C’era una volta tanto tanto tempo fa una deliziosa fanciulla che ogni notte nel buio della sua stanza, ammirava il cielo e le sue stelle. Nelle notti in cui regnava la luna, Rosellina si sentiva protetta e rassicurata: poteva confidarle ogni piccolo fremito celato nella sua malinconica anima. Di giorno era solita fare lunghe passeggiate per il bosco. Adorava ogni cosa di quel posto magico: il vento che soffiava placido facendo muovere i fili d’erba, il ruscello che scorreva oltre la siepe, nei pressi di un casolare abbandonato, e gli alberi che, con le loro folte chiome ospitavano ogni esemplare di animale.
Un pomeriggio assorta nei suoi pensieri, mentre camminava per il sentiero che la conduceva fino al ruscello, sentì una musica dolce, dapprima debole, poi man mano che lei si inoltrava nel bosco la sentiva sempre meglio. Ad un tratto si fermò, appoggiò le mani sopra il tronco di una quercia, rimase così per qualche secondo: scrutò di qua e di là e notò il misterioso suonatore. Rimase lì per un po’ cercando di non farsi notare. Il suonatore era un giovane ragazzo dall’aria dolce e malinconica come la sua musica e, seduto su una roccia accanto al ruscello con gli occhi chiusi, si lasciava trasportare da quel suono antico. Anche Rosellina chiuse gli occhi per respirare tutta l’essenza di quelle magiche note intriganti e coinvolgenti. Il battito del suo cuore accelerò e si lasciò rapire dal suono delle launeddas tanto che cominciò a volteggiare senza rendersene conto. Il giovane si accorse di quella presenza, alzò gli occhi smise di suonare e avvicinandosi le domandò: “Chi siete giovane creatura così bella?”. La fanciulla abbassò timidamente lo sguardo e rispose con voce lieve e delicata “Perdonatemi se vi ho interrotto, non era mia intenzione disturbare quel che stavate facendo. Passavo di qua e sentivo questa musica, così mi sono fermata ad ascoltarla”. Lei fece per andarsene, ma il giovane prendendola gentilmente per la mano la bloccò. “Come vi chiamate?” le disse scrutando i suoi occhi “se volete potete rimanere con me ad ascoltarla”.
Rosellina lasciò la sua mano, e con un broncio rispose “Mi chiamo Rosellina. Scusate, ma ora dovrei proprio andare”. Il giovane, alle sue parole, rimase molto dispiaciuto. In cuor suo voleva rivederla; ormai era talmente abbagliato da quella enorme bellezza, che mentre lei cominciò ad allontanarsi, volse gli occhi al cielo pregando di rivederla, di accarezzare quei suoi capelli mossi dal vento, sentire il suo dolce profumo e baciare le sue rosee labbra. Sentiva di essersi già innamorato.

Il sole cominciava già a nascondersi dietro la collina, e Rosellina giunta nella sua stanza, si buttò sul letto piangendo calde lacrime ricordando il giorno in cui Arcigna, la strega malefica, le fece l’incantesimo di privarle della speranza di essere amata. Ora dentro sé, sentiva il desiderio di amare quel giovane con la speranza che i suoi sentimenti corrispondessero a quelli che provava il giovane. Lentamente la dolce fanciulla si calmò e asciugandosi le lacrime andò verso la finestra lasciandosi avvolgere dalla quiete di quella sera; il sole ormai era già calato mentre nel cielo apparivano le prime stelle. In quell’istante solenne si fece coraggio; aspettò il sorgere della luna e la sua mente iniziò a viaggiare con la voglia disperata di poter un giorno spiegare le sue ali invisibili e volare beatamente, ma era condannata ad aspettare e sognare che quel giorno arrivasse il più presto possibile.
Intanto il cielo si fece sempre più blu, mentre la luna da lassù con i suoi raggi, illuminava i contorni della natura e per Rosellina vedere tutto ciò era un incantevole spettacolo. Lei amava la notte, viveva per aspettare la notte. Alzando gli occhi al cielo pensava a quanto le mancasse la speranza, si sentiva morta dentro. Che scopo aveva la vita senza la speranza? Ad un tratto davanti a lei apparve una figura dai contorni evanescenti. Si stropicciò gli occhi pensando che quel che stava vedendo fosse il frutto della sua fervida immaginazione, ma non era affatto così, lei quello spirito lo vedeva per davvero. Rimase in silenzio attendendo che la figura evanescente vestita d’argento pronunciasse parola. Dirigendosi verso quell’entità capì che chi stava davanti a lei era Tristezza.
Cosicché l’entità prese posto accanto a Rosellina; la giovane cominciò a stringersi a sé, sentiva tanto freddo dentro l’anima. Ormai Tristezza si era posata su di lei. Ricominciò a buttare giù altre lacrime, poi con un po’ di coraggio, si rivolse a lei. “Tristezza, perché bussi ancora una volta alla porta del mio cuore? Non ti permetterò di impossessarti di me ancora una volta!” disse con tono deciso, pieno di rabbia. Tristezza le prese la mano cercando di esser dolce con lei
“Sono qui perché sono tua compagna di vita e mi rincontrerai più volte nel tuo cammino. Ora la mia presenta è più viva che mai perché la tua anima è piena di sofferenza ed io senza lei non potrei esistere.” L’entità prese tra le mani il suo viso continuando a parlare “Devi combattere la sofferenza che porti dentro, non lasciare che essa prenda il sopravvento su di te. Devi prendere le sembianze di un potente guerriero e sconfiggere il male che ti logora dentro.” Rosellina l’ascoltò in silenzio e dopo aver riflettuto attentamente domandò “Come faccio?”
Tristezza rivolgendosi verso il cielo rispose “E’ semplice bimba mia. Guarda, volgi il tuo volto verso le stelle” la ragazza sorrise “rivolgiti a Lui perché soltanto il Suo Amore potrà aiutarti ad affrontare le ardue imprese. La preghiera ti salverà.” Prima che Rosellina si volse a guardarla e a pronunciare qualsiasi parola, lo spirito scomparve. Dopodiché si sdraiò nel letto chiuse gli occhi abbandonandosi nel delicato abbraccio di Morfeo.

