“La pigrizia andó al mercato
ed un cavol comperó.
Mezzogiorno era passato,
quando a casa ella tornó.
Prese l’acqua, accese il fuoco
…….etc……..etc…….
E, passata ormai la lena,
andó a letto denza cena.”
Questa poesia, della quale purtroppo ricordo solo pochi versi, mi venne narrata da mia madre, quando ero piccolo, molto piccolo e ancora non sapevo né leggere né scrivere (cose queste nelle quali non credo di aver fatto molti progressi).
Il fine era evidentemente pedagogico (mia madre era maestra elementare) e avrebbe dovuto servire ad inculcarmi, per il resto della mia vita, odio alla pigrizia e amore per l’azione, cioè non stare mai senza far nulla (come ben si dice: il dolce far niente), condurre a termine le cose cosiddette necessarie (quali?), insomma essere dinamico, deciso, intraprendente, etc. etc.
Bene.
Peró ripensandoci sopra, mi vado accorgendo, ora che sono vecchio e stanco, che, tutto sommato, la pigrizia è un problema di definizione.
E cerchiamolo nei Dizionari:
Il “Melzi” (vecchiotto ma ancora buono) definisce la pigrizia: “Lentezza nell’operare per malavoglia./ Sin. Poltroneria, Infirgardaggine.” E definisce la poltroneria: “Vizio, inerzia del poltrone (chi sta in ozio; ozioso). Dato che sono un pignolo, mi sono preso la briga di cercare sotto “vizio” che sarebbe:”Abitudine biasimevole o cattiva, malvezzo./Disposizione abituale al male: dissolutezza” E che dice di dissolutezza? “Sregolatezza/ Atto licenzioso” e “licenzioso”? “Che si prende troppa licenza / dissoluto / sfrenato / scorretto / senza ritegno / osceno”.
Dato che tutto questo mi ha spaventato, ho creduto bene di consultare il Fernando Palazzi (piú attuale), per sentire che ne dice lui.
Ebbene: “pigrizia”: “L’operare lento e di malavoglia: la pigrizia è madre di povertá” con una serie di sinonimi , tra i quali leggo, a caso: “Accidia, infirgandaggine / scioperataggine…” etc.
Terrorizzato da quello che ho letto, non ho osato cercare oltre, forse avrei trovato cose come “assassino o mostro o prevaricatore o debosciato o criminale o che so io.
Signori miei, signori miei, ma vi sembra giusto definire cosí quello che, facendone una accurata analisi, alla fine è, probabilmente un pregio?
E mi spiego.
Dalle definizioni su riportate, la pigrizia viene definita come una pecca, un distorcimento morale, o sociale. E va bene, ma non capisco perché gli autori (e si tratta di insigni glottologi!) dei vari calepini o lessici o simili, non si siano posta la questione dal punto di vista intellettuale, cioè della tanto strapazzata ratio.
Prima di tutto, peró, ci tengo a chiarire che io non sono un filosofo e che, perció (e purtroppo) non dispongo degli strumenti e meccanismi che i veri filosofi usano per dimostrare o distruggere tesi varie. Il mio discorso sará probabilmente pieno di errori o false deduzioni. Ebbene, sopportatemi e, volendo, distruggetemi, ma lasciatemi lo sfizio, come si dice, credo, a Napoli, senza tuttavia dimenticare che, come ben si dice “argumentum tantum valet, quantum probat”.
Ció premesso, cerchiamo di ridurre la cosa dapprima ad un esempio, tanto per vedere che valga quello che sto per dire.
La scena rappresenta un giardino in primavera. Disteso su una sedia a sdraio, eventualmente su una comoda poltrona, il nostro “PIGRO” (che, volendo potrete chiamare Ianigro, N.d.T.), ad occhi chiusi, con un sorriso beato sulla faccia, si gode l’arietta fresca. Fin qui nulla di male, se non ci fosse l’imperativo, piú o meno categorico di riparare urgentemente qualcosa (per esempio, nella fattispecie, la tavoletta della tazza del cesso traballa e deve venire fissata bene alla suddetta tazza), talché tutta la sua famiglia ne possa far uso senza spiacevoli o addirittura pericolosi inconvenienti.
Come si puó ben capire la cosa ha un certo carattere di urgenza. E che fa il nostro Pigro? Niente! Sta sdraiato, magari fumandosi una sigaretta, cosa che non dovrebbe fare, in quanto, a detto dei Supervisori alla Salute Pubblica e Privata, il fumo conduce alla morte (laddove mi sia permessa la domanda: e chi non fuma che fa, vive in eterno?) poiché la sigaretta contiene benzolo, nitrosamine, formaldeide e – tanto per gradire – acido prussico, o bevendosi una Coca Cola ghiacciata (forse è meglio: nessuno sa quello che contiene! Ma, come si dice: ”Bevete il Coca Cola!” Con la buona salute e per cent’anni!).
A stare alle definizioni succitate, per dirla blandamente il Nostro perció si comporta come un delinquente, come un asociale, un dissoluto o peggio. Questa è la situazione, per cosí dire, esterna, in atto.
Ma un atto, perlomeno a quanto mi sembra di ricordare, viene provocato dalla potenza, come diceva quel filosofo di cui mi sfugge il nome. E va bene: allora andiamola a cercare questa potenza. Dove sta? Io pretendo che questa potenza stia nel cervello del Pigro. Che ci crediate o no, costui pensa. E cioè come riparare la tavoletta nel modo piú razionale ed economico.
Gli occorre dapprima una pinza piatta. Ce l’ha la pinza? Mannaggia, la pinza l’ha prestata due giorni prima a Giovanni che ancora non gliela ha restituita. Dovrebbe quindi alzarsi, andare al telefono e pregare Giovanni di riportargli la pinza. Sí, lallero! Giovanni è partito per le ferie a Pugnochiuso e tornerá tra due settimane.
Allora? Forse andrebbe bene una pinza da idraulico. Lui ne ha una simile, è piuttosto piccola, ma forse andrebbe bene lo stesso. E se non va? Potrebbe chiedere al vicino, al Sig. Bianchi, se lui ne ha una adatta. Per questo occorre alzarsi, mettersi le scarpe e la camicia, andare alla casa accanto, bussare alla porta, acceratarsi che stia a casa, scusarsi del disrturbo, spiegargli la situazione, domandargli notizie sulla sua salute e della salute dei suoi, parlare male del dirimpettaio antipatico (il Sig. Rossi) e se gli puó prestare la pinza. Se sí, ritornare a casa, andare nel bagno, inginocchiarsi, prendere la vite con la pinza, stringere la vite, etc. etc. e, se tutto va bene fissare la tavoletta.
E se no? Se Bianchi la pinza non ce l’ha?
Altro “iter” di pensieri, supposizioni, domande e cosí via, che qui vi risparmio.
Insomma: il Pigro compie globalmente un lavoro mentale, la cui energia potrebbe, usandola in altro modo, sollevare una tonnellata di un metro!
E mi chiamate pigrizia tutto questo? Ma per piacere!
Magari, mi direte voi, l’esempio non è dei piú esplicativi, è “una tantum”, ma che ce ne sono altri piú aderenti.
Giusto, allora cerchiamo di esaminare la cosa in altro modo.

