(Dalle Favole di Michele e Sandra)
Miscia circolava tranquilla nel giardino, ma non era il suo. Era una gatta semplicemente bella e particolare: completamente bianca a pelo corto, il muso bianco col naso graffiato di nero e gli occhi straordinariamente celesti, altra sua singolarità era l’altezza: molto più alta dei suoi simili. La prima volta che Ambra, la signora del piano terra, la vide nel suo giardino, spalancò bene gli occhi verde acqua e disse a voce alta: -Ma come ha fatto un cane ad entrare nel giardino?-
Poi, dalle orecchie riconobbe che era la gatta della sua vicina e ne ammirò la bellezza attraverso la vetrata.
Gover, il suo cane, un bovaro, era il più terribile del vicinato. Cercava la rissa con i cani maschi, dava la caccia a tutti i gatti e un giorno con una semplice testata mandò in clinica il povero bassotto di Loretta, altra vicina di casa, mentre si trovavano sciolti nei vialetti condominiali.
Gover, per la verità, nel suo giardino non ci voleva neanche i merli, e scuoteva gli ulivi dove loro andavano a riposarsi o a picchiettare le ulive. Dolcissimo in casa, faceva sentire però la sua presenza anche alle zanzare ed era sempre atletico e attento, pronto ad avventarsi su qualunque cosa o animale che circolasse nel suo giardino. Ma Miscia non se ne curava, alla bella gatta non faceva per niente paura, lei come tutti i gatti, sapeva saltare, e con un balzo era già da un’altra parte. Ambra la vide salire con salto felino in cima alle betulle, e per scendere, si buttò con un tonfo preciso sul soffice tappeto verde di erba.
Il condominio era costituito da una serie di terra-tetto, tutte con giardini e grandi terrazzi e nel retro dei medesimi una bellissima isola verde condominiale ben curata, in genere gli animali ci andavano poco, i gatti dei vicini preferivano entrare nei giardini altrui ed ogni tanto, fra le siepi dell’alto alloro, catturavano qualche topolino di campagna e lo portavano come trofeo vicino alle scalette dei vari terrazzi. Di tanto in tanto entrava nei giardini anche qualche “straniero” ossia qualche gattino randagio e qualche vicino, raccontava poi, che il proprio gatto, passando la notte all’aperto, era rientrato al mattino con i segni di una nottata di fuoco e di bufera, probabilmente, qualche micia era stata contesa…
I cani no, tutti, nessuno escluso, la notte la passavano al calduccio nelle proprie abitazioni, anche Gover, il terribile naturalmente.
Nell’ultimo giardino la bella Nana, si fa per dire, Leon Berger, tranquilla e buona giocava sempre nel suo giardino con i quattro bambini della famiglia e i due gattini, quasi con senso materno.
King, il pastore australiano, grande nemico di Gover, seguiva i comandi dei suoi proprietari, cioè in silenzio, al passaggio rissoso del nemico, che abbaiava imbelvito ogni qualvolta lo incrociava o ne sentiva l’odore.
Poi c’era Diva, giovanissima, dolcissima e solitaria, una cagnona tipo boxer. Gover aveva per lei una particolare simpatia e dalla rete del giardino della cagnona faceva a nasino con la medesima.
Diva era spesso sola in giardino e sembrava attendesse quel momento per scaricare tutte le sue emozioni.
Non di meno la stupenda meticcia tipo pastore tedesco, Maya, sempre in su e giù per il suo giardino con giochi sparsi, proprio come se fosse un cucciolo di umano.
E poi c’erano i bambini, e il pulmino giallo scolastico, che puntualmente alle 16,00 si fermava per far scendere quel fiume vivace e colorato di quei bimbi che erano forse cinque ma sembravano un reggimento urlante e indisciplinato.
I più grandi, quelli fra gli otto e i dieci anni, spesso si divertivano col monopattino: scendevano a rotta di collo giù dove erano locati i garage e solitamente finivano col sedere per terra e con un gran tonfo alle saracinesche; per questo i condomini lanciavano urla di ira ogni qualvolta avveniva il “botto”.
Il mese di giugno si presentava veramente caldo e afoso. Le scuole erano chiuse da poco ed i bambini ancora non erano partiti per le vacanze estive. Erano tutti fuori in strada, con le bici ed i monopattini, incuranti del bollore pomeridiano. Come al solito quelli col monopattino erano i più scatenati ed il rumore era talmente forte e fastidioso che qualcuno dalla finestra si lamentò in maniera molto determinata. Finirono per cambiare gioco.
Paolo, uno dei più grandi, undici anni, si ricordò di avere ancora in casa qualche petardo della fine dell’anno, con miccette e mortaretti e così, tanto per annegare il silenzio e la pace, comunicatolo agli altri, vide bene di andare a prenderli.
Iniziarono così i botti. All’inizio con delle lunghe pause, poi, a mano a mano, sempre più ravvicinati.
Fu un attimo e all’improvviso, quasi come per magia, comparve il fuoco.
Una torcia gigantesca che con le piante vicine e per giunta secche dal caldo sembrava di essere all’inferno.