Intanto nel tetro castello, la malefica strega vedeva attraverso uno specchio magico tutto quel che accadeva all’esterno di esso. Non sopportava l’idea che i due giovani si fossero incontrati e che il suonatore da quel giorno pensasse a lei. La strega aveva la capacità di leggere nel pensiero degli umani, conosceva i sentimenti di ognuno di loro. Presa da tanto odio decise di architettare vendetta nei loro confronti; non voleva che Tommasino si avvicinasse a quella splendida fanciulla dal cuore nobile. Dietro piccoli occhiali che portava sulla punta del naso, gli occhi non smettevano di roteare cercando qualche idea. Dopo una buona mezz’ora fece una sonora risata, aveva ben in mente cosa fare per dividerli. In tutta fretta, rovistando dentro un mobiletto posto in fondo alla buia stanza, si mise alla ricerca di una pozione in grado di far perdere apparentemente la vita a Tommasino. Appena la vide, sorrise dicendo “Ah ti ho trovato bella pozione mia!”. Era una boccetta contenete un liquido verdastro fatto di acqua, tre foglie di ortica, due di corbezzolo, tre di fresala e infine peli di gatto morto e afferrandola con la mano se la portò al petto come fosse il suo trofeo.

Quella notte la strega trasformata in una sensuale danzatrice, si inoltrò nel bosco alla ricerca di Tommasino. Un vestito bianco le scendeva svolazzante fino ai piedi e un velo le copriva quasi tutto il volto. I lunghi capelli, nero corvino, le cadevano sulla schiena come una cascata.
Su nel cielo la luna sprigionava un’intensa luce che illuminava il sentiero che percorreva. Il bagliore della luna lasciava intravedere una figura che giungeva con passi impetuosi; il fogliame si muoveva e la strega per non essere vista, si nascose… Dopodiché con passi leggeri , la danzatrice si avvicinò al suonatore lasciandosi trascinare da quel suono. Agli occhi del giovane appariva come una visione celestiale. La vedeva danzare, muoversi sinuosamente intorno a lui e catturando il suo sguardo, si lasciò completamente sedurre da Flary tanto che ad un certo punto smise di suonare per rivolgerle la parola.
“Oh, il mio spirito è abbagliato dalla vostra luce. Ditemi, chi siete?” disse Tommasino cercando di sfiorarle la mano. Flary si avvicinò a lui sedendosi a fianco “Il mio nome è Flary e sono una danzatrice” gli accarezzò il volto, dopodiché si allontanò un attimo per bere la sua pozione magica, poi abbracciandolo stretto a sé disse “Vi conosco da qualche minuto e già sento di amarvi”. Avvicinò le labbra a quelle di Tommasino e lui la lasciò fare rapito dalla passione che emanava quella creatura dai mille misteri. Bastò soltanto un leggero sfioramento di quelle labbra morbide e delicate che il giovane si lasciò abbandonare nel prato svenendo.
La strega aveva ottenuto ciò che voleva, era riuscita a far soffrire ancora di più Rosellina. Nel frattempo Arcigna ritornò nelle sue sembianze originali. La sua risata echeggiò nell’immenso bosco tanto da far riuscire a tremare i suoi abitanti.
Nel suo letto Rosellina si agitava in continuazione fino a che non si svegliò di colpo con occhi lacrimanti pensando a quello che aveva sognato. Il sogno sembrava reale e la paura pian piano si fece strada nel suo animo sensibile; aveva la sensazione che fosse premonitore e tremando scese dal letto, corse verso il bosco per raggiungere il suo amato.
Non voleva perderlo per nessuna ragione al mondo, anche se in cuor suo non aveva la speranza che il suo amore fosse ricambiato. Quanto desiderava riavere la speranza di essere amata da qualcuno! Mentre si inoltrava nel buio bosco, pensava alle parole di Tristezza e in quell’istante cominciò a pregare con tutte le sue forze affinché un raggio di sole penetrasse nella sua vita. Appena giunse, vide la strega accanto al corpo senza vita di Tommasino; rimase per un momento immobile, piangendo di fronte a lui. Iniziò ad urlare disperatamente, si lasciò andare per terra e rivolgendosi verso Arcigna gridò “Perché devo soffrire così tanto?”