Sono sveglio già da un po’ ma faccio finta di niente, mentre ti guardo aggirarti per la stanza.
Mi ha svegliato lo scroscio dell’acqua della doccia, da dove ti ho vista uscire, dato che tu non chiudi mai la porta del bagno!
Guardandoti così, nuda e bagnata, fragrante di schiuma, penso che tu sia bella.
Ancora resto in silenzio, con le palpebre socchiuse sugli occhi annebbiati dal desiderio; come vorrei essere io quel telo che ti passi sulla pelle.
Torni in camera e da un cassetto fai uscire un delizioso bikini.
Bianco, con le culottes a vita bassa ed il reggiseno a balconcino, che a stento trattiene le tue curve morbide.
Dalla poltrona raccogli un pareo dai colori accesi, sfumato di giallo e d’arancio, che ti avvolgi intorno e leghi dietro la nuca.
Raccogli i capelli morbidamente, con un fermaglio mentre infili un paio di ciabattine infradito, tutte lustrini.
Fai una piroetta davanti allo specchio per pura vanità e raccogli un cappello di paglia dalla falda larga e la borsa da spiaggia, pronta lì a terra già da ieri sera.
“Mmm, dove vai?”, ti dico, fingendo spudoratamente di essermi svegliato in quel momento.
Per rendere più convincente questa mia pantomima, mi stiro languido, lasciando che il lenzuolo aggrovigliato sulle mie cosce, scopra l’impudicizia della mia voglia.
Tu mi sorridi, ti avvicini e lambisci con la lingua la punta del mio naso, poi mi dai un bacio dolce e mi rispondi “In spiaggia…”.
Ti guardo mentre ti allontani ma non mi alzo, anzi.
Mi libero del lenzuolo e, girato a pancia sotto, mi lascio andare ad un nuovo sonno leggero.
Con gli occhi della mente, ti vedo arrivare alla nostra spiaggetta nascosta, riparata da un lato da un fitto boschetto di pini marini, separato dall’acqua da una sottile striscia di sabbia, e dall’altro da un’alta duna sabbiosa, ricoperta di bassa vegetazione, che si prolunga in mare.
Con un movimento fluido, stendi il telo e ci versi sopra il contenuto della borsa.
Sciogli il nodo che trattiene il pareo, lo ripieghi e, finita la cernita delle tue cianfrusaglie, delle quali non ho ancora compreso l’utilità, riponi il tutto nella borsa, che poggi sulle ciabattine.
Ti sdrai prona, col viso rivolto al nostro mare, che ti piace tanto e ti calchi il cappello in testa, perché faccia ombra sulle pagine del libro che vuoi leggere.
Nell’istante in cui stai per sfogliare la prima pagina, un inatteso vociare cattura la tua attenzione.
Posi il libro e fai leva sulle braccia per metterti seduta sui talloni.
All’orizzonte si staglia una piccola imbarcazione, ferma; sul ponte c’è una persona, sembra un uomo, che si sbraccia per richiamare la tua attenzione.
Come s’accorge d’averla, egli si getta in mare con un tuffo da manuale e comincia a nuotare verso riva con poderose bracciate.
Tu lo guardi emergere dalle onde, la pelle inscurita dal sole e dalla salsedine, i capelli scuri, un po’ più lunghi di quanto piace a te, aderenti al collo, grondanti d’acqua che scende su quel fisico statuario in mille goccioline salate.
Meravigliata come una bambina, a bocca aperta lo fissi negli occhi d’ambra, screziati d’oro, occhi forieri di mille peccaminose promesse; non l’hai mai visto prima ma non ne hai paura.
Questa personificazione del tuo immaginario erotico ti si avvicina e ti porge la mano mentre con voce carezzevole e suadente ti dice: “Vieni via con me…”.
Mi sveglio di soprassalto, in un bagno di sudore, accaldato oltre ogni dire, dannatamente in pensiero; e se non è solo immaginazione?
Mi precipito sotto un getto d’acqua gelata incurante del dolore fisico che mi procura.
Grondante, senza darmi pena d’asciugarmi, recupero un paio di boxer e, a piedi nudi, esco di casa.
Attraverso di corsa il nostro prato; passo il lungo mare antistante, indifferente a cosa può pensare chi mi vede.
Un muretto, lungo una decina di metri e alto poco più di uno, nasconde la nostra spiaggia alla vista dalla strada ed io, ancora intontito dal sonno, non trovo il varco per oltrepassarlo.
Accidenti! Per due volte vado avanti e indietro, prima di ricordarmi dov’è l’accesso.
Finalmente ti vedo, sei da sola e sdraiata al sole; riprendo a correre e ti raggiungo ansante.
“Beh, che succede?”, mi chiedi serafica, tirandoti su a sedere e invitandomi a fare lo stesso.
Stremato dall’angoscia, dalla fatica di correre e dal caldo, mi lascio cadere goffamente sul tuo asciugamano e con voce instabile ti racconto.
Io parlo e tu fai un sacco di smorfie buffe, come a sott’intendere che sto dicendo un sacco di fesserie.
Finalmente smetto di parlare e, mentre io cerco disperatamente di calmare l’ansia facendo dei lunghi respiri, tu ti alzi in piedi e mi tendi la mano.
“Tirati su…”, sollevo il mio sguardo su di te, battendo le ciglia per trattenere una lacrima che m’impedisce di metterti a fuoco.
“Dai, chi vuoi mai che mi si pigli?”, mi chiedi ridendo.
Possibile che tu non sappia come sei? Che tu non sappia che male mi farebbe perderti?
Per cercare d’arginare un simile rischio, ti agguanto le gambe e ti faccio cadere sulla sabbia, inchiodandoti sotto di me.
Ti stringo forte tra le mie braccia e ti bacio, ti bacio, ti bacio fino a farti bruciare del mio stesso desiderio.
Sarà anche stato solo uno stupido sogno ma…
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