Ho voglia di raccontare di un vecchio uomo ormai morto che quando compì venticinque anni espresse il desiderio di diventare cuoco, ma non un cuoco qualsiasi. A lui sarebbe piaciuto diventare un cuoco importante, di quelli che diventando famosi potevano pensare di aprirsi una trattoria tutta loro, addirittura. A quel tempo Fausto, così si chiamava, aveva una fame da lupo e sognava di diventare un cuoco di grido per fare invidia a tutti e specialmente a quelli che non gli erano troppo simpatici.

Fausto viveva con la madre e il padre in una casa anonima parecchio lontana dalla città. Nel cortile, cinto di pietra secca, razzolavano contente cinque o sei galline e un gallo che morirono di vecchiaia, non per niente sia le galline che il gallo avevano un nome. Il giovane Fausto, oltre alla madre e al padre, divideva la sua vita con tre fratelli e quattro sorelle che spesso, specialmente alla sera, mangiavano uova fritte a volontà.

Quando la fame era tanta il giovane Fausto andava nel pollaio con un cesto di vimini e raccoglieva le uova, tra le galline starnazzanti. Attraversava il piccolo cortile pietroso, strappava qualche rametto di finocchio selvatico e si infilava nella cucina stretta dove in una grande padella apriva le uova ad una ad una. I fratelli e le sorelle potevano sentirne il profumo e già erano quasi tutti seduti a tavola, chi metteva i bicchieri, chi le posate, chi  ancora in piedi sorseggiava del vino rosso. Tra loro non mancava mai quello che alzava la voce, si litigava spesso in quella casa, ma non per cose importanti. Tutti si zittivano quando Fausto, sbucando dalla cucina con la padella fumante in mano, prima guardava loro, poi la padella. E poi, sempre guardandoli, sputava sulle uova nella padella.

E ci sputava dentro senza vergognarsi, era lui quello che aveva più fame di tutti. E voleva che tutti lo vedessero mentre condiva con la sua saliva tutto quel ben di dio così nessuno poteva avere dei dubbi.

I fratelli si arrabbiavano e lo rincorrevano attorno al tavolo e una volta anche per strada. Fausto era capace di correre anche con la padella in mano, faceva persino le acrobazie e mentre svicolava rideva come a prenderli in giro. Una volta lo acchiapparono e gliele suonarono di santa ragione, ma poi, anche se con il segno rosso di una manata sulla guancia, le uova se le mangiò lui tutte quante, assieme al suo sputo.

I denti di Fausto iniziarono a cadere abbastanza presto e mai volle saperne di mettersi la dentiera. Diceva che non voleva roba estranea né su di lui né dentro di lui e che anche senza denti poteva vivere lo stesso. La fame però gli era sempre rimasta e quando si ritrovava davanti ad un piatto conduceva  una vera e propria battaglia con il cibo: succhiava, rosicchiava malamente, sbavava, si ungeva, mordeva senza denti e piegava la testa cercando di infilare la bocca dove sembrava non potesse mai arrivare.

Diceva che odiava gli animali e divenne macellaio. Fece il macellaio per tutta la vita.

L’ammazzatoio si trovava a due chilometri fuori dal paese e lui ci portava le bestie da macellare al lunedì e al giovedì. Ogni tanto lo si sentiva urlare perché non sopportava chi non uccideva sul colpo gli animali. Si vantava con tutti e diceva che chi moriva con la sua mano non soffriva. A chi commentava dicendo: “Ma se tu li odi gli animali…” Fausto rispondeva che lui non li faceva soffrire semplicemente perché la carne non sarebbe stata buona, non perché gli facevano pena, “le bestie sono bestie e da bestie devono essere trattate” così diceva… anche dei cani e dei gatti.

Fausto ebbe due figli maschi e anche loro odiavano gli animali ma non divennero macellai. I suoi figli preferirono lavorare nelle cave di pietra, a loro piaceva usare gli escavatori, si sentivano forti quando trasformavano il granito rosa … da montagna a pezzettini di montagna.

Fausto, mio zio, morì quindici anni fa. Il medico disse ai figli e alla moglie che morì perché mangiava troppo.

 

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