. Camminò ancora un po’ verso di lei ed un brivido gelido le percorse la schiena. La strega osservando la giovane esordì “Non hai più scampo, la tua vita è finita. E’ finita ancor prima di iniziare. Tommasino è morto, non puoi più realizzare una vita con lui”. Un sorriso amaro e compiaciuto comparì sul suo volto. Godeva nel vederla soffrire; viveva grazie ai dolori delle persone dall’animo buono e generoso. Rosellina fissò lo sguardo verso il suo amato “Io lo amavo tanto” e poi abbassando il tono della voce e rivolgendosi alla strega proseguì “tutto questo non è giusto.” Dopo un po’ si avvicinò ancora di più al giovane gli prese la mano portandosela sulla sua guancia umida di dolci lacrime. Proprio in quell’istante apparve una Jana. Era una piccola creatura e quando muoveva le sue delicate ali, sprigionava molta luce; si posò sulla mano della fanciulla e sentendo quel tocco, quella presenza magica, aprì gli occhi se li asciugò chiedendo “Tu chi sei?” la guardò incuriosita.
La Jana le sorrise “Sono una fatina e sono qua perché tu mi hai chiamata.”
“Io ti ho chiamata?” domandò la fanciulla.
“Si, mi hai chiamata proprio tu con le tue preghiere.” La fatina cominciò a svolazzarle intorno mentre la ragazza non le toglieva gli occhi di dosso.
“Davvero le mie preghiere sono servite a qualcosa? Dio ti ringrazio! Disse volgendo gli occhi verso la splendida luna.
La Jana per salvare Rosellina dalle insidie che spegnevano il suo spirito, decise di affrontare l’essere malvagio che le stava davanti. Svolazzò verso Arcigna sprigionando un’intensa luce tanto da accecarla. La strega cercò in tutti i modi di contrastarla emanando Buio. La Luce era più potente. Entrambi gli esseri magici cercavano di resistere a quella lotta, ma alla fine la strega più veniva illuminata e più perdeva le sue forze tant’è che cadde e morì. Proprio in quel momento Rosellina ritrovò la speranza di essere amata, mentre nel frattempo l’essere maligno venne inghiottito dalla Terra.
Ora Rosellina si sentiva piena di vita e nel suo cuore sentiva che Tommasino ricambiava i suoi stessi sentimenti.
“Fatina, adesso sono sicura che Tommasino mi ama.”
La fatina la guardò sorridendo “Ma certo che ti ama, lui te ne ha voluto dal primo giorno che vi siete incontrati”.
“Per favore Fatina, salva il mio amato!”
“Lo puoi salvare solo tu con la luce che risiede dentro te”. La ragazza a quel punto avvicinò le labbra alle sue e proprio in quell’istante i due cuori cominciarono a battere all’unisono, Tommasino si svegliò, la guardò profondamente negli occhi, poi disse “Ora io ho il tuo cuore e tu il mio. Staremo sempre insieme e ci ameremo anche nell’aldilà.” I due infine si abbracciarono teneramente.
La Jana guardò i due giovani amanti e prima di scomparire disse “Ora devo andare via perché mi aspetta una nuova missione. Ricordatevi che i miracoli accadono sempre e ovunque, basta saperli guardare con gli occhi dell’anima. Che la speranza sia sempre nei vostri cuori.”
I due giovani a quelle parole sorrisero mentre la fatina scomparve nell’infinito blu.

6 commenti su “La speranza ritrovata”
  1. Ci imbattiamo sempre in una strega cattiva nella vita, ognuno a suo modo. C’é però sempre una fatina, un credo, una speranza che, credendoci ci può salvare.
    Molto carino. Le favole ci fanno sentire ancora bambini, naturalmente a chi ha la capacità e la volontà di immedesimarsi.
    Brava.
    sandra

  2. Brava.
    Trovo che sia impegnativo scrivere fiabe con grazia e capacità di interessare i più piccoli, fornendo una orale che serva da insegnamento da ricordare.
    Ci sei riuscita.
    Ciao.
    anna

  3. Una fiaba delicata, a cominciare dai nomi dei personaggi, pervasa da sentimenti sinceri ed ancestrali. Archetipi reinterpretati con grande raffinatezza.
    Una vera fiaba della “BUONANOTTE”!
    Complimenti Angela.

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