Si era lavata le mani nella bacinella, prendendo l’acqua dal secchio grande nell’acquaio.
La famiglia era già a tavola, per la solita cena disperata: un uovo sodo in 5, minestra fatta con
verdure raccolte nei campi, pane nero.
La Ida apre la porta che dà sul cortile, esce di due passi e butta l’acqua. Un tonfo. Un verso strano, strozzato. La porta si riapre, la Ida rientra: è paonazza, gli occhi sgranati, la bocca spalancata con la lingua così grossa da non stare più dentro la bocca… gli altri la guardano
impietriti… dietro di lei un’ombra che dal cortile entra in casa. E’ un elmetto, è un fucile, è un soldato.
Ma non uno dei soliti, non è un tedesco. Ha una strana divisa, uno strano elmetto, una strana faccia. No, non è un tedesco.
Senza parlare, il soldato entra in cucina. Va verso il focolare spento, si butta giù, sul pavimento, seduto. E piange… piange lentamente, in silenzio… le lacrime colano dalle guance sporche, rigandole…
Il capo famiglia Luigi Gaetano Nalin, detto Bijetto, alto, altissimo, segalino, occhi azzurri, capelli biondi, quasi un tedesco, si alza da tavola. Prende l’unico uovo, un piatto di minestra, una fetta di pane nero e, senza parlare, la dà al soldato. Quello lo guarda, si asciuga gli occhi, dice una strana parola, che non è tedesco, e sorride.
Dalla piazza rumore assordante di motori, macchine, motocarrozzette, passi di soldati che corrono e gridano.
Sono tedeschi.
Bussano violentemente alla porta, urlando di aprire subito o apriranno il fuoco.
In un attimo la porta viene aperta.
Bijetto ed il soldato sono spariti.
I tedeschi corrono attraverso l’anticamera, vanno in cucina, aprono la porta del cortile, escono in cortile, urlano Herr Kapitan… niemand, nessuno…
In cucina Romano sta mangiando un uovo sodo ed un doppio piatto di minestra con pane nero. E’ un ragazzotto di 16 anni, magro, ha sempre fame, non mangia mai abbastanza e la pancia con la minestra, quasi tutta acqua. Si riempie poco.
Sua sorella Elvira è alla macchina da cucire. Ha 22 anni e cuce i pastrani militari per l’esercito di Mussolini. La pagano poco, lavora fino a notte fonda, ma con quello riesce a raggranellare qualche soldo per la famiglia.
L’ufficiale tedesco guarda con attenzione…
La mamma Maria tiene le mani dentro a un vecchio e sporco grembiule che porta sempre come una divisa e la Ida si nasconde dietro di lei.
Herr Kapitan, kommen bitte! indicano la porta che sale alle camere da letto… l’ufficiale sale con
i soldati ma a metà si ferma. La scala è stretta ed incrocia Bijetto che scende: Ha in mano un maleodorante pitale … pieno…
– Venga con me, prego – dice all’ufficiale, a voce bassa e facendo segno di non fare rumore,
salgono
2 soldati ispezionano 2 camere… sono vuote
Bijetto apre la camera matrimoniale e fà ancora cenno di non fare rumore…
– mia mamma, la nonna, grossmuetter – dice –
– malaria –
Il letto matrimoniale ha una grossa gobba, piena di coperte. Chi c’è sotto trema, trema moltissimo
– febbre terzana – dice Bijetto
L’ufficiale tedesco, sospettoso, si avvicina ma in punta di piedi, quasi con rispetto,
da sotto le coperte spunta una cuffietta antica, con qualche vago ricamo… al centro del letto, tranquillo un grosso vecchio gattone grigio fa le fusa…
Ha visto.
Fa cenno ai soldati di uscire, piano.
Se ne vanno, ritornano in piazza e vanno a bussare violentemente dal vicino, urlando come prima.
Il gatto grigio, vecchio e tranquillo si infila sotto le coperte… esce il soldato non tedesco
Bussano di nuovo, dalla parte del cortile.
E’ una vicina
– Presto – dice – è arrivato Cice con la moto.
Il soldato sorride, fa un gesto strano che non hanno mai visto e che non capiscono.
Prende poco pane nero, salta sulla moto con Cice e, senza fanale, via per i campi.
Tutti tornano in cucina
La Ida, con la sua lingua ancora grossa, tenta di sorridere…
Bravissima, hai ben reso l’idea e il pàthos della vicenda che racconti, simile alle tante che molti di noi hanno sentito raccontare nell’ infanzia, quando erano ancora vivi coloro che, essendone stati testimoni, le raccontavano a figli e nipoti.
Coraggioso ed essenziale quel “la” Ida così legato alla nostra parlata e a quella dei protagonisti.
Il tuo è uno degli scritti più belli che abbia letto su questo sito.
Complimenti
Anna
p.s.: Un semplice consiglio: non firmarti anteponendo il cognome al nome, quella è una cosa legata al mondo burocratico, al regisro di classe, all’ anagrafe, al servizio militare. Ricorda i latini: tu ti chiami Alessandra e appartini alla gens Bussetto; quindi prima il nome e poi il cognome. Ciao
Bello, semplice e emozionante, fa bene leggere del passato. Sandra