Prima Parte
Renacer

Spesso è la rabbia che ti concede la forza di correre più forte ed è l’ambizione che ti illude. Come la droga che dopo poco annulla il dolore e la fatica. La mia droga erano i miei sogni ed altro non mi restava che correre ancora più forte.

Ero davanti alla porta ed al suo portiere ed era l’ora di calciare. Un grande respiro e poi un attimo di silenzio. Il giorno dopo ero il piccolo idolo di una nazione. Tutti mi volevano e tutti erano disposti a sotterrarmi di bigliettoni colorati. Avevo solo fatto un goal. I giornali riportavano la stupida risposta che diedi ad un giornalista nel chiedermi quale offerta avrei accettato. «Voglio tornare a casa». Non ricordo chi quel giorno mi riaccompagnò ma finalmente ero arrivato sotto quell’edificio fuori Valencia che diveniva sempre più piccolo mentre io crescevo e diventavo ventenne. Stavo aprendo il portone di vetro e alluminio, sempre lo stesso da una vita, quando Juan correva ridendo e mi abbracciò.

“Eres un grande, siempre te lo decía que eres un campeón!”

“He hecho solo un goal como aquellos que hacíamos por la calle, y tu también eres tan fuerte”

Poi dalla tasca prese una piccola busta bianca e me la porse. Domandai cosa fosse e mi rispose soltanto che era arrivata a lui ma era per me. Ringraziai Juan e lo riabbracciai ricordandogli di come anni prima ci rincorrevamo per quelle strade di periferia.

“Mucha suerte hermano!”

“Gracias doctor Munos”

Così lo chiamavo da tempo, da quando a malincuore decise di seguire la sua strada e non più un pallone. Tra pochi anni sarebbe diventato un chirurgo e la nostra infanzia trascorsa assieme solo un ricordo.

Quando arrivai dentro casa c’era il solito silenzio. Pensavo che mia madre non fosse ancora tornata ed invece mi attendeva al buio in cucina e il suo volto era illuminato soltanto dal riflesso di una candela poggiata su un dolce appena fatto.

Nessuno dei due disse niente, ci abbracciammo forte e ci eravamo già raccontati tutto. Cenammo e ridemmo come due amici mentre parlavamo della nostra intensa giornata. Dopo aver divorato il dolce baciai la mia piccola mamma e mi ritirai nella mia camera. Accesi il mio computer e dalla tasca tirai fuori la busta che mi diede il mio grande amico.

Dentro c’era una lettera di poche righe ed in fondo un indirizzo e la firma.

La lettera trasportava con se la voglia di tornare indietro e voler riaggiustare tutto come se per ogni errore ci sia necessariamente una soluzione. Spesso non è così. Non sempre si può chiudere con il passato e ricominciare. Io non potevo mettere in gioco tutta la mia vita. Non adesso. Non ora che un padre mai avuto implora nuove possibilità. L’indirizzo era di un posto non molto vicino. Quando quella mattina mi giurò di andarsene lo fece davvero. Lasciò la città dimenticandosi di portarsi dietro il cuore e la mente.

“Calle de Ardemans, 81. Madrid”

La firma sempre la stessa. Xavier.

Non trascorsero ventiquattro ore che stavo già preparando le valigie e all’alba sarei stato tra i viali della Capitale. Andavo a firmare un importante contratto per la squadra che sempre ho odiato. Ma questo dopo tutto poco importava. Andavo a dare forma ai miei sogni. Credevo che adesso che ero quasi importante sarei stato in grado di poter concretizzare ogni cosa. Adesso tutti quei progetti che portavo dentro di me da una vita vedevano un’occasione per essere realizzati. Anche quello più intimo e segreto: vedere mia madre felice. Ma ciò che rende felice me non è poi sempre ciò che rende felice gli altri. Mani nelle mani mentre si faceva giorno io riuscì a convincerla a seguirmi a Madrid.

“Puede ser la nuestra ocasión”.

Un’infinita tristezza ci avvolse al mattino mentre serravamo le finestre del nostro appartamento, e molte preghiere facevamo mentre la serratura della porta chiudeva al suo interno un passato nonostante tutto tranquillo e sereno. A fatica Inés Herrera tratteneva le lacrime e salutava la città, il suo mare, il suo cielo e i segreti che custodiva. Un charter sorvolava le colline e i monti e mentre pensieri e paure ci facevano compagnia arrivammo, senza nemmeno accorgerci, al Barajas de Madrid.

Usciti fuori un’aria fredda ci diede il benvenuto e tantissima gente che si accavalcava nel furioso risveglio di una città d’Europa andando velocemente ad inseguire la vita e i programmi, i lavoro e gli affetti, la verità ed il giusto.

Prendemmo un taxi e mentre ci addentravamo tra palazzi ed hotel altissimi dell’Avenida America mi domandavo dove fosse adesso quell’uomo che voleva rivedermi, che voleva esser mio padre.

Alloggiammo a pochi passi dal centro in un lussuoso hotel. Lì mi aspettavano gli agenti che avrebbero trattato il mio contratto ridandomi una nuova vita. Si presentavano come il club sopra il tetto d’Europa e dovevo quasi ringraziarli per essermi fatto notare e per quella possibilità datami, come dicevano loro, “de renacer”.

Volli pensare, rimanere da solo e valutare bene. Dopo poche ore rinchiuso in una gabbia con l’affaccio sulle piccole case del centro uscì per prendere un po’ d’aria e per sistemare i pensieri.

Mi trovai a vagare per i viali della Capitale senza alla fine sapere dove andare. Fermai un taxi e d’istinto ordinai di portarmi in Calle de Ardemans.

Il grattacielo dell’Iberia si ergeva poco distante e sembrava proteggere quel vicolo privo di traffico. Trovai il civico ma i nomi sul citofono non mi aiutarono molto. Decisi di entrare dentro approfittando del portone socchiuso. Arrivato al primo piano suonai e attesi. Iniziai volare in alto con la mente; e se adesso mi aprisse Xavier? Chissà se mi riconosce ancora? Vivrà solo? E se vuole riunirsi a noi? Sarà davvero questa l’occasione per rinascere?

“Hola!”, si aprì il portone mentre i pensieri svanivano e si affacciò fuori una dolce bimba forse di appena 8 anni. Non di più.

Seconda Parte
Specularis

“Hola, estas sola? Yo estoy buscando mi papá”

“Aquì no está!”

Dall’interno dell’abitazione giunse la madre e chiesi nuovamente di mio padre. La donna si affrettò a negare ed a chiudermi la porta in faccia. La delusione non mi abbatté ma rimasi comunque demoralizzato sul pianerottolo delle scale fissando il portone chiuso e dovetti ancora accantonare il mio sogno segreto.

Mi voltai e feci per scendere il primo gradino quando il portone si riaprì e voltandomi vidi il viso di quella bambina spuntar fuori dall’uscio.

“Puede ser que buscamos el mismo padre?”

Sì. Può essere che vite lontane li accomuni un passato simile. Può accadere che una stessa persona ne ferisca molte altre allo stesso modo. Capita che due persone si aspettino le stesse risposte perché hanno le stesse domande da porre… Alla stessa persona.

“Mi padre es de muy legos, de un Pais hermoso…”

“L’Italia, lo se, todavia no es tan lejos” Gli sorrisi mentre parlavamo seduti sulle scale e cercavo di capirne di più. Ma la bambina che aveva dei capelli neri e ricci ed un paio d’occhi come il mare di Valencia, non sapeva dirmi dove fosse il suo di papà e nemmeno il mio. Mi sorprese quando la salutai e la lascia lì sulle scale. Mi disse:

“Adios hermanito, si lo encontrara le diga que lo quiero mucho”

Continuai a scendere giù, a lasciare quella signorile abitazione e tornai in pochi minuti nel mio hotel dove mia madre leggeva il mucchio di carte che avrei dovuto firmare ma delle quali adesso poco mi importava. Lei mi guardò e mi chiese se fossi sicuro di ciò che stavo per fare, io risposi solo:

