Era vero. Era proprio vero.
Sentiva il collo pulsare, a volte la pressione dei vasi cresceva fino a stirare al limite dello strappo i muscoli della mandibola.
Ecco, ora poteva percepire la spinta dell’atrio sinistro sulla giugulare, l’aorta distendersi correggendo la sua curva per trascinarsi un po’ più in là, verso l’alto, verso il palato, lì dove il miocardio si schiacciava per poi allargarsi lateralmente e continuare a battere sulle tonsille; sempre ritmico, instancabile, imbarazzante.
Era proprio vero: il cuore in gola era una sensazione vera !
Iris si era avvicinata, come tante altre volte. Per uscire dall’aula Iris era obbligata a passare davanti al banco di Gerardo, ma quella volta lo guardò quell’attimo in più che fa la differenza tra ciò che si spera e ciò che si osa sognare.
Gerardo non aveva mai inseguito i pensieri oltre quello che lui chiamava il limite dell’illimitato, ossia, come spiegava a Gianni, quella linea che rende un incontro di vita un amore, un amore per sempre.
Aveva le sue teorie Gerardo, “teorie” nel senso che non aveva mai avuto modo di metterle in pratica, di verificarne l’efficacia più che l’efficienza, sulla quale, almeno quella, lui ci giurava.
Non era il fidanzarsi, il prendersi&lasciarsi in una sola notte-mese-anno, lo sposarsi, lo sputtanarsi dietro storie al margine, no, non era quello. Non era neanche il sentirsi dentro la storia, era ancora altro.
Ecco, quel giorno, forse, comprese: era il cuore in gola.

La batteria dell’auto andava cambiata da tempo. Lui lo sapeva ma aveva sempre rimandato per colpa di quel tempo che non c’è mai per le soluzioni già presenti, note. L’ingresso del supermercato era stranamente stretto e Gerardo nonostante il rumore dello scroscio d’acqua dicembrina riusciva a percepire il ronzio di fondo del trasformatore delle luci natalizie che delimitavano i margini della tettoia, anch’essa stretta come l’ingresso.
Era lì ad attendere Federica che, al termine del lavoro e della sua giornata, era stata avvisata dell’inconveniente, “cercato” come aveva già avuto modo di sottolineare Fede durante la pur breve telefonata.
Gerardo stava lì, senza pensieri per l’attimo e per i minuti, senza modulare i ronzii del trasformatore in improbabili musiche rock, quando, di colpo, sentì il cuore in gola.
Erano più di quindici anni che non la vedeva.
Scambio di brevi saluti, di brevi ricordi, di brevi contatti per una lunga malinconia.
Due fari lampeggiano all’ingresso del parcheggio. “E’ Federica, mia moglie, ora devo andare. Mi ha fatto piacere rivederti…spero di incontrarti ancora…presto… ciao…ciao Iris”.
Domani devo cambiare la batteria dell’auto.

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