Gli adulti all’interno delle loro abitazioni, si resero subito conto della gravità della situazione, e superati i primi momenti di sbalordimento, corsero nei rispettivi box dove c’erano gli estintori e seppero metterli in azione ben presto, dominando la situazione.
Dal suo giardino, Gover abbaiava strepitosamente. Quel giorno era l’unico membro della famiglia rimasto in casa, o meglio dentro il giardino. Era chiaramente in difficoltà: imprigionato a qualcosa con una zampa poteva solo dimenarsi.
Nessuno degli adulti, presi a spegnere le fiamme si curava dell’abbaiare del cane, ma Miscia aveva notato tutto e con passo e guizzo felino stava andando da King la cui abitazione era proprio l’ultima del complesso. Miagolando entrò nel giardino del grosso cane, anch’esso agitatissimo per la confusione, e a quel punto King, con un grosso slancio, saltò il cancello e in un batter d’occhio passando dal cancello di Nana, tutta spaventata, abbaiò forte e sembrava un “annuncio”. Arrivato al cancello di Gover, riuscì a vedere attraverso il fitto alloro il cane in difficoltà. Come un lupo a caccia, cercò l’altro cancello più basso e dopo più riprese, era nel giardino del terribile Gover.
I due cani si guardarono da vicino. Gli occhi di entrambi erano rossi. Per la prima volta erano uno di fronte all’altro, da soli e slegati.
King avrebbe potuto staccargli la testa con un morso, Gover era completamente immobilizzato, ma non sarebbe stato un combattimento leale, però, d’altra parte sarebbe finito anche quell’abbaiare continuo e aggressivo al passaggio di King, ed avrebbe punito così quella fierezza arrogante e presuntuosa; la tentazione era grande, ma ci ripensò: salvato dal proprio principale nemico, per Gover sarebbe stata una grossa umiliazione e per King, la sua nobile rivincita.
Ma gli occhi di Gover comunicarono a King che data la situazione di emergenza lo doveva aiutare e velocemente, infondo, lui non si sentiva umiliato per la semplice ragione che ci sono circostanze in cui orgoglio e rivincite vanno superate, lui, Gover avrebbe portato lo stesso aiuto se King fosse stato in difficoltà, e le loro rivalse le avrebbero risolte in terreno alla pari.
Dopo due secondi Gover sentì l’odore di King sopra di lui e la sua bocca calda che cercava di spostare l’orcio piccolo che arrovesciandosi aveva schiacciato la zampa di Gover.
Furono attimi interminabili, poi la confusione aumentò con i vigili del fuoco, i cani che ululavano come lupi, i gatti che miagolavano e gli adulti che strillavano con i ragazzini mogi e impauriti.
L’erba del giardino di Gover era tutta sciupata e bruciacchiata, ma si sa, l’erba ricresce sempre, i ragazzi dimenticano, almeno apparentemente ed i genitori pagano i conti, e gli animali tornano nei propri giardini.
Nessuno fece caso ai due cani nel giardino, e dopo un po’ tutto tornò come sempre, comprese le passeggiate a guinzaglio e Gover che dall’altra parte del marciapiede, incrociando King, abbaiava furiosamente e King, osservandolo, scuoteva la grossa testa e continuava a camminare tranquillo accanto al proprietario.
Ogni atteggiamento, a volte non corrisponde proprio alla realtà. Forse proprio nel momento del bisogno si erano incontrati, forse Gover voleva continuare il suo rito di rissoso, ma entrambi sapevano che c’era stato un momento d’incontro che nel bisogno si sarebbe ripetuto.
Forse l’amicizia non veste sempre in maniera classica, qualche volta è pure bizzarra.
“Ogni atteggiamento, a volte, non corrisponde proprio alla realtà”.
E’ vero.
Gli animali hanno molto da insegnare, perchè istintivi, immediati.
Gli esseri umani sono molto più complicati; infatti quando si dice: “è un uomo semplice”, spesso si carica l’aggettivo di un connotato negativo, quasi che essere semplici, chiari sia un errore.
Una bella fiaba con una morale “semplice” che i bambini capiscono subito e su cui gli adulti è saggio che meditino.
Ciao
anna
5 st.
Una bellissima favola, a cui do naturalmente 5 stelle, ma questa favola ne meriterebbe anche 10.
Un sorriso Lucia.
X Anna
Le cose semplici sono la base delle fondamenta.
Poi si articolano, si sviluppano, si approfondiscono, e ne nascono altre, ma la matrice era semplice.
Grazie carissima, anch’io spesso medito e qualche volta ottengo i miei risultati.
Un abbraccio.
Sandra
X Lucia
Grazie Lucia della lettura e di coprirmi di stelle.
Un bacio.
Sandra
Una storia semplice con una morale semplicemente meravigliosa… mi piace proprio tanto quello che hai scritto ANNA… la penso proprio come te…
Sei arrivata proprio al punto…
Grazie a tutti per le vostre letture… ora abbiamo il dovere di farle arrivare ai più piccoli..
Molto bella e soprattutto il messagio che si vuole comunicare.