La vedevo passare, sulla sua piccola barca a vela, la domenica pomeriggio. Sempre solo di domenica e credo non mi abbia mai notato. Dalla porta finestra di camera mia, quella del balcone, si vede una buona porzione di lago, ma dal lago è difficile scorgere la casa perché è semi coperta dagli alberi che si alzano dal vialetto. E piccola e vecchia la mia casa sul lago e un tempo ci viveva e lavorava un pescatore. Quando, anni fa, ho comprato questo posto, ho trovato una barca di legno, dal fondo piatto, nella grande stanza a piano terra che adesso è il garage e di fronte alla casa c’era un piccolo molo, sempre in legno. La barca era sfondata e sembrava irrecuperabile così come il molo. Il geometra del comune mi ha convinto a ricostruire il molo dicendomi che così la casa acquistava valore nel caso, un giorno, l’avessi voluta rivendere. Gli ho dato retta, ma non per il valore. Mi piaceva quel molo e avevo pensato che magari, da lì, avrei potuto pescare, sempre che mi fossi comprato una canna e avessi imparato a farlo. Quel che rimaneva della barca è finito nella stufa, un po’ per volta, e oggi non esiste più. È un peccato perché oggi l’avrei recuperata, restaurata o almeno ci avrei provato. Allora, però, non conoscevo Laura e il vento, il suo vento.
Di solito Laura arrivava a pochi metri dal molo, con il vento in poppa, per poi orzare e risalire il vento, di bolina. I suoi movimenti lenti, precisi e sicuri erano un mistero affascinante. Pur non capendo nulla di barche, di andature e di vento, seguire i suoi movimenti e quelli della barca erano lo spettacolo di una studiata coreografia, un ballo senza musica e senza tempo. Avrei imparato più avanti a sentire la musica del vento e dell’acqua e più tardi ancora ad accordare i miei pensieri alla giusta tonalità per divenire strumento io stesso, barca, vento.
Non l’ho mai conosciuta Laura. So come si chiama, ma non ci siamo mai incontrati. Io al balcone, trattenuto da una vita disordinata e noiosa e lei in barca a danzare dolcemente, sorridendo.
Non ho la vista di un falco. L’ho vista sorridere attraverso un binocolo, acquistato apposta, per spiarla, per capire e vivere, di riflesso, la sua pace.
Forse, però, non era una persona serena e felice. Non mi spiego altrimenti come sia potuta sparire e lasciare tutto. Non mi spiego nemmeno la sua lettera nella quale mi chiede, quasi mi supplica, non conoscendomi per niente, di aver cura della sua barca. Forse un giorno tornerò, ha scritto al perfetto sconosciuto possessore del molo. Il molo. L’avevo ricostruito ben solido il molo e forse a Laura è sembrato il posto giusto per la sua barca. Forse quel molo le ricordava qualcosa d’importante: un affetto, un momento felice della sua vita, chissà?
La lettera l’aveva lasciata al postino, dandogli una buona mancia, spiegandogli dove doveva recapitarla. A chi non poteva.
Quando Renzo, il postino, mi ha portato quella strana lettera senza indirizzo e destinatario, mi ha detto che Laura era partita, non sapeva per dove. È così che ora so il suo nome, grazie al postino.
Dopo un primo momento di sorpresa ho deciso di accontentare Laura. Ho chiesto aiuto in paese per spostare la barca dal suo solito ormeggio, dal porticciolo del comune, al mio molo.
Ho dovuto anche portare la lettera con la quale Laura mi affidava la barca in comune e sbrigare qualche pratica burocratica perché tutto fosse in regola.
La barca è rimasta ferma, ormeggiata al mio molo, per quasi un mese e poi ho deciso.
Mi sono preso quindici giorni di ferie e mi sono iscritto a una scuola di vela del lago.
Sentivo che Laura, affidandomi la sua barca, voleva che io la portassi, la facessi vivere.
La barca è un piccolo cabinato di cinque metri e mezzo. E costruita in vetroresina e la targhetta in acciaio che porta i dati del cantiere che l’ha costruita dice che ha ventisette anni.
Sotto coperta non ho cambiato nulla. C’è ancora il libro che vi ho trovato e una foto di Laura, scattata chissà dove e quando.
Ormai sono passati anni dal giorno in cui ricevetti la lettera.
Oggi, quando arrivo con il vento in poppa a pochi metri da mio molo e orzo per risalire e fare un altro giro mi dispiace un poco sapere che dal balcone di casa mia nessuno spia le mie manovre, lente e precise. Finisce che faccio sempre un giro in più, sperando, al ritorno, di trovare Laura sul molo che mi prende la cima d’ormeggio e mi dice semplicemente “grazie”.
Un racconto malinconico, una velata nostalgia, forse, per quello che poteva essere e non é stato. Chissà dov’è andata Laura…, certo doveva essere importante per lasciarti una parte di Lei…, Tu hai seguito e raccolto il suo desiderio, e forse qualcuno da quella tua finestra ti osserva…, tienila sempre bene.
Un saluto, e ben arrivato.
5s.
Sandra
Un bel racconto, col ritmo lento del lago.
Vivo sulla riva di un lago.
Mi piace il lago, la sua atmosfera, l’idea che tutto possa essere come appare o forse no.
La narrazione riproduce proprio queste sensazioni.
Bravo
anna
5 s
Per Sandra:
Quello che poteva essere e non è stato con Laura è una storia molto diversa e vera. Il racconto del lago, al contrario, è inventato, ma nasce dalle ceneri del sentimento vissuto che non è potuto crescere. Ciò che mi ha lasciato non una barca, ma il ritrovato coraggio d’innamorarsi.
Per Anna e Sandra:
Grazie dei vostri commenti e delle stelle.
p.s. la barca descritta nel racconto esiste. E’ la mia.
Mi piace il tuo racconto Giorgio. La tua capacità narrativa lo rende scorrevole e intrigante. La chiusura è d’effetto. Facile sentirsi sulle rive di questo lago immaginario e vedere Laura. Io me la immagino con i capelli lunghi..
Lunghi, neri e mossi, per scommessa, un tempo biondi, ma questa è un’altra storia.
Grazie, Claudia.