Segui il sentiero…
Mamma?
Mamma, dove sei? Non vedo niente!
Brancolavo confusa, avvolta da una sottile nebbiolina lattiginosa; continuavo a chiamarla, ma lei non mi rispondeva.
Segui il sentiero…
La sua voce, ancora, come un bisbiglio, anticipò un sussurro di vento, che diradò la foschia.
Mi trovavo su di un viottolo di campagna che alternava ghiaia a terra battuta, punteggiato qua e là da radi ciuffi d’erba sulla costola centrale e concavo ai lati, segno evidente del frequente passaggio.
Il viottolo costeggiava a sinistra un terrapieno e, più avanti, piegava per scendere lungo un avvallamento dov’era un piccolo borgo del quale scorgevo in lontananza i tetti.
A pochi passi da me, un sentiero s’inerpicava sul terrapieno; m’apprestai a percorrerlo e di nuovo udii la sua voce.
Non aggrapparti all’erba, apri le mani e appoggiati…
Salii con cautela, ligia alle indicazioni; una volta in cima trovai ancora la foschia, che un nuovo alito di vento disperse.
Ora potevo seguire con lo sguardo il sentiero; dal terrapieno, scendeva serpeggiando giù per la collina, ai cui piedi, s’alternavano paesaggi diversi.
In lontananza sorsi una costruzione in vetro e metallo, a giudicare dai bagliori che mandava.
Procedi lentamente; guarda con attenzione ma non uscire dal sentiero…
Il sentiero era sprofondato, rispetto al terreno circostante, e sufficientemente ampio da consentire un’andatura normale.
Attraversai così una distesa di paglia e rovi, vegetazione cotta sotto quel sole che ora splendeva abbacinante; sparuti gruppi d’alberi secchi e nodosi mi rimandarono un profondo senso di desolazione.
Il solco si fece meno profondo e s’andava restringendo; dovevo fare maggiore attenzione ai miei passi.
Il paesaggio circostante era cambiato ed ora passavo tra campi incolti ma di terra fertile arata da poco, odorosa di vita; campi pronti a ricevere semenza. Al limitare dei campi, erano filari di viti ancora giovani per dare buon vino, ma che venivano su bene.
Ancora il terreno cambiò sotto di me; lieve com’erba appena calpestata, si confondeva con i lussureggianti prati circostanti, alternanza di teneri foraggi e distese di fiori dai profumi inebrianti.
M’arrestai davanti a quella costruzione che avevo visto da lontano; era una serra.
Affascinata, a bocca aperta, ne seguii il perimetro, fino a ritrovarmi nel punto da cui ero partita.
Per base aveva un dodecaedro, dal quale partivano altrettante pareti in vetro, incastonate in montanti d’oro; ad un’altezza di circa tre metri, le pareti si piegavano a convergere in una bassa cupola.
Era spettacolare, tranne che per un unico piccolo dettaglio; un’incrinatura segnava una parete in tutta la sua lunghezza.
Una costruzione solida, ma fragile al contempo; l’unica cosa che non avevo trovato era l’accesso all’interno.
Entra…
Mamma, come entro se non c’è la porta?
Procedi dritto avanti a te, non temere… 
Così feci, e letteralmente attraversai il vetro.
Stordita ed inquieta, con il cuore in gola, avanzai temendo che quel battito frenetico potesse fuoriuscire da me ed infrangere, in un solo colpo, una tale meraviglia.
C’erano piante d’ogni tipo, molte delle quali io non avevo mai visto; c’erano fiori di tutte le forme e di tutti i colori e c’erano farfalle, nugoli di farfalle variopinte, dalle ali sottili come l’aria stessa.
C’era lei, su di una sedia a dondolo, seduta davanti ad una vetrata e davanti a lei, il sentiero.
Mi accosciai al suo fianco e cominciai a parlare.
Le raccontai tutto di quei giorni; il frustrante senso di consapevole impotenza, il dolore sordo che m’impediva di piangere, il terrore di non farcela a sostenere un così pesante fardello, tutto, poi io la guardai meglio e notai la diversità.
Vestiva un paio di scarpe stringate, spesse calze, una gonna a pieghe in panno verde ed una casacca dalle maniche lunghe, un tessuto damascato in rosa e lilla. Sulle sue gambe era poggiato un plaid sul quale teneva le mani, con le dita intrecciate.
I capelli pure erano diversi, castani e acconciati; strano pensai, erano più di dieci anni che non se li tingeva.
Nel complesso, tutto il suo aspetto era cambiato; sembrava aver ripreso peso, lei, che quando se n’era andata era sì e no cinquanta chili, sembrava rifiorita.
Sedeva immobile con lo sguardo vacuo; non mi guardò e nemmeno mi strinse.
Mamma, cosa fai qui?
Aspetto…
Deve venire il momento…
Non preoccuparti…
Va tutto bene…
Andrà tutto bene…
Vai ora, se ho bisogno di te, ti chiamo…
Mi svegliai, con le lacrime agli occhi, e il domani nel cuore.

 

Un commento su “Il Cammino dell’Anima”
  1. Bella storia, ma parecchio triste…
    Complimenti! Scrivi davvero bene!

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