Credono di sapere tutto. Pensano di poter parlare di qualsiasi cosa. Ti danno consigli, ti dicono di fare così perché solo così potrai raggiungere la felicità. LORO sanno tutto, tu niente. Povero demente. Che cosa credevi? Fanno finta di non capire. Parli, dici, ma presto la voglia perde ogni entusiasmo di comunicare e così ti ritrovi da solo a confessare i tuoi peccati a un muro. Guardi fuori dalla finestra e pensi: cos’è normale? Hai mai conosciuto la normalità? No, a te sta stretta, sei troppo complesso per poter riuscire ad amare un semplice raggio di sole. Ti chiudi nella tua stanza, ascolti i tuoi pensieri malati. Loro… sì, ce l’hai con loro. Tu malato che non capisci la tua malattia trovi nell’offesa verso l’altro la miglior medicina. Vuoi curarti in questo modo. Pillola dopo pillola, parola dopo parola. Le frasi scivolano via dalla tua mente, senti dei sussurri, voci lontane che vorrebbero confidarti un segreto dal quale stai fuggendo. Ti vedi distante. Sei alto quanto un nano. Sei un povero bambino viziato in cerca di protezione. Guardati, miserabile! Povero dentro e fuori. Piangi bambino, è l’unica arma che ti resta. Scappi via. Cerchi rifugio in un bar. Inizi a bere, dici di sentirti bene. Menti, continui a raccontare storie a te stesso. E lo sai! Dannazione se lo sai. Eppure cosa ci puoi fare? Niente. La tua vigliaccheria è così alta che non potresti protestare neanche contro una foglia. Piangi ancora, ormai quello è il tuo esercizio fisico. Il corpo si ingrossa, la pelle si allunga, il grasso aumenta. Che schifo che sei diventato! Povero inetto che non hai fatto altro che guardare da una stupida finestra del cazzo! Sì, magari hai ragionato sulle cose, hai cercato di capire perché dovesse andare in questo modo e non in un altro. Ma a cosa ti è servito? A far accrescere la tua malattia? E loro? Loro dove sono? Parlano, ti consigliano, t’insultano. Ecco cosa sono, aria tossica che inquina i tuoi polmoni. Sono tumori del pensiero. E tu ne sei affetto. Qual è la diagnosi, dottore? Ogni giorno ne incontri qualcuno. Ciao, come stai? Male. Cos’hai? Parli, cerchi di dare una spiegazione della tua situazione. E loro? Niente. Esci, divertiti, scopa. Ti passa tutto. Sì, ma vaffanculo che non hai niente. Sapessi che problemi che ho io. Già. Problemi. Tutti abbiamo mille problemi. Tutti indaffarati a pensare alla propria persona. Eppure non mi pare che gli altri stiano meglio. Forse non hanno questo mostro che cresce dentro di loro. Sì, questo maledettissimo mostro che è nato come un semplice parassita ma che ora divora il mio sistema. Sono morto all’interno della balena. Nessuno mi ha salvato. Ho chiuso gli occhi sperando che fosse tutto un sogno. Magari.
Mi passo le mani sugli occhi. Sono stanco, stufo, annoiato da tutto questo. Vorrei cambiare, vorrei poter fare. No, maledizione! Che cosa sto dicendo? Meno male che il mio censore è pronto a intervenire. Come potrei fare se non ci fosse lui?
Me ne sto alla finestra che guardo il paesaggio. Ogni tanto mi becco un’offesa. Sono un malato, sono vecchio, sono un demente, stupido, maledetto, inetto, imbecille, idiota. Sono tutto e niente. Sono un essere che non esiste. Sono un pensiero che si esprime attraverso le lettere. Sono morto nel non-vivere. Sono vita che s’è fatta malattia per sopravvivere. Sono la febbre che cerca di salvare il sistema. Sono tutto e sono niente. Già. Magari fossi qualcosa.
Ascolto. Li sento parlare, sussurrare qualcosa alle mie spalle. Mi guardano come se fossi un bambino. Vogliono tenermi le cose nascoste. Hanno paura che soffra. Sono sensibile! Già, povero bambino, così sensibile che subito si mette a piangere. Ma che vuoi farci, sono caratteri. A te è capitato quello bello forte a me è capitato questo da povero imbecille. Piango? No, a cosa servirebbe? Un senso di malessere invade il mio stomaco. Sono pronto a vomitare i loro pensieri. Il tumore va estirpato. Dio, quanta confusione in queste parole! Vorrei per una volta poter pensare a qualcosa che mi rallegri. In fin dei conti la mia felicità è questa: esser preso in giro da tutto e da tutti. No, LORO diranno che non è vero, che non mi prendono in giro. No? Dite che non è vero? Ogni giorno ricevo i vostri “consigli”. Non sono forse insulti? Credete di avere la saggezza di un DIO? Ed io sarei il malato? C’è tanta confusione che regna nella mia mente e LORO non fanno altro che infastidire i miei pensieri. INFETTI del cazzo! Inutile urlare, sono talmente sordi che non sentirebbero nemmeno i cannoni tuonare nei loro timpani. Oh, come sono esagerato. Falla finita! È questo che pensate, vero? Sì, magari una corda, una pistola, una canna del gas. Troppo semplice, troppo da malato. Altro che gesto eroico. VIGLIACCHERIA allo stato puro. Sì, sono un vigliacco del cazzo, questo lo sanno tutti, ma ho decenza per la mia persona tanto da farla rimanere in vita. Anzi, di restare nella non-vita. In fin dei conti io della vita non conosco un cazzo. LORO sanno tutto. Hanno viaggiato, hanno parlato, hanno conosciuto. Ed io che cos’ho? Questo mostro con cui parlare ogni giorno? Una battaglia ogni mattina e ogni sera? La speranza che un giorno possa uccidere il drago? Che cos’ho se non le lacrime che rendono grazia alla mia “sensibilità”? Sono un povero cristo cui la natura ha donato fin troppo e tolto agli altri. Ah, mi vanto. Un po’ mi farebbe bene. L’unica cosa che so, l’unica cosa che sul serio posso vantare di conoscere è la mia persona. Gli altri che cosa conoscono, altre persone, altri esseri? E queste persone si conoscono realmente? E se questi non si conoscono, LORO chi hanno conosciuto? Nessuno. Alla fine vinco io, perché una persona a dispetto loro la conosco: me stesso.
Il confronto tra il “me stesso” e la moltitudine che è “altro da me” o apre un deserto di infelicità o rafforza nella bontà delle proprie certezze.
Si può esplorare anche la possibilità che “il confronto arricchisce”, ma espone all’eventualità del cambiamento.
Lo sfogo rabbioso del protagonista che si abbandona al monologo, si conclude nella certezza della sicurezza raggiunta; il cosiddetto “gnothi s’auton” di socratica memoria che dovebbe essere sempre alla base di ogni considerazione. Ma quanti sono in grado di riflettere su ciò? E soprattutto: quanti desiderano perdervi tempo? Ed, infine, il protagonista è proprio sicuro di conoscere sè stesso?
Un bel brano, da caffe letterario, direi.
anna
5 st
Come tutti i tuoi lavori l’ho trovato molto cavilloso e di ottima scrittura come tu sai fare.
Il monologo é sempre e comunque molto pericoloso.
Potremmo imbatterci in strade tortuose.
Ciao e 5 stelle.
Sandra
Come al solito non posso far altro che ringraziarvi per i commenti 🙂