che siamo solo all’inizio.
    Vorrei che ogni “capitolo” avesse un senso compiuto e pensavo che il ritmo potesse essere più lento per il tempo e il luogo in cui si svolge. Tutti sanno che sulle sponde di un lago il tempo si ferma e il ritmo è quello di una barca a vela.
    Non so.
    Che dici?
    Vado avanti?
    La pianto qui?
    Dimmi la tua.

    Per tutte le altre:
    Grazie dell’apprezzamento.
    Vediamo che dice Ice…

    Un abbraccio a tutti
    anna

  7. Sai cosa? Il fantasma… ne hai accennato solo un pò… da come l’ho letto io sembra che non abbia molta importanza; io l’ho interpretato come una paranoia della donna anziana… come un’allucinazione. Io farei in questo modo: descrivo l’ambiente, poi troverei un modo per dare vita ad una digressione che narri un pò di eventi (apparizioni, rumori, urla) riconducibili al fantasma. Attirando l’attenzione del lettore poco alla volta. Certo, tra dire e il fare…

    Cmq no! No no no no no no no no no! Sempre avanti!

    Ciao 🙂

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