Non riesco a liberarmi di te.
Come se mi avessi posseduta nel corpo e nella mente, il tuo nome è una ferita che non si rimargina. La mia bocca resta aperta, lo pronuncia.
“Fede”.
Sì, fede! Perché qui dentro me stessa non riconosco altro che questo. Una fede impossibilitata a dimostrare, un buco nero nell’anima che si riempie di te e mi crepa il cuore. Tra l’oscurità e la luce, mi accorgo, il tuo nome torna a distinguersi.
“Fede”, ho paura a sentirmi così aperta, legata ad una passione che non posso smorzare perché è fatta di nulla. Solo di fede, di un desiderio che mi confonde con la speranza che non sarà mai troppo tardi. Una promessa di librarmi in volo, di cambiarmi, di legarmi di nuovo. Ma la fede non è che una corda legata a un pensiero, ruvido, sfinito, come le mie lacrime quando distinguo nient’altro che un precipizio. Il vuoto ovattato di una pienezza illusoria al ritmo martellante del senso di colpa.
Tuttavia mi ripeto che potrebbe valerne la pena, in fondo vorrei che osassi di più, senza curarti di disinfettare il dolore che porti, vorrei che mi incidessi nel petto ancora una volta.
Il tuo nome.
“Fede”.
Che poi, dopo, così finalmente persa del tutto, perlomeno mi stupisse il ricordo fino a rischiare di dare di matto. Avvinghiata a un passato come fosse di carne e non solo parole e carezze per fecondare le viscere.
Altrimenti la vita si appiattirà come una superficie liscia e il mondo comune, con cui sempre meno ho a che fare, mi opprimerà per la sua estraneità e per la sua sofferenza irrazionale.