II

Credo di poter supporre che, prima di fare checchessia, occorre pensarci su, piú o meno a lungo, insomma, come del resto insegnano gli adagi, non fare le cose avventate: e cioè, “festina lente”.
E questo è quello che fa il pigro.
Ma ,prima di continuare ritengo che sia opportuna una specie di nomenclatura o classificazione, adatta alla ricerca scentifica.
Dunque: abbiamo, sotto la ”classe” pigrizia delle sottodivisioni in “genere”, “famiglia” e “specie” (magari confondo, ma il buon Linneo non ne vorrá) che, cercheremo di definire.
CLASSE : pigrizia
GENERE: maschile/femminile
FAMIGLIA: nubile/scapolo/coniugato/con prole etc.
SPECIE: pigro/pigra
La classe pigrizia l’abbiamo giá vista sopra, il genere non ci interessa in modo particolare, la famiglia lasciamola stare per non provocarne liti, ma veniamo dunque alla specie. E qui abbiamo:
Il Pigro (piger piger universales communis), che ha come sottospecie
Pigrone (piger rationalis magnus )
Pigrissimo (piger extremus familiaris)
Pigrannonfinire (piger eternus vulgaris)
Pigrochetepossino (piger maledictus consortialis)
Anvediquantepigro (piger mirabilis mirandus)
Pigrosfaticato (piger sfaticatus alaborans)
Piú altre che, per il momento mi sfuggono.
Naturalmente la classificazione è incompleta, in quanto, molto spesso, vengono scoperti nuovi esemplari, le cui caratteristiche impegnano gli scienziati, i cosiddetti Pigrologi, che, in genere hanno il titolo di Dott.Pig. (nelle Universitá anglosassoni e in alcune europee abbiamo anche il titolo di Master of Pigrility).
Per cominciare, cerchiamo di esaminare le caratteristiche, limitandoci agli esseri umani (homo homo intelligens), poiché la pigrizia animale ha tante manifestazioni che, per il momento, vogliamo tralasciare, rimettendola ad un piú ampio trattato.
Ordunque.
Il PIGRO è un essere umano, di genere prevalentemente maschile, di numero singolare, di caso specifico e multiplo.
Costui (mi limito al pigro maschio, ché quello femmina ha in genere l’emicrania in sí precari casi) per esprimerci in maniera intellegibile, indugia.
Qui l’indugio va inteso come prudenza e riflessione. Cioè pensare come l”atto” che egli dovrebbe compiere, prima di farlo, venga effettuato. E come? Con la “potenza” del pensiero, egli si sforza (mi capite: si sforza!) di strutturare, di razionalizzare il lavoro che sta per fare o che dovrebbe fare.
La sua è quindi un’attivitá, piú o meno intensa, che potrebbe definirsi “lavoro”.
(Attivitá: potenza attiva, Palazzi – Che ha potenza attiva. Melzi)
Tanto per tenerci al corrente, come definiscono i Saggi il lavoro?
L’azione del lavorare (ma no! Veramente?)/ Opera fatta che si fa o da farsi (che vi dicevo?)/Il prodotto dell’intensitá della forza per lo spazio percorso: ne è unitá il chilogrammetro (vedi sopra), dice Melzi.
L’azione del lavorare / l’effetto di una forza, conferma il Palazzi.
E, che ne consegue? Ne consegue che il pigro, in realtá, lavora come un drago, si comporta in modo razionale ed utile, insomma non è pigro secondo le usate accezioni, manco per niente, anzi!
Quanto volevasi dimostrare!
Allora dunque, non si disprezzi la pigrizia ma la si elogi!!

Tanto vi dovevamo.
Distinti saluti.

Carlo Ianigro

Wiesbaden, Mercoledì 11 agosto 2004

4 commenti su “Elogio della pigrizia”
  1. Una bella riflessione analitica con una conclusione convincente (anche se NON per tutti!!!)
    Gut gemacht!

  2. Quasi convincente, ma … non troppo!
    Comunque lodevole la “consecutio logica” delle considerazioni fatte per dimostrare il teorema: Apoteosi della Pigrizia! Complimenti.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *