Aprì gli occhi. Sul tavolino di vetro, due tazze di cappuccino piene fino all’orlo di morbida schiuma accanto ad un piatto con rotondi biscotti tempestati di mirtilli.
Quei biscotti…
“Sto ancora sognando.” Pensò Nina richiudendo gli occhi.
Nell’aria al profumo di caffè si mescolavano altri odori. Distingueva una lieve fragranza di lavanda. Ricordò una casa piena di lavanda essiccata nei vasi.
Quella casa.
Riaprì gli occhi. Era sveglia. Quel tavolino era identico a quello della sua camera ma la stanza… era un’altra stanza!

Rivederlo non era tra i suoi programmi. Nina aveva sofferto due interi anni dopo che Michele l’aveva lasciata, ma ormai si sentiva forte e libera dall’ossessione. Aveva avuto due storie nel frattempo. Certo, per nessuno dei due ragazzi aveva provato qualcosa di paragonabile al suo amore per Michele, ma era comunque stata in grado di godere della compagnia di altri uomini e di provare dei sentimenti piuttosto intensi. Soprattutto, però, era riuscita a crescere. Senza paura né dubbi, aveva studiato, lavorato e avuto cura della sua famiglia nei momenti difficili. Il suo fratello minore aveva perso il padre e lei, quindi, il patrigno, e non era stato facile far capire ad un bimbo di nove anni che deve essere forte, che deve sapere che anche un babbo a volte può non mantenere la promessa di esserci sempre accanto. A Michele aveva pensato ogni giorno, con trasporto. Si era svegliata felice dopo averlo sognato e addormentata col cuore a pezzi dopo aver realizzato che lui se n’era andato in una direzione diversa e che non l’avrebbe visto mai più. Dopo alcuni mesi era tornata a ridere senza fingere e a poco a poco, la vita le era sembrata di nuovo un dono, non un fardello. Poi era partita. Mi aveva salutato promettendomi di non innamorarsi di un francese e di tornare in Italia alla fine del suo stage. Siamo amiche da quindici anni ormai e la conosco abbastanza da sapere che non sarebbe tornata, se non fosse stato per il terribile incidente successo sul lavoro al suo patrigno Nicola. Gli voleva bene, dopotutto. Accettare la sua presenza in casa era stata una prova durissima. Per mesi non era mai rimasta a corto di sarcasmo per rispondere ad ogni frase o domanda del nuovo fidanzato della mamma. Il matrimonio dei due era stato uno strazio per lei. Si era rifiutata di comprare un abito e di indossare quello scelto per lei dalla madre non aveva voluto saperne. Un vestitino azzurro che sembrava gridare: “Sono felicissima che mia mamma si risposi, invece di impegnarsi a recuperare il rapporto col mio vero padre!”. Era entrata in chiesa con pantaloni Adidas marroni e un piumino. Al ricevimento aveva accettato di andare a mettersi qualcosa di almeno decente e non era più tornata. Poi, un giorno, la mamma l’aveva presa in disparte e le aveva spiegato di essere incinta di Nicola. Nina aveva cominciato a capire. Anche il fatto che suo padre si vedesse con una ragazza di 15 anni più giovane e fosse sinceramente felice per l’ex moglie la persuase del fatto che non c’erano alternative. La nascita di Riccardo fu l’ultimo passo nella sua accettazione del nuovo uomo di casa. Il piccolo amava il suo papà e Nina cominciò a capire che era un brav’uomo, paziente ed onesto. Dopo la maggiore età le occasioni di vedere il suo vero padre si erano diradate, a causa dei suoi viaggi d’affari e di piacere. Ad aiutarla nelle decisioni importanti era stato Nicola. Sua madre viveva in un mondo alternativo, in cui la fatica non era ammessa, se non quella legata alle semplici azioni quotidiane di andare a lavoro, fare la spesa, pulire e cucinare. Se a volte sentiva la figlia lamentarsi di avere troppo da studiare le suggeriva di restare a casa da scuola il giorno dopo. “Chi te lo fa fare!” era la sua frase tipica. Una pacchia in molte occasioni, ma poco producente per una persona che aspira a fare carriera. Michele era entrato nella vita di Nina senza preamboli, a bordo di una vecchia bici.
“Ciao.” le aveva detto, sbarrandole la strada.
“Ciao…” aveva risposto lei indecisa sul da farsi.
“Stavo pensando di venirti addosso, con delicatezza, in modo da non farti male ma da doverti comunque chiedere scusa.”
Nina lo aveva osservato meglio. Sulla venticinquina, alto, non troppo curato, con dei lunghi capelli castano chiaro e magnetici occhi grigio perla.
“…Perché?” gli aveva chiesto dopo qualche secondo.
“Avrei avuto una scusa per conoscerti. Come nei migliori film, anzi, come in molti film, mi sarei mostrato mortificato e ti avrei offerto un caffè per farmi perdonare.”
“Ah… ecco!” Normalmente se ne sarebbe andata con un commento acido, ma i piedi non volevano saperne di staccarsi da terra.

“La tecnica è rischiosa però. Di solito, chi cammina sta andando da qualche parte e non sempre ha il tempo di concedersi un caffé con lo sconosciuto che l’ha investita. Così ho accorciato il procedimento.” “E adesso quale sarà la tua mossa?” chiese Nina, avendo recuperato le sue facoltà mentali.
“Vediamo… potrei prendere questa penna – disse, mentre estraeva una biro dal borsellino nero attaccato con uno strap alla canna della bici – afferrare questa tua bella mano liscia e…- aggiunse dopo aver scritto con rapidità una serie di numeri sul palmo della mano di Nina- questo è il mio numero. Ricordati, per far procedere una storia bisogna aver coraggio in due. Il mio l’ho fatto, ora sta a te!”.
Era salito sulla bici e se l’era svignata, lanciandole un bacio. Nina era stupefatta.

L’episodio aveva campeggiato nella sua mente tutto il giorno. Per qualche ragione era più interessante della lezione di economia aziendale e anche di tutti i discorsi dei suoi compagni di corso, a mensa ed in biblioteca. Ritornata a casa si era trovata di fronte ad un dilemma. Scrivere o no il numero prima che la doccia lo cancellasse per sempre?

“Ricordati, per far procedere una storia bisogna aver coraggio in due. Il mio l’ho fatto, ora sta a te!”. Un ragazzo carino, coraggioso e creativo. Che stava aspettando? Prese il telefonino e lo chiamò: “Sono la ragazza che hai fermato stamani alle 10 e 50, davanti al Blockbuster.”
“Ciao!” sembrava entusiasta.
“Toglimi una curiosità. In quante ti richiamano in media, in una settimana tra quelle che blocchi con la bici?”
“Tutte! Difficile resistere al mio fascino. Per sicurezza faccio lo stesso giochino con tutte quelle che mi piacciono.”
“Complimenti.”
“Negli ultimi 24 anni, l’ho fatto solo a te.”
“Che vuoi dire?”
“Ce l’ho in canna da un pezzo, ma non trovavo la ragazza giusta. Tu lo sei, altrimenti non mi avresti richiamato.”
“…”
“Stasera alle nove e mezzo? Davanti alla stazione?”
“Cosa?”
“Il nostro primo appuntamento, no?”
“Ma non…”
“Perché mi hai richiamato se non vuoi uscire con me? Ti aspetto. A dopo.”
Riattaccò, lasciando Nina senza parole, per la seconda volta in poche ore. Nina, lasciatevelo dire da una sua amica intima, è una ragazza diversa dalla massa, ma pur sempre una donna, perciò trascorse almeno un’ora davanti allo specchio provandosi l’impossibile, prima di scegliere i soliti jeans e una maglietta marrone piuttosto scollata. Raccolse i capelli e mise il lucido sulle labbra. Meglio non essere troppo appariscenti, per non dare l’idea di una che vuole far colpo per forza.
“Esci? Di mercoledì?”
“Sì mamma, vado a fare un giro con Rebecca.” Rebecca sono io. Sì, Nina mi usa spesso come scusa. Del resto io lo faccio con lei, non c’è niente di male.

Era arrivata con un due minuti di ritardo e se l’era trovato davanti, sempre in bici.
“Ciao.”
E si erano baciati.
“Un atto spontaneo – aveva commentato Michele – vale più di mille presentazioni. Potevo portarti a fare un giro, raccontarti cosa faccio nella vita, offrirti una birra e poi chiederti un bacio a fine serata. Sapevamo tutti e due che la fine sarebbe stata questa. Tanto vale arrivarci subito, no?”
“Domani che facciamo, ci sposiamo?” chiese Nina, sarcastica.
“Meglio tra due giorni, che domani sono via per lavoro.”

“Ok.” “Per certe cose – spiegò Michele – ci vuole un progresso, la storia deve salire dei livelli, come se fosse un videogioco. L’avvio però non ha regole. Noi due sappiamo già che questa è una storia. Non serve che ti corteggi per farti sapere che mi piaci.”
“Non mi conosci nemmeno! Potresti capire che ho un carattere orribile, trovarmi insopportabile!”
“In quel caso ti lascerò! Dov’è il problema?”
“Pensi che sia giunto il momento di presentarsi?”
“Perché no, se ti senti pronta… mi chiamo Michele, Michele Soriani.”
“Nina Franci.”
“Mi piaci ancora, anche dopo questo passo. Ti va un film al cinema?”
“Cinema? Sì…”
“Vedi? Se te l’avessi chiesto subito, senza baciarti, avresti pensato che ti ci portavo per provarci al buio. Invece così è tutto già in tavola, possiamo stare molto più tranquilli.”

Michele era un tipo diretto e lo fu per tutti e sette i mesi in cui lui e Nina rimasero insieme. Lo fu anche quel martedì:
“Nina, sto per farti soffrire.”
“Mi lasci?” “…sì. Siamo stati benissimo insieme, ma ho incontrato la mia ex qualche giorno fa e non riesco a togliermela dalla testa. Per questo devo smettere di stare con te e restare da solo.”
Un colpo secco, istantaneo. Un dolore immenso, durato mesi e mesi. La sensazione di essere stata svuotata, di aver perso una parte di sé. Un’incredibile rabbia verso la vita, che prima le aveva dato l’amore e poi glielo aveva tolto, senza darle il tempo di renderlo eterno. Non era più riuscita a guardare i film che aveva visto con lui, a cenare nei ristoranti dove l’aveva portata e a fare colazione con cappuccino e biscotti ai mirtilli, come faceva sempre a casa di Michele. Non si erano mai più visti, anche se lei lo aveva invitato alla cena del suo compleanno e a prendere una birra per “fare due chiacchiere”. Lui sapeva che Nina lo amava ancora e rivederla sarebbe stato scorretto, l’avrebbe fatta sperare. Un giorno Nina si accorse che erano le sette di sera e che non aveva ancora pensato a Michele. La sera dopo conobbe Simone, con cui uscì per alcuni mesi. Poi lei decise di fare lo stage in un’azienda francese e la loro relazione finì nel silenzio. Aveva voluto bene a quel ragazzo, pur non essendone innamorata. Gli sarebbe stata comunque sempre grata per averla rimessa in pista dopo la delusione provocata da Michele. In Francia Nina aveva avuto Sam, un musicista di 23 anni che la trovava incantevole ma che probabilmente la tradiva ad ogni tournée. Del resto anche lei aveva avuto altre storie nel mentre, quindi si era risparmiate domande e gelosia. Poi quella chiamata.
“Nina, sono la mamma. C’è stato un incidente.”
“Chi? Chi ha fatto un incidente mamma?”
“Nicola. Lui è… morto Nina!” la madre era esplosa in singhiozzi e Nina non aveva saputo calmarla. Era partita subito, ma dopo una settimana in Italia era dovuta tornare a Marsiglia per finire il tirocinio. Dopo tre settimane si era ristabilita a casa, occupandosi di Riccardo e della sua povera mamma, distrutta dalla perdita. Aveva finito gli esami, presentato la tesi e si era laureata col massimo dei voti. Il tutto senza gioia, ma con un grande impegno. Nicola mancava anche a lei. In un momento di smarrimento portò Riccardo a casa del suo babbo. Sperava che potesse aiutarli, stare vicino a loro e magari alla mamma. Sentivano la mancanza di un uomo in casa. Purtroppo il padre di Nina era tutto preso dalla sua vita e non fece altro che invitarli a cena in un ristorante troppo lussuoso per loro, dove si sentirono a disagio. Sembrava, ed era, un estraneo. Nina sia accorse che Nicola le mancava davvero tanto, e avendo vissuto da sola e lontano per qualche mese se ne rese conto solo dopo la laurea, quando iniziò a sentirsi sola e disperata. Le mancava Michele. Avrebbe voluto la sua presenza in quella fase così inattesa. Sapeva che ormai lui doveva essersi rifatto una vita, magari altrove. Tuttavia non riusciva a smettere di pensarlo. Avrebbe voluto che la sua mamma fosse più forte, tanto da essere una base solida per lei e Riccardo, ma non ce la faceva. Poi Nina ricevette una mail da un’azienda a cui aveva mandato il curriculum. La convocarono per un colloquio nel Nord Italia. Dopo le selezioni fu assunta per quattro mesi. La sua vita si spostò del tutto a centinaia di chilometri da casa. Dopo un rinnovo di contratto le fu offerto di lavorare per un periodo nella sede della società in Inghilterra. Nina doveva accettare, lo sapeva. Avevano bisogno di soldi e lei non poteva permettersi un licenziamento che sarebbe stato quasi inevitabile, in caso di rifiuto. Prima si prese delle ferie per stare un po’ con Riccardo e la mamma. Ormai era tutto deciso. Sarebbe partita quella domenica. La mamma e Riccardo sarebbero andati presto a trovarla, tanto la casa pagata dall’azienda era grande abbastanza per tutti, sarebbero rimasti diversi giorni. Si sentiva più forte, sicura di fare la cosa giusta.

Uscì per comprare un paio di oggetti che le mancavano e chiudere la valigia.
“Nina!”
Michele.
“Michele!”
Lo vide, in fondo al corridoio del reparto profumeria del supermercato. Si vennero incontro.
“Sei bellissima.” “Sono felice di vederti Michele.”
Cosa aveva detto? Perché? Dov’era la sua voglia di dimenticarlo? Stava scivolando in quegli occhi… quei due laghi maledetti. “Ti ha rovinato la vita!” urlava una voce nella sua testa.
“Anche io, Nina.” Si baciarono.

Ferma nel letto, con la colazione davanti a lei, capì che quel cappuccino coi biscotti erano una scelta. Recuperò i suoi vestiti dalla poltrona in fondo al letto, dove li metteva anche quando stavano ancora insieme ed uscì, in punta di piedi con le scarpe in mano.

“Dove sei stata Nina? Sono morta di paura, non rispondevi al cellulare, ho telefonato a Rebecca ma non sapeva dov’eri… Sei uscita solo per andare al supermercato e torni di mattina… va tutto bene?”

“Sì, mamma. Ho rischiato di cadere sul serio, ma ho trovato dentro di me l’appiglio più robusto.”

4 commenti su “L’appiglio”
  1. Concordo ci mancavi davvero tanto!!!
    Mi piacciono tanto queste situazioni messe tutte insieme… lieta di averti dato lo spunto del matrimonio della mamma! 🙂

  2. Brava. Ben scritto. Il finale lo si può intendere sospeso. 5s.

  3. Mi hai piacevolmente intrattenuto. Inizialmente appariva una situazione un po’ confusa poi invece la storia si “apre” e accompagna pian piano il lettore nella sua evoluzione. Mi ha colpito molto la descrizione caratteriale della protagonista data soprattutto dai dialoghi e dalle azioni; una ragazza forte, con la cosiddetta “corazza esteriore” ma internamente fragile e debole alle tentazioni. Il finale mi piace parecchio.
    L’appiglio, il faro, la bussola spesso non sono persone apparentemente a noi vicine ma siamo noi per noi stessi.
    In questo concordo!
    Un saluto,
    Raf

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