“Xavier vive aquì”

Lei fece finta di non capire. Continuava a scansare quel pensiero costante, continuava ad affogare rabbia e amore. Teneva tutto dentro, lo nascondeva a tutti come si fa con un segreto. Non voleva uscire da quella camera d’albergo. Non voleva vedere come fuori ci fosse gente che sapeva cosa fare, a cui credere, a cui amare. Io, invece, rinviavo sempre le trattative del mio contratto e tornai a trovare quella che sembrava essere mia sorella il mattino dopo. La trovai sotto casa mentre andava verso la scuola con il suo zaino grande e pesante. Mi permisi di portarglielo e di accompagnarla sino al cancello del suo istituto.

“Madrid es tan grande, no es facil” Così mi scusai per non aver potuto riferire del suo amore al padre.

“¿Has intentado al parque? Ahí haciamos muchas fotos juntos”

“Que hermosa que eres, ¿Cual es tu nombre?”

“Cintia, ¿le gusta?”

Annuì e subito pensai alla mia cara nonna che mi allevò con cura e mi insegnò molte cose. Mi diceva di essere sempre felice perchè con il sorriso la vita sembra meno dura. Mi diceva di amare ogni cosa; il mare, il cielo e le stelle. Mi raccomandava spesso di dire sempre la verità, lo diceva sempre quando di notte la casa aveva un colore argento e guardando fuori sussurrava:

“A la luna no se cuenten ni mentiras ni secretos”

“¿Cuales secretos?” domandò la piccola ragazzina incuriosita che ascoltava i miei pensieri ad alta voce.

“¿No lo sabes? Detras la luna hay muchos secretos”

Finsi di esser sapientone davanti ad una bambina che non sapeva ancora che crescere vuol dire nascondere verità, amare significa stare accanto sempre e comunque e vivere spesso vuol dire inseguire un sogno e molto di più. Si rincorrono le persone, le circostanze che passano e sai che non si ripeteranno. Si afferrano le opportunità e poi a volte le si lasciano scappare. Si tenta di dire tutto e mai si riesce fino in fondo. Ci sarà sempre qualcosa che non riuscirai a riferire, che il cuore conosce ma ti impedisce di esprimere. Ci sarà sempre un segreto da affidare alla luna argentea che tonda riempie il cielo e culla le nostre nostalgie.

Quando arrivammo all’entrata salutai Cintia e intanto iniziavano a cadere piccoli fiocchi di neve che poco dopo ricoprirono le strade e i tetti di case e automobili. L’inverno avvolgeva Madrid ma non riusciva a frenare la sua vita che frenetica continuava fino a tarda notte. Camminai un bel po’ mentre il gelo tentava di ghiacciare le mie gambe robuste di calciatore. Mi diressi al parco, al giardino della Capitale. El Buen Retiro racchiueva alberi secolari che pulsavano di cultura, di passioni, di arte e di muse per artisti di strada che qui si incontravano. Il freddo di novembre portò via il verde e trasformò il cuore della città in un tappetto di foglie gialle scroscianti e rami lunghi e nudi. La neve, adesso, dava un’altro tocco di malinconia al tutto. Dal Paseo del Prado attraversando il cancello mi immersi in quel luogo capace di rapire il pensiero e portarlo lontano fino a richiamare quelle urla che udivo sotto casa a Valencia. Rivedevo quel treno verso Roma, quel pallone amico di tanti pomeriggi sensa senso. Mi tornarono in mente i fartons e l’horchata della mia cara nonna. E poi tra i miei pensieri giunse mia madre e quell’uomo che amò e la lasciò una notte di febbraio. Li rividi, uno difronte all’altro, immobili a fissarsi. Ma avevo già smesso di pensare.

Terza Parte
Luna distratta

Abbracciai entrambi senza che nessuno di noi dicesse niente. Solo lunghi sguardi.

