Il gelido bacio della notte si appoggiò sul suo volto, come un silenzioso velo bianco che ricopra l’ultima fiammella danzante di un falò ormai estinto. Il Danubio si snodava languido sotto il Ponte di Ferro, una ferita argentea nel cuore pulsante di Budapest. Sulle coste, le luci della città parevano regalargli un illusorio soffio di calore, mentre l’intorpidimento che avvolgeva le sue membra stanche, avvolte in un vecchio e stinto cappotto, lo conduceva dentro un labirinto di ricordi e sogni, frantumati in mille, scintillanti frammenti di vetro. Scivolando sulla superficie del fiume, tintinnanti di magia, quei sogni gli ricordarono ancora una volta cosa fosse un sorriso, mentre la neve, sublime danzatrice di una melodia di violini, cominciava a scendere, descrivendo intricate spirali nel cielo gonfio di nubi. Andrea afferrò la bottiglia di vino da due soldi, fedele compagna di notti passate all’aperto, ambrosia ardente che scivolava sinuosa nel suo petto, pulsava per un attimo nel cuore induirto dal freddo e dal dolore e concludeva il suo breve viaggio nel torace, dove il calore sprigionato dalle bollicine purpuree bruciava per un’ultima volta. Passò fugacemente la lingua sulle labbra. Quello era il sapore della sua bocca, l’odore del suo respiro, mentre, ebbra di vino, d’amore e di musica, danzava al ritmo dei violini, bella e candida come la neve. Ogni notte, ogni singola notte, Andrea lasciava che il ricordo di lei lo invadesse fino a togliergli il respiro, fino a fargli girare la testa e sfocargli la vista, forte ed invincibile come l’amore che, dieci anni prima, li aveva spinti a fuggire dalle loro vite per rincorrere una fantasia, fatta di autostrade e vino e poesia e concertini improvvisati per guadagnarsi la cena. Ma i sogni sono solo effimeri abbagli che colpiscono quando le difese della razionalità si abbassano: fu il vento a portarsela via, lo stesso vento di cui lei, amabile ninfa spettinata e sensuale, era innamorata. Le lacrime sul suo viso si gelarono, ma Andrea non se ne curò: i ricordi, quella sera, erano più vividi e reali del solito. Bevve due generose sorsate dalla bottiglia e si accoccolò contro l’enorme pilastro che reggeva il Ponte di Ferro, opponendo un’esile resistenza al freddo, che pareva lambirgli completamente anima e corpo, nascosto nell’ombra di quella notte. Si lasciò scivolare fra le braccia di Morfeo, incantato dalla magnetica melodia del sogno, e la sua mente corse indietro nel tempo, ad una tiepida mattina d’ottobre, quando l’ultimo sospiro della torrida estate d’Italia resisteva ancora all’incedere impietoso del dorato tocco autunnale.

 

Un commento su “Neve e Vino Rosso”
  1. sinceramente questo tipo di scrittura piena di descizioni “poetiche” mi appesantisce un po’ la lettura. taglierei il primo pezzo e farei iniziare il racconto da “Andrea afferrò la bottiglia…”.
    ovviamente parere personale.

    due stelle
    ciao cris

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