Non so quanto uno sguardo possa servire per chiedere perdono, tanto meno so quanto un silenzio possa comunicare il rancore di domande irrisolte. Eppur questo si comunicavano. Erano passati venti anni e io volevo ancora credere che non ero solo un filo che legava mondi lontani. Non volevo credere di essere nato da un momento di debolezza che capita, passa e si dimentica. Non volevo che nella mia vita ci fossero più verità nascoste, ne sofferenze. Nemmeno io avevo parole da dire. Non sapevo se il tempo migliorasse o peggiorasse le cose. Non sapevo se l’amore fosse finito ne semmai fosse esistito. Si fermò il tempo e il cuore davanti al lago di un parco quasi imbiancato.

Da una tasca Xavier lasciò cadere una fotografia. Erano due visi felici, una piazza, una luna a metà nel cielo distratta ed un amore che non voleva finire. A terra iniziò a bagnarsi mentre si sbiadiva quel nero di quella notte fissata da un flash. Diventava un miscuglio di colori scuri e poi la neve ricoprì tutto lievemente.

Esistono puzzle grandissimi che non si possono ricomporre, esistono cuori legati così tanto alla solitudine da arrendersi ad essa convincendosi che non può essere diversamente. Esistono parole che forse è meglio non dire per non ferire o per non riaprire ferite cicatrizzate appena. Ci sono fotografie che custodiscono la felicità, altre che intrappolano dolore. Ci sono promesse che non sono mantenute e c’è il rimorso che morde l’anima. C’è la solitudine che accompagna tutti e c’è il destino che ci persegue sempre. Esistono lune pallide che non si accorgono di bugie e segreti tenuti nascosti oltre il tempo. Ci sono notti in cui per le troppe domande non basta un cielo stellato a consolarti il cuore. Esistono madri che danno la vita per un solo sorriso del figlio. Ci sono genitori che non riescono ad amare. Ci sono i divertimenti di un infanzia passata da tanto che torneranno nei pensieri.

Ci sono bambini che corrono al mare ed inseguono un aquilone. Ci sono ragazzi che cercano di conoscere il mondo. Ci sono uomini che non si stancano mai di inseguire un sogno.

Io e mia madre tornammo nel nostro hotel abbracciati e stretti. Preparammo le valigie mentre nel camino ardeva un mazzo di carte che parlava di una vita nuova che non mi interessava. Non amo le gabbie, non amo i contratti; almeno in questo assomiglio a mio padre. Ci scaldavamo davanti a quel fuoco e sorridevamo pensando che una nuova vita sarebbe iniziata domani e che nessun segreto ci avrebbe diviso. Prendemmo un taxi e ci dirigemmo verso il Barajas ma prima volli tornare a salutare per l’ultima volta la mia sorellina.

“¿Prometes que seras mi campeón?”

“¿Y tu prometes que no contarás nuesto secreto a ninguno?”

“¡Prometido!”

Cintia restò davanti al portone e mi guardava andare via salutandomi con la mano mentre un giorno nevoso lasciava spazio ad un tramonto sereno. Io e Inés con i nostri bagagli salutavamo Madrid e mentre un boing ci riportava a Valencia una luna distratta in un cielo terso ci dava nuova forza per correre e volare dietro ogni nostro piccolo sogno.

3 pensiero su “Segreto (Capitolo Terzo)”
  1. Il racconto mi piace e lo seguo sempre con attenzione, se posso…, riguardalo perchè, probabilmente per fretta, c’è qualche errore.
    Un saluto e 5st.
    sandra

  2. Tenero e malinconico.
    Nonostante qualche incertezza linguistica, dovuta, presumo, al fatto che lo spagnolo sia la tua lingua madre, la storia scorre bene.
    4st

  3. Grazie ancora a Sandra e grazie anche a giorgio alice.
    Non so se ho dato un degno finale ai miei personaggi ma questo era comunque l’ultimo pezzo di questa storia. Cercherò di fare più attenzione e lo riguarderò. Sono di madrelingua italiana ma sbaglio lo stesso, cercherò di non farlo in futuro!
    